Male loneliness epidemic: la solitudine maschile nell’era dell’iperconnessione

Il fenomeno della Male Loneliness Epidemic, la solitudine maschile nel XXI secolo

Il XXI secolo è il secolo dell’iperconnessione. Le varie piattaforme di social network, di incontro, chat e community digitali promettono rapida vicinanza, tracciabilità immediata ed esposizione continua. L’istante viene colto, il momento condiviso, la presenza diventa immagine e la fugacità si sostituisce alla connessione. E se da una parte l’iperconnessione ha moltiplicato i contatti, dall’altra pare aver impoverito i legami. È esattamente in questo contesto che si dispiega il fenomeno della “male loneliness epidemic”.

La solitudine maschile tra dati e cultura

L’espressione non ha ancora un’origine formalmente definita; tuttavia, è certo che nel corso dell’ultimo decennio sia emersa come evoluzione del più ampio concetto di “loneliness epidemic”. Il termine compare per la prima volta nel 2017, in un saggio per la Harvard Business Review scritto da Vivek Murthy, che definiva la solitudine come una “growing health epidemic”, senza però fare distinzione di genere. Il tempo intercorso tra gli anni 2021-2023 ha visto una declinazione in chiave maschile del concetto, sostenuta da social media, blog e saggi, che hanno attenzionato la solitudine del maschile come fenomeno sociale specifico. Ciò che emerge dai dati di studi condotti in Nord America e in Europa, non è una posizione di semplice disagio momentaneo, quanto piuttosto una particolare condizione fenomenologica. E nell’investigarne le radici, si risale a un momento ben preciso: il radicale cambiamento delle dinamiche relazionali nel XXI secolo.

Uomo solo guarda fuori dalla finestra

Fonte immagine: DepositPhotos

Il primo sintomo rilevato è una parabola decrescente nella formazione delle amicizie in contesto maschile. Un sondaggio del 2021 del Survey Center on American Life riporta che il 15% degli uomini dichiara di non avere amicizie significativamente intime, rispetto al 3% degli anni ’90. Uno studio pubblicato da Equimundo nel 2023 segnala invece che la maggior parte degli uomini appartenenti alle generazioni Millennial e Z si trova concorde nel dichiarare che “nessuno li conosce davvero” e che, al di fuori degli affetti familiari, il numero delle amicizie che considerano intime è esiguo. Inoltre, un sondaggio condotto nel 2022 dal Pew Research Center sembra dimostrare che sei uomini su dieci sotto i trent’anni siano single, quasi il doppio rispetto al corrispettivo femminile. Nel quadro più ampio, ciò sembra determinare una crescente difficoltà nel creare reti sociali stabili e una certa diffidenza generalizzata nell’appoggiarsi all’altro nel momento del bisogno. In questa cornice, l’implicazione culturale non è un dato marginale. L’immagine dell’uomo è stata tradizionalmente edificata su un modello che vede successo, forza e indipendenza come cardini principali. Questo porta a competizione, controllo e isolamento, lasciando poco spazio alla vulnerabilità, percepita come debolezza. In questo senso, l’identità diventa performance e gli uomini si chiudono nel loro vuoto relazionale, fatto di distanza autoimposta e incapacità di legarsi intimamente. Molto spesso può emergere un senso di frustrazione che proietta all’esterno un disagio interno, e l’alienazione si trasforma in rabbia, sfogata anche online.

Uomo seduto da solo su una panchina

Fonte immagine: DepositPhotos

Le statistiche sulla “male loneliness epidemic” si intrecciano con i parametri della salute fisica e mentale. La solitudine, come evidenziato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, si affianca all’aumento di problematiche quali malattie cardiovascolari, ansia, demenza e depressione. Alla luce di queste constatazioni, si attesta che gli uomini siano quattro volte più predisposti delle donne a compiere atti suicidari. Solo negli Stati Uniti, nel 2022, il tasso di suicidi maschili ha raggiunto il suo picco di 14,3 ogni 100.000 uomini. Questi numeri non raccontano solo di un problema sanitario, ma tracciano una crisi nelle connessioni umane, in cui la vulnerabilità è stata insegnata come un fattore di rischio da una cultura che vede nella repressione dell’emotività il metro per misurare successo e produttività.

Mascolinità contemporanea e trasformazioni dei ruoli

È da questa dinamica che sorge quasi spontaneamente il confronto con la controparte femminile. Negli ultimi decenni, i ruoli di genere sono mutati e vanno rinegoziandosi progressivamente. Le donne hanno acquistato maggiore spazio di manovra, libertà ed espressione, entrando in ambiti tradizionalmente appartenuti agli uomini. Ciò ha generato una frattura nel vecchio modello di mascolinità, che si è trovato a dover condividere il ruolo di provider. In parallelo, questa frattura si è trasformata in rottura nel momento in cui le nuove generazioni hanno iniziato a sperimentare forme alternative di mascolinità, più fluide e affettive. È in questo spazio di tensione che si colloca la “male loneliness epidemic”, alimentata da un disorientamento identitario generale e una difficoltà di base a navigare la sfera emotiva. Ciò che resta all’uomo moderno è una ricerca di rappresentazione capace di conciliare la realtà con le aspettative, e le aspettative con l’emotività.

Dibattito sulla legittimità del fenomeno

Il dibattito attorno alla “male loneliness epidemic” ad oggi resta ancora aperto. Studiosi di genere e psicologi sostengono che il problema sia legittimo e misurabile sulla base dei dati empirici, del contesto culturale e dei cambiamenti sociali del XXI secolo. Altri si mostrano critici riguardo alla definizione stessa di “epidemic”, ritenendola più che altro un’esagerazione mediatica. Una posizione intermedia riconosce la legittimità del disagio maschile, ma lo legge come sintomo di una transizione culturale. Tuttavia, qualsiasi direzione il fenomeno prenderà, la “male loneliness epidemic” resta un disagio meritevole di attenzione, capace di raccontare molto sulla società contemporanea e sugli uomini che la abitano.

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