Animare gli archivi: il riutilizzo creativo dell’animazione all’Unarchive Filmfest

Durante la terza Edizione dell’Unarchive Filmfest ha avuto luogo “Animare gli archivi”, una serie incontri sul potenziale dell’archivio filmico nel campo dell’animazione sperimentale, creando un viaggio dalle prime pellicole dipinte ai compositi digitali contemporanei.

Animare gli archivi: Una genealogia animata

Gli incontri, organizzati e presieduti dal curatore Giacomo Ravesi, ha permesso agli spettatori di vivere una genialogia della storia dell’animazione attraverso l’uso delle pellicole: partendo dalle prime sperimentazioni di pittura diretta sulle pellicole, si è percorso un viaggio per tutto il precedente secolo cinematografico, con tappe principali le più grandi avanguardie di questo campo del cinema sperimentale spesso passato in sordina a discapito di correnti e artisti più celebrati e popolari, arrivando alla rivoluzione digitale del XXI secolo. All’interno di questo percorso hanno partecipato anche alcuni dei grandi artisti che hanno creato queste opere, discutendo del loro processo creativo, come Leonardo Carrano, Virginia Eleuteri Serpieri e Gianluca Abbate, collaboratore dell’Unarchive Filmfest anche in veste di curatore dell’identità visiva di questa edizione del festival.

Animare gli archivi: Dal Segno sulla Pellicola all’Estetica Digitale

Tra le grandissime opere presentate in questi incontri, vale la pena sottolinearne alcune, come “Trade Tattoo” di Len Lye, opera del 1935 che si consolida come uno dei primi esempi di pittura su pellicole, ponendosi come uno dei capostipiti dell’animazione cinematografica e creando una visione psichedelica del mondo delle poste statunitensi, ambiente in cui il regista è cresciuto e ha prodotto le sue prime opere. “Voices” di Joanna Priestley è invece un’opera del 1985, la quale, pur avendo 50 anni di differenza nei confronti del cortometraggio di Len Lye, si ispira profondamente ad esso, spingendo ai limiti le convenzioni dell’animazione classica e utilizzando il medium per creare situazioni altrimenti impossibili.

Codici, Glitch e Corpi: L’Estetica del Digitale 

Uno dei passaggi fondamentali della storia dell’animazione cinematografica è l’arrivo del digitale, il quale ha permesso alla franchigia più libera e surrealista del cinema di spingere i limiti di ciò che si può rappresentare verso confini precedentemente mai neanche considerati: per celebrare questa nuova dimensione “Animare gli archivi” ha portato sul grande schermo opere come “Mondi Magnetici” di Saul Saguatti, un’opera che prende chiara ispirazione dal mondo dei videogiochi per commentare aspramente la società capitalistica e consumista di fine 900 e “ASCII History of Moving Images” di Vuk Cosic, un’opera di animazione che usa interamente il linguaggio del codice ASCII per ricreare scene di film classici come “The Shining” o “Star Wars” con un’accuratezza sbalorditiva.

Il percorso digitale durante questi incontri ha raggiunto il suo apice “Long Live the New Flesh” di Nicolas Provost. Il titolo del cortometraggio è un chiaro riferimento a “Videodrome” di David Cronenberg, ed ha l’obiettivo di espandere la retorica transumainsta del film: all’interno di “Long Live the New Flesh” scene dei classici dell’horror statunitense si mescolano l’una con l’altra attraverso l’utilizzo di glitch e distorsioni grafiche, che permettono alle varie scene di diventare un tuttuno, un singolo manifesto al nuovo body horror del XXI secolo: l’orrore della carne digitale.

Incontri come quelli della serie “Animare gli archivi” racchiudono perfettamente lo spirito dell’Unarchive Filmfest: il riutilizzo di materiale d’archivio e degli elementi cinematografici normalmente scartati per creare una nuova arte, l’arte del riutilizzo creativo.

Fonte immagine in evidenza: Ufficio stampa AAMOD

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