Paolo Benvegnù vince la Targa Tenco 2024

Paolo Benvegnù

Paolo Benvegnù vince la Targa Tenco 2024 per il Migliore album in assoluto con il suo progetto È inutile parlare d’amore. Con la grazia che lo contraddistingue Paolo Benvegnù è riuscito a destare anche l’attenzione della critica, senza risparmiare né tradire nulla del suo fare creativo.

Paolo Benvegnù è un musico, un paroliere in grado di attingere all’inaccessibile. Libero nello spazio e nel tempo ci racconta di sé, di un suo percorso interiore che è passato attraverso l’inutile, che dell’inutile si serve, perché in un mondo in cui tutto deve avere una direzione e un senso, perdere tempo è un gesto rivoluzionario.

Amare significa dedicare tempo, smarrire la percezione dello spazio, moltiplicare le unità di misura. Paolo Benvegnù ama e si lascia amare perché ha imparato a nuotare in un mare verticale, a non guardare solo ad altezza d’occhi, orizzontalmente e davanti al suo naso, ma, appunto, ad alzare lo sguardo verticalmente.

I suoi concerti sono un passe-partout per l’altrove, per quello che non si vede e non si tocca, ma si prova. Crea ponti fra gli argini, riesce a dare consistenza ai suoi piccoli fragilissimi film: sequenze impercettibili di vita quotidiana, gesti delicati, momenti brevi ma decisivi, in cui si comprende di stare lì lì per cominciare a vivere davvero.

Paolo Benvegnù urla silenziosamente, e conquista senza neppure corteggiare il pubblico, il suo fascino è quello di chi senza sicumera ti cattura. È un artista grande perché con la sua statura assume la postura orgogliosa e imbarazzata di chi vorrebbe scomparire, ma in realtà finisce per brillare di luce propria e irradiare gli altri di luce riflessa.

Le sue canzoni brutte tirano fuori il bello, la goffaggine dei sentimenti inesprimibili, la purezza che è tale perché non ha consapevolezza del suo potere di proliferare ovunque, di insinuarsi nelle vene.

Nel suo ultimo live, che ha avuto luogo a Campolattaro (BN), in occasione della prima edizione del festival Suoni al Borgo – di cui ci auguriamo la continuità -, per due ore di concerto si ha avuto l’impressione di stare sott’acqua ma continuare a respirare. Le parole di Paolo Benvegnù sono ossigeno. Il rock puro dei suoni distorti rende sopportabile il peso del corpo che, sul fondale dell’oceano, fluttua come una piuma.

Oceano è il termine adeguato a indicare quello che si scatena quando la band de I Paolo Benvegnù sale sul palco. Tutti diventiamo troppo suggestionabili, perché il contagio è immediato. La profondità della voce di Paolo Benvegnù crea dei passaggi negli incavi della mente. Si riesce a stare nel presente e altrove al contempo: uno stato di trans cosciente.

Come pescatori di perle ci si abbandona ad occhi chiusi alle note del basso di Luca Baldini, dei fiati di Saverio Zacchei, della tastiera di Tazio Aprile, senza neppure preoccuparsi di trovare il bottino, perché sono i suoni a impreziosire il momento della pesca, ad alimentare la pazienza, a rendere piena l’attesa. Gabriele e Daniele Berioli, rispettivamente alle chitarre e alla batteria, suonano al ritmo scalpitante di cuori che non battono più con la loro naturale intermittenza, trascinati anche loro dal sogno.

Con gli occhi bassi e umidi siamo comici e torniamo primitivi, perché insieme a I Paolo Benvegnù stiamo attraversando il muro del suono, che non richiede alcuna definizione di senso, che ha le sue fondamenta su basi fragili, perché costruite dagli uomini. L’apologia del senso, l’ossessione dell’identità, l’incasellamento in categorie scadono, vengono letteralmente messi a tacere dalle onde sonore del rock.

Inebriati dichiariamo la nostra resa: nessun disertore, solo uomini indifesi, che di fronte a tutte quelle cose che li sfiorano, si lasciano lisciare la pelle, pur sentendosi scottare.

Con in mano un archibugio, accompagniamo Paolo Benvegnù in questa gara di resistenza, pur essendo in netto svantaggio, perché il suo microfono è l’arma più potente che ci sia.

Riceve il Premio Tenco 2024 un artista in grado di costruire e decostruire, che come un aruspice tira fuori prodigi e strategie di sopravvivenza. Vengono premiate l’innocenza con la sua ostinazione, la musica che ha ancora qualcosa da dire.

È inutile parlare d’amore è un disco ieratico, per le «minoranze rumorose», sull’orlo dell’illimitato, un tripudio infantile di precisi impossibili, un’orditura incessante che tesse la trama di una favolistica e inutile storia d’amore.

Non vediamo l’ora di ascoltare il suo nuovo progetto che vedrà la collaborazione di numerosi artisti – alcuni già noti (La Rappresentante di Lista, Dente ecc..), altri ancora da scoprire – e che ha come ingrediente segreto la stessa pozione di realtà e immaginazione, caratterizzante l’intera discografia dell’autore. Piccoli fragilissimi film – Reloaded tiene insieme l’immensità e la bidimensionalità della visione filmica con la fragilità della pellicola e la provvisorietà dello sguardo umano.

Siamo pronti ad immergerci in Piccoli Fragilissimi Film – Reloaded e a seguire Paolo Benvegnù nei suoi prossimi live. Non ci resta che stare ad ascoltare con l’imprudenza di non sa più aspettare.

fonte foto di copertina: ufficio stampa

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A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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