Durante una serata letteraria a Bologna, tra voci, versi e sguardi attenti, ho avuto il privilegio di incontrare Gianfranco Corona, poeta dalla presenza luminosa, dalla sensibilità vibrante. Impossibile non notarlo: capelli biondi, sorriso aperto, una gioia contagiosa che sembra fatta della stessa sostanza della poesia. Non recita la parte del poeta, la incarna e vive la poesia con naturalezza, senza pose, con l’umiltà di chi sa che la parola è un dono.
Lo si vede spesso partecipare, con discrezione e calore, alle presentazioni degli altri, sostenendo con affetto la voce altrui: non come comparsa, ma come fratello. E proprio questo spirito di condivisione, di rispetto umano e artistico, attraversa le pagine della sua più recente raccolta Senza voltarmi, pubblicata nel dicembre 2022 da Brè Edizioni.
La copertina del libro è già una dichiarazione d’intenti poetici: una città si specchia nell’acqua, e il riflesso del volto dell’autore si fonde con l’ambiente, quasi a dire che il poeta è parte del paesaggio che racconta, che la sua identità è legata indissolubilmente ai luoghi, ai ricordi, alla realtà circostante. È un’immagine potente: l’acqua, simbolo di memoria, di profondità, di mutamento, riflette non solo un volto ma un’intera visione del mondo.
Senza voltarmi non è soltanto un titolo: è un manifesto esistenziale, è la scelta di proseguire il cammino anche quando la nostalgia chiama, anche quando la tentazione di tornare indietro potrebbe sembrare conforto. È la volontà di restare fedeli alla propria direzione, pur attraversando tempeste.
La prefazione di Daniela Montanari introduce il lettore in questo universo con parole precise e partecipate:
“Questa nuova opera di Gianfranco Corona, oltre ad un excursus decennale di vita vissuta, di più vite vissute,” scrive l’autrice, “chiarisce inequivocabile la scelta del titolo: Senza voltarmi.”
E ancora: “Non più come giuramento a sé stesso, quello di non tornare indietro, ma come scelta di restare fermo davanti a chi lo legge.”
È proprio questa l’impressione che si ha immergendosi nella lettura: Gianfranco resta, con tutta la sua verità, senza maschere, senza cedere all’artificio. Le sue poesie si fanno corpo, voce, paesaggio dell’anima, attraversando memorie, dolori, amori perduti e ritrovati, domande esistenziali, tensioni sociali, frammenti di una biografia che diventa universale.
Nel componimento iniziale che dà il tono all’opera – Il resistere, senza più imbarazzo, in un contenitore ammaliante dove raccolgo il respiro affaticato da un’impetuosa rinascita, senza liturgia. Il bisogno di esserci, non abbandonati, eppur minacciati dall’amore sotto scorta – il verso si spezza, si interrompe e si ricompone con ritmo interiore. È una poesia che non segue una metrica tradizionale, ma ha una sua musicalità implicita, fatta di sospensioni e di pieni, di esitazioni e affermazioni. Il “contenitore ammaliante” è forse il corpo, o forse la vita stessa, che accoglie un “respiro affaticato”, testimone di una rinascita non celebrata, “senza liturgia”, senza fanfare. L’amore appare minacciato, “sotto scorta”, come qualcosa di prezioso ma in pericolo. Qui si manifesta uno dei tratti distintivi della poesia di Corona: la capacità di condensare in poche immagini una riflessione esistenziale profonda, che si muove tra l’intimo e il sociale, tra il simbolico e il concreto.
Nella poesia Mattinate autunnali, questa sensibilità si rivela ancora una volta nella scelta delle immagini stagionali – l’autunno, con la sua malinconia, il suo lento decadere – come specchio dell’interiorità. “Riordino le coltivazioni di memorie” è un verso che colpisce per la sua potenza simbolica: la memoria diventa campo da coltivare, da sistemare, da salvare. Eppure, proprio lì, nei solchi della memoria, risuonano “processi all’illusioni” e prende forma il dolore, “che si ripiega rincorrendo foglie”.
Corona sa bene che la poesia non consola, ma illumina:
“Ci vuole cuore / a riconoscere lo stordimento / di condanne che penetrano / e divorano l’anima.”
Il verso spezzato, il ritmo irregolare, la mancanza quasi totale di punteggiatura, creano un effetto di sospensione, di tensione continua, come se la parola cercasse sempre un appiglio, una verità sfuggente. L’effetto è quello di un respiro affannoso, condiviso con il lettore.
In Dolore imperfetto, l’assenza si fa protagonista: “Questa assenza affiora indisturbata / con un dolore imperfetto”. La parola “imperfetto” è scelta con cura: suggerisce qualcosa che non si è mai compiuto, una ferita che non si è mai chiusa, ma anche un dolore autentico, privo di retorica.
La poesia procede per immagini delicate ma incisive: “carezze disinvolte, acerbe”, “un sussulto bambino”. Il lessico è sensoriale, concreto, eppure sospeso, come se l’autore camminasse su un filo tra la realtà e la memoria. L’“albero cieco” dell’ultimo verso è potente metafora di una vita che abbraccia senza vedere, che ama nonostante la cecità del tempo.
Nell’infinita lucidità è forse la poesia che più racconta l’anima errante di Corona, il suo bisogno di appartenenza e di radici, il suo rapporto profondo con la natura. C’è un fiume “quasi mistico”, ci sono canneti, vecchi pescatori, c’è un ritorno che ha i colori dell’autunno. Ma non c’è nostalgia fine a se stessa: c’è una lucidità che illumina il passato come presente. “Ho ascoltato il ritmo ribelle della natura”, scrive: il poeta si fa orecchio, non giudica, ascolta, e nel farlo riscrive la propria poesia. Il tempo diventa materia viva, la memoria non è rifugio ma specchio, il verso si fa sorgente, fluido, inquieto.
Infine, in Bizzarrie di guerre, la poesia di Corona tocca il nodo politico ed esistenziale del nostro tempo. “Non riconosco le parole”, scrive, e con questo afferma l’impossibilità di comprendere la logica della violenza. “Gli sciacalli danzano / senza pensare”, e l’“imbecillità risuona / senza vergogna”: sono versi duri, ma non rabbiosi. La durezza è data dalla realtà stessa, dalla constatazione amara di un mondo che perde la propria umanità.
E tuttavia, anche qui, il pensiero corre a qualcuno, a un “tu” evocato con delicatezza:
“Penso a te, / al tuo coraggio, / alla tua storia / al tuo dolore / che incita la mente”.
È un riconoscimento dell’altro come resistenza, come possibilità di senso anche in mezzo al caos. L’ultima immagine – “bizzarrie di guerre che sconfinano / in simultanee partenze” – racchiude il senso dell’inquietudine, dello sradicamento, ma anche di una tensione verso l’altrove.
Gianfranco Corona scrive versi liberi, senza gabbie metriche, ma con una disciplina interiore fortissima. La sua poesia è corpo e voce, è silenzio che grida, è dolore che si trasforma in ascolto. Usa il linguaggio figurato con misura, ma con precisione chirurgica. Le sue metafore non sono ornamento, ma struttura del pensiero poetico. Gli a capo frequenti, la punteggiatura quasi assente, costruiscono un ritmo sincopato che ricorda il respiro corto di chi trattiene l’emozione, ma anche la volontà di lasciare spazio al lettore, di affidargli il compito di completare, di sentire.
Senza voltarmi è un libro che si legge con lentezza e che si ascolta con il cuore. È un percorso in cui ogni poesia è una sosta, una finestra, una crepa da cui entra la luce. È un dono che Gianfranco Corona ci fa con generosità, senza clamori, senza pretese, ma con l’urgenza sincera di chi sa che la poesia può ancora dirci qualcosa di vero.
In un mondo che spesso grida, questa voce sottile, umile, luminosa, ci ricorda che restare – senza voltarsi – è già una forma di coraggio. E di bellezza.
…E forse proprio in questa bellezza quieta, mai ostentata, risiede la forza più autentica della poesia di Gianfranco Corona: quella di risuonare dentro chi legge, come eco di un’esperienza condivisa, anche quando l’esperienza è lacerazione, spaesamento, perdita.
Yuleisy Cruz Lezcano
Cara Yuleisy,
desidero ringraziarti di cuore per la splendida recensione che hai dedicato al mio libro Senza voltarmi. Le tue parole hanno saputo entrare con delicatezza e profondità nel mio mondo poetico, restituendomi un’immagine autentica e intensa del mio percorso.
La tua passionalità nella scrittura, la sensibilità con cui hai colto l’essenza dei miei versi e la generosità con cui li hai condivisi, mi hanno emozionato profondamente. È un dono raro saper leggere non solo la poesia, ma anche l’anima che la attraversa.
Ti sono immensamente grato per aver dato voce, con il tuo sguardo, a ciò che per me è respiro e verità. La tua recensione resterà nel tempo come segno prezioso di bellezza e vicinanza.
Con stima e sincero affetto, Gianfranco Corona