I verbi costituiscono la parte variabile del discorso usata per esprimere un’azione, uno stato o un’esistenza. Ogni verbo fornisce informazioni essenziali su chi compie o subisce l’azione (soggetto), sul modo in cui questa si presenta (reale, possibile, ipotetica) e sulla sua collocazione temporale (passato, presente o futuro). Sebbene questa classe grammaticale sia fondamentale, il suo impiego corretto nasconde insidie anche per i madrelingua. Vediamo insieme una guida completa al loro uso.
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La coniugazione: verbi regolari e irregolari
Coniugare un verbo significa modificarne la desinenza per adattarlo a modo, tempo, persona e numero del soggetto. La maggior parte dei verbi italiani è regolare, ma esistono numerose eccezioni che possono generare dubbi.
- Il verbo prudere è un verbo difettivo: non possiede il participio passato. Non è quindi possibile completare la frase “mi prude il braccio come non mi è mai…” con una forma verbale corretta.
- Il verbo riflettere è un verbo sovrabbondante, ovvero ha due coniugazioni con significati diversi. Riflettei e riflettuto si usano per “considerare, pensare”, mentre riflessi e riflesso si usano per “rimandare un’immagine o una luce”.
- Il verbo soddisfare al presente indicativo ammette due forme. La forma soddisfo è la più comune e attestata, ma anche soddisfaccio è considerata valida, come spiega l’Accademia della Crusca.
Come usare i tempi verbali: la consecutio temporum
La corretta concordanza dei tempi verbali, nota come consecutio temporum, è una delle sfide principali della sintassi italiana. Per concordare correttamente i verbi, bisogna considerare il tempo del verbo nella frase principale (reggente) e il rapporto temporale (anteriorità, contemporaneità, posteriorità) che si vuole esprimere nella frase subordinata. Per una definizione approfondita, si può consultare l’enciclopedia Treccani.
| Se nella principale c’è un tempo… | …nella subordinata si usa (per esprimere) |
|---|---|
| Presente o futuro (es. “so che…”) | Anteriorità: passato prossimo/remoto (“…ieri hai studiato“) Contemporaneità: presente (“…studi molto”) Posteriorità: futuro semplice (“…domani studierai“) |
| Passato (es. “sapevo che…”) | Anteriorità: trapassato prossimo (“…il giorno prima avevi studiato“) Contemporaneità: imperfetto (“…studiavi molto”) Posteriorità: condizionale passato (“…il giorno dopo avresti studiato“) |
L’uso del congiuntivo: il modo del dubbio e della soggettività
Il congiuntivo è il modo verbale usato per esprimere incertezza, dubbio, possibilità, desiderio o un’opinione personale. Viene richiesto da verbi come “credere”, “pensare”, “sperare”, “temere” o da espressioni impersonali come “è necessario che…”. I suoi quattro tempi (presente, passato, imperfetto, trapassato) seguono anch’essi le regole della consecutio temporum.
Il periodo ipotetico: realtà, possibilità e irrealtà
Il periodo ipotetico esprime un’ipotesi (nella frase subordinata, o protasi) e la sua conseguenza (nella frase principale, o apodosi). Esistono tre tipi:
- Della realtà: usa l’indicativo in entrambe le frasi. Es. “Se studi, passi l’esame”.
- Della possibilità: richiede il congiuntivo imperfetto nella protasi e il condizionale presente nell’apodosi. Es. “Se studiassi, passeresti l’esame”.
- Dell’irrealtà: richiede il congiuntivo trapassato nella protasi e il condizionale passato (o presente) nell’apodosi. Es. “Se avessi studiato, avresti passato l’esame”.
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Articolo aggiornato il: 26/09/2025

