L’occhio più azzurro è il primo romanzo della scrittrice afroamericana Toni Morrison, pubblicato nel 1970. La storia è ambientata in Ohio, dove la Morrison trascorse gran parte della sua infanzia, e si concentra sulla condizione della donna nella comunità afroamericana della prima metà del Novecento. Sebbene inizialmente il romanzo non venne particolarmente preso in considerazione dalla critica, con il passare del tempo L’occhio più azzurro ricevette numerosi apprezzamenti per lo stile di scrittura adottato dalla Morrison.
La trama
L’occhio più azzurro è ambientato nel 1941 a Lorain, al confine con il Canada. La protagonista è Pecola Breedlove, una bambina nera di soli 12 anni che desidera avere gli occhi azzurri per somigliare alla cartoon mascot Mary Jane, l’icona bianca delle caramelle, e per non essere considerata brutta a causa del colore della sua pelle. Il lettore, sin dalle prime pagine del romanzo, si imbatte in un vero e proprio conflitto interiore vissuto da Pecola, innescato dallo sguardo altrui e dal pregiudizio razziale. Ne L’occhio più azzurro la Morrison metta in evidenza il modo in cui veniva vissuta l’infanzia da parte dei bambini neri durante la prima metà del Novecento. Del resto nel romanzo risulta chiaro che l’infanzia per l’autrice rappresenta una fase di evoluzione identitaria decisiva, in cui ogni bambino vive il proprio personale processo di crescita e maturazione. Tuttavia uno degli aspetti più interessanti che notiamo sin dai primi capitoli è l’intenzione da parte della Morrison di voler mostrare anche l’oscenità e la deumanizzazione che spesso venivano attribuite all’estetica delle bambine nere. Pecola, dunque, cresce in un ambiente sociale che la porterà a credere davvero di essere brutta, diversa, sbagliata e l’unico vero desiderio che nutre, nel corso dell’intera narrazione del libro, è di raggiungere lo stesso livello di bellezza di Shirley Temple, la celebre enfant prodige americana dalla pelle bianca e dai grandi occhi azzurri.
Lo standard della bellezza bianca
Uno dei punti di forza del romanzo riguarda la magistrale tecnica narrativa utilizzata da Toni Morrison. L’autrice, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1993, sembra vestire i panni di una regista con i suoi vari intrecci narrativi a disposizione, per poter raccontarci al meglio la storia di Pecola. La narrazione parte dalla fine della storia per poi fare un viaggio a ritroso. Il punto di vista narrativo è quello afroamericano e questo rappresenta un fattore imprescindibile per comprendere a pieno il focus del romanzo. È interessante vedere come ne L’occhio più azzurro l’astio e l’odio razziale assumano sfaccettature diverse e poco nitide, poiché si tende a pensare che il razzismo veda contrapposte due sfere ben distinte e separate: i neri da una parte e i bianchi dall’altra. Attraverso la penna di Toni Morrison, invece, il lettore ha modo di approfondire le dinamiche legate al rifiuto e all’odio razziale da parte delle donne nere nei confronti di loro stesse. Il modo in cui Pecola desidera a tutti i costi avere gli occhi azzurri ci rimanda alla brama di un raggiungimento di bellezza standardizzata quanto mai attuale. Nel caso di una bambina afroamericana cresciuta negli Stati Uniti come Pecola, tuttavia, gli standard di bellezza inculcati dalla società si trascinano inevitabilmente una mole considerevole di pensieri e atteggiamenti autodistruttivi per le ragazzine nere. A tal proposito, tra i profondi spunti di riflessione che L’occhio più azzurro mira a tramettere al lettore, una posizione di rilievo è sicuramente occupata dalle conseguenze legate agli irraggiungibili ed illusori standard di bellezza imposti dai bianchi negli Stati Uniti della prima metà del Novecento.
Fonte immagine: Archivio personale