Carcere di Poggioreale, tra rivolte e degrado

Carcere di Poggioreale, tra rivolte e degrado

Il Carcere di Poggioreale fu costruito nel 1914 nel pieno di un processo che, dalla fine del XVIII secolo, rese la prigione sostitutiva della pena di morte e delle punizioni corporali. Queste ultime, in realtà, persistevano anche nelle carceri e, in Italia, fino a circa cinquant’anni fa erano usate per mantenere “disciplina” e sopprimere eventuali ribellioni tra le celle. La pena di morte, invece, fu abolita nel 1945, con la Liberazione dal nazi-fascismo, e ufficialmente nel 1948, con la Costituzione Repubblicana.

Poggioreale fu, però, una “necessità” per affrontare il sovraffollamento delle carceri in funzione all’epoca. Era, ed è tuttora, una “casa circondariale”, i cui detenuti sono in attesa di giudizio o condannati a pene inferiori ai cinque anni. Nel tempo, i reparti hanno preso il nome di città Italiane: Napoli, Milano, Livorno, Genova, Torino, Venezia, Avellino, Firenze, Salerno e Roma.

Il punto massimo di sovraffollamento nel carcere di Poggioreale avvenne nella prima metà degli anni ‘40 e nell’immediato dopoguerra, vista la presenza di numerosi prigionieri politici e di commercianti della “borsa nera”. Fu in parte occupato dai tedeschi che, cinque giorni dopo l’armistizio, aiutarono i detenuti a fuggire. Tra le varie rivolte contro le condizioni igieniche del carcere, quella del 31 maggio 1972, quando dal padiglione Genova i detenuti devastarono ogni cosa, abbatterono i cancelli e saccheggiarono i magazzini. Furono due giorni di scontri con la polizia, durante i quali un detenuto di 19 anni fu ucciso da un colpo di pistola. I detenuti furono poi ammassati nei sotterranei e molti furono trasferiti.

Ma nel carcere di Poggioreale si è consumata anche una vera e propria faida, durante la guerra di camorra tra i Cutoliani e gli appartenenti alla Nuova Famiglia organizzata, durante la quale era la camorra stessa a stabilire le regole di vita tra le celle.

Il carcere di Poggioreale viene, ancora oggi, definito il “carcere peggiore d’Italia, sia per i diritti umani che per il degrado”.

Secondo il rapporto del 2018 dell’associazione “Antigone”, la struttura ospita 2.299 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 1.611 posti. Nonostante le numerosi ristrutturazioni, le condizioni generali sono ancora inadeguate e incompatibili con ciò che prevede l’attuale ordinamento penitenziario. Alcuni esempi: celle che ospitano fino a 12 detenuti, assenza di stanze adibite alla socialità, mancanza di docce, umidità degli ambienti.

Tra i più degradanti, il padiglione Roma, che “ospita” detenuti transessuali, tossicodipendenti e sex offenders tra muffa, finestre rotte, assenza di intonaco e docce comuni distaccate dalle celle.

Ma le criticità presenti nelle celle sono numerosissime: non sono garantiti 3 mq calpestabili per detenuto, non tutte le celle sono riscaldate adeguatamente e dotate di acqua calda, non ci sono schermature alle finestre, non è assicurata la separazione dei giovani dagli adulti.

Inoltre, sette reparti su dieci non hanno spazi di socialità all’interno dei padiglioni, comportando una limitazione nei movimenti dei detenuti e la loro permanenza all’interno della cella per moltissime ore.

Solo nel 2017, si contano 290 casi di autolesionismo, 2 suicidi, 8 morti e 199 scioperi della fame. I detenuti in terapia psichiatrica sono 600, ma non è presente un reparto per detenuti con infermità psichica.

A febbraio di quest’anno, nel carcere di Poggioreale è morto Claudio Volpe, di 34 anni, deceduto ufficialmente per un infarto. In realtà, Claudio soffriva di una febbre molto alta da giorni prima della sua morte e non aveva ricevuto aiuto nonostante le richieste di essere visitato. Le sue condizioni di salute si sono aggravate al punto da non rendere più necessario l’intervento del 118.Ma ciò che più inquieta ancora del Carcere di Poggioreale è la “cella zero”, creata nel 1981, nella quale – stando alle testimonianze degli ex detenuti – gli agenti della polizia penitenziaria sottoponevano i carcerati a pestaggi e maltrattamenti. La storia della “cella zero” è raccontata nel documentario di Salvatore Esposito, fotografo documentarista, in collaborazione con il giornalista Andrea Postiglione e Pietro Ioia, attivista per i diritti dei detenuti.

 

Fonte immagine: http://www.napolitoday.it/cronaca/chiusura-carcere-poggioreale-petizione.html

A proposito di Maria Laura Amendola

Nata a Potenza il 28 giugno 1993, madre australiana e papà Irpino. Impegnata, per diversi anni, in organizzazioni a carattere sociale e culturale, ho prediletto come ambito il femminismo e le battaglie contro le disuguaglianze di genere. Nel 2021, è nata la mia prima opera letteraria, "Una donna fragile", Guida Editori.

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