Diritti digitali: chi possiede i nostri dati?

Immagine che rappresenta in maniera simbolica i diritti digitali in catene.

I diritti civili, umani e politici sono al centro del dibattito odierno. Poca risonanza, invece, è data a un’altra branca di “diritti”, ossia i diritti digitali. Nella nostra quotidianità social un like su Instagram, una ricerca su Google o un acquisto su Amazon è come una traccia indelebile (e invisibile) di noi stessi. È letteralmente come vivere in una casa di vetro, con pareti trasparenti visibili solo alle grandi piattaforme senza, purtroppo, averne le chiavi.
La domanda, quindi, è semplice, lecita e scomoda: chi possiede i nostri dati?

Il patto nascosto dei servizi “gratuiti”

Ci piace pensare che i social o le app di messaggistica siano gratis e che, nel contesto dei diritti digitali, siano un esempio di libertà di espressione. In realtà, il prezzo lo paghiamo ogni giorno: non in denaro, ma in informazioni. Ogni preferenza, abitudine, spostamento o acquisto diventa parte di un enorme mosaico digitale che ci riguarda.

Quel mosaico non rimane nelle nostre mani, ma viene venduto, analizzato e poi rivenduto ancora, come una merce di scambio primaria. Il risultato? Pubblicità mirate, suggerimenti su misura e perfino notizie modellate sul nostro profilo. Questo potrebbe violare il principio di privacy dell’informazione, poiché, oltre a inserirsi all’interno del nostro contesto personale, modella i contenuti e potrebbe influenzare indirettamente le nostre decisioni.

Il potere silenzioso delle big tech

Le grandi aziende tecnologiche (Google, Meta, Apple, Amazon, Microsoft) sanno più cose su di noi di quanto immaginiamo. Conoscono i nostri gusti, i nostri spostamenti, le nostre amicizie, persino i momenti in cui siamo più vulnerabili.

Di fatto, non è solo una questione di marketing. Se analizziamo le modalità con cui i dati vengono utilizzati all’interno del nostro contesto sociale, scopriamo che i dati sono potere. E chi li controlla (in particolar modo i policy maker), controlla in parte anche le nostre scelte, senza che ce ne rendiamo conto.

L’Europa e i diritti digitali

Per non lasciare ai giganti del web l’ultima parola, l’Unione Europea ha introdotto nel 2018 il GDPR, la legge più avanzata al mondo sulla protezione dei dati personali. Quest’ultima ha rappresentato un grosso passo avanti nel mondo della distribuzione dei dati e dei diritti digitali. Infatti, grazie a essa abbiamo ottenuto delle svolte importanti:

  • Sapere chi usa le nostre informazioni;
  • Chiedere la cancellazione di tali informazioni;
  • Trasferire le informazioni da una piattaforma a un’altra.

Sulla carta sembra qualcosa di rivoluzionario. Ma, nel pratico, quanti di noi leggono davvero le informative sulla privacy? Pochi, se non nessuno. E, soprattutto, quante aziende rispettano fino in fondo quelle regole? La distanza tra teoria e realtà, come al solito, è ancora enorme. Tutto ciò dimostra che le dinamiche di potere sono legate al contesto in cui si analizzano: in questo caso, le big tech possiedono abbastanza influenza da confondere le acque.

I diritti digitali come nuova risorsa

Un tempo la ricchezza si misurava in terre, fabbriche oppure barili di petrolio. Oggi i veri giacimenti sono invisibili e sono i nostri dati. Secondo la letteratura scientifica e le stime degli esperti, il loro valore globale ammonta a centinaia di miliardi di dollari.

La questione è che non si tratta solo di pubblicità personalizzata. I governi usano i dati per monitorare la sicurezza nazionale, le aziende per studiare nuovi mercati, i ricercatori per prevedere malattie o disastri ambientali. Ma resta la stessa domanda di fondo: chi decide l’uso corretto e chi mette i paletti?

Diventare cittadini digitali consapevoli

Ci rendiamo conto, dunque, che non è solo un tema economico o legale. Di fatto, c’è un problema etico che tocca tutti: è giusto perdere la proprietà delle nostre informazioni solo per poter usare un social network?

Alcuni esperti parlano di sovranità digitale, altri immaginano nuovi modelli di data trust, cioè archivi in cui i dati siano gestiti in modo trasparente e collettivo. Sono idee interessanti, ma ancora lontane dalla realtà quotidiana di milioni di utenti.

In attesa che le regole si rafforzino, molto dipende da noi. Significa informarsi, usare strumenti di protezione come browser più sicuri, VPN (Virtual Private Network) o chat crittografate. Ma soprattutto vuol dire cambiare mentalità: smettere di pensare che i dati siano qualcosa di astratto.

I dati sono molto di più di quello che possiamo aspettarci e hanno un potere che va oltre l’immaginario collettivo. Questo perché sono estremamente rilevanti all’interno del contesto sociale e, in più, sono invisibili. È come se qualcosa di estremamente potente esistesse senza essere visto. Siamo noi a creare i dati: sta a noi trovare il modo di gestirli.

Fonte dell’immagine in evidenza: https://pixabay.com/it/vectors/serratura-catena-diritto-dautore-6806514/

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