Il 29 maggio il complesso universitario di San Marcellino ha vestito i panni di quartier generale della discografia italiana e il grande corpo di Napoli ha ospitato per la quarta volta le contaminazioni di un orizzonte sempre in via di sviluppo e mutamento, accogliendone i sussulti e le vibrazioni.
La chiesa dei santi Marcellino e Festo, gemma di sacra bellezza immersa nel ventre del Centro Storico di Napoli, con i suoi marmi policromi e luccicanti e i suoi legni intagliati, si è resa teatro d’eccezione dell’evento: il Digital Music Forum ha visto l’organizzazione della Campania Music Commission (CMC) e si è configurato come una vera e propria tavola rotonda scaturita dalla sinergia tra docenti universitari, addetti ai lavori, studenti ed artisti.
Dalla Beat Generation di Kerouac e soci alla Bit Generation: il bit ovviamente è quello informatico, sgorgato da una miriade di dati trasmessi, plasmati e riconvertiti da un universo all’altro, in una società liquida dai contorni sempre più evanescenti e in via di ridefinizione. Ogni cosa sfuma verso un’altra, disegnando infiniti mondi da esplorare, e ciò non è sfuggito ai vari temi dell’evento: i mutamenti dell’era digitale stanno infatti ridisegnando i consumi culturali, la vita sociale e la nuova frontiera della fruizione musicale.
Digital Forum a Napoli, con Benji e Fede e Maldestro: i nuovi orizzonti di un panorama in perenne mutamento
Napoli, da sempre relegata ai margini di ciò che siamo soliti chiamare Impero musicale (che ha il suo quartier generale a Milano), veste per un giorno i panni di una nuova maliarda tra Oriente e Occidente, un po’ musa e un po’ sirena, perché il sound napoletano, la potenza evocativa e demiurgica della sua musica non possono non essere neppure annoverati in una tassonomia o categorizzazione degna di rappresentare la realtà. La musicalità napoletana, la forza creatrice della parola e il rumore frantumato del silenzio hanno da sempre ispirato generazioni di naviganti e di Ulisse di tutto il mondo, creando una miscela sapiente e di tutto rispetto, tra la schiuma e le onde della nostra penisola.
Ma non vi è soltanto la musica più propriamente cantata e godibile dal pubblico, ma anche il lato dell’astro che in cielo non si vede: quello degli addetti ai lavori e dei tecnici del suono, e la politica deve interrogarsi su come formare i ragazzi che vogliono lavorare e costruire un futuro in questo settore, così come bisogna che ci sia una regolamentazione sempre aggiornata, per contrastare fenomeni come la pirateria. È intervenuto anche Enzo Mazza, presidente della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), per discutere del cambiamento e del rimescolamento delle etichette; è intervenuta anche Stefania Ercolano di SIAE per porre l’accento sulle leggi sul diritto d’autore e sulla creatività degli artisti.
Sempre la SIAE e il MIBACT hanno ritenuto opportuno promuovere una Start Up innovativa, “Start Up Music Lab“, che avrà luogo negli spazi del Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II, in collaborazione con l’Osservatorio Territoriale Giovani e i Contamination Lab Napoli: a coordinare il tutto sarà il professore Lello Savonardo, e lo scopo sarà quello di fornire adeguati strumenti e mezzi a 15 artisti, autori, interpreti ed esecutori per far sì che diventino imprenditori di se stessi e ottimizzino le proprie capacità, in un orizzonte fluido come quello dei social media.
A sfruttare sapientemente il potere dei social è stato il fenomeno Liberato, il cui video “Nove Maggio” rimbalza su tutte le bacheche di Facebook in questi giorni: Liberato è un ottimo esempio di comunicazione fluida e capillare, capace di mettere in discussione la propria identità per far sì che il prodotto abbia un’ampia risonanza mediatica e catturi il pubblico in modo emblematico e quasi ossessivo.
Da Liberato si è passati all’ascolto degli ospiti della giornata: il duo Benji e Fede e il cantautore Maldestro. Benji e Fede e Maldestro rappresentano due polarità opposte di approccio al pubblico, due scuole di pensiero e di esistenza diverse: i primi, accolti da uno stuolo di fans in età prepuberale, hanno mosso i passi sul web fin dall’inizio. Sono i figli del sole sempre e comunque, perché rappresentano la solarità, l’azzeramento di ogni discorso esistenzialistico e problematico. Internet è stato il loro veicolo d’eccellenza, sono nati dall’impasto del web nella sua accezione più pura.
Maldestro invece, presente all’evento con una maglia di Troisi con su scritto:” La poesia è di chi gli serve”, è attento a non caderci troppo, nelle strette maglie del web, infatti il suo cellulare ha, per sua ammissione, prevalentemente la funzione di nota per le ispirazioni quando si trova in metropolitana o al parco. Nome d’arte di Antonio Prestieri, classe 1985, Premio Luigi Tenco, secondo posto a Sanremo Giovani e figlio del boss pentito Tommaso Prestieri di Scampia.
Figlio di Scampia e specialista del dolore, Maldestro ha ammesso di non riuscire sempre a prendersi cura di sé e quindi lo augura agli altri nelle sue canzoni. È un cultore del dolore, ma col sorriso guascone sulle labbra, e il suo timbro di voce accarezza tutte le pieghe del vissuto più crudo, doloroso e acerbo: anche il dolore può essere fonte d’amore e anche nelle cose che ci hanno fatto male può celarsi una rosa canina di struggente bellezza. Forse è questo il senso della musica, così come il senso della poesia e dell’arte in generale: secondo Cesare Pavese, la poesia serve ad addomesticare e plasmare il ricordo e a darci l’illusione di eternare noi stessi, portandoci a sorridere come Calipso verso Ulisse.
Ma se il sorriso degli dei non è possibile, forse è possibile il sorriso nel dolore. Quello che nasce quando ci si prende cura di sé. O almeno si prova a farlo.