Dal 30 ottobre al 2 novembre, va in scena al Teatro Nuovo di Napoli Crisi di nervi di Peter Stein, ovvero tre atti unici di Anton Čechov.
Crisi di nervi di Peter Stein, ovvero tre atti unici di Anton Čechov, è uno spettacolo che si sviluppa in tre quadri a sé stanti, in ognuno dei quali viene ritratta una borghesia ipocrita. Ma nel momento in cui subentra l’elemento del proletariato, questa stessa ipocrisia smette di funzionare. A questo punto, quei borghesi, ormai messi davanti a una realtà umana molto più complessa, subiscono tre rispettivi momenti di follia, un climax ascendente che dà spazio a un’irreversibile crisi nevrotica.
Crisi di nervi di Peter Stein: tre scene di quotidiana follia ancora attuali

Anton Čechov nei suoi scritti disegna i contorni di una dinamica ben precisa: da un lato, vi è una borghesia invischiata in quell’inesauribile vortice di ipocrisia e falsità; nel mezzo, un’aristocrazia obsoleta, ormai ancorata a vecchi sistemi non più attuali; all’opposto, infine, un proletariato che appare sia vittima e sia portatore finalmente di valori e idee nuovi. Con sottile sarcasmo, il drammaturgo descrive con chirurgica precisione una fase transitoria da un punto di vista politico e sociale dell’epoca in cui viveva. Eppure, è una contestualizzazione che ancora oggi si ripresenta quanto mai attuale, al di là dei costumi e delle scenografie, come dimostra Crisi di nervi di Peter Stein. Senonché, più che il contenuto in sé per sé, è quella maniera teatrale tra la farsa sferzante e l’ironica satira a parlare agli spettatori con un linguaggio familiare, che consente di guardare catarticamente al presente.
In particolare, Crisi di nervi di Peter Stein riprende tre atti unici di Anton Čechov: L’orso, I danni del tabacco e La domanda di matrimonio. In L’orso (con Maddalena Crippa, Alessandro Sampaoli e Sergio Basile), una vedova piange inconsolabile il defunto marito professandosi sofferente, nonostante in alcuni momenti di grottesca lucidità lo maledice per averla tradita ripetutamente. A un certo punto, quel pianto viene interrotto da un creditore pronto a tutto pur di riavere i suoi soldi. Il suo arrivo mette in discussione la narrazione, rovescia i ruoli e ribalta le relazioni, concludendosi infine con lo scoccare di un amore passionale tra i due. I danni del tabacco (con Gianluigi Fogacci), invece, si sviluppa come un’orazione in cui l’attore dovrebbe dire al suo pubblico cosa è giusto e cosa è sbagliato ma si ritrova, al contrario, a prodigarsi in un lungo discorso di struggente amarezza. Infine, La domanda di matrimonio (con Alessandro Averone, Sergio Basile ed Emilia Scatigno) conclude la trilogia con una tensione giunta al suo apice, ritraendo un matrimonio d’interesse impossibile da realizzarsi per l’inevitabile furore che viene fuori dalla coppia promessa.
Un’estrema comicità per un sottofondo psicologico giustificato

Crisi di nervi di Peter Stein si caratterizza di una comicità talvolta estrema, di un linguaggio spiccatamente farsesco, in cui i personaggi che si susseguono appaiono come maschere. Su di queste, però, è come se si formassero progressivamente delle crepe dalle quali fuoriescono crisi nevrotiche sferzanti. Ne risultano quadri al limite del grottesco, dove esasperazione ed eccesso si mescolano a una crudeltà potenziata ma altrettanto realmente comprensibile da un punto di vista psicologico. Ed è da questa doppia dinamica tra eccesso e naturale ridimensionamento che scaturisce il riso, ovvero una risata amara usata come strumento di umana comprensione profonda degli argomenti trattati. È dallo scontro, dall’eccesso che collide con una realtà che bussa alle porte, è da questo a tratti surreale ingarbugliarsi che il pubblico viene coinvolto.
Davanti alla rappresentazione di Crisi di nervi di Peter Stein, la platea è rapita da una regia asciutta e rigorosa e da interpretazioni caratteristiche impostate con precisione. Il regista, infatti, cerca di comunicare e di riprodurre con il suo linguaggio quell’ironia di Anton Čechov che si distingue per una lucidità senza precedenti. E lo fa restituendo una certa fedeltà al testo, nonché puntando a fare emergere l’eccesso come una lama che squarcia il velo e consente l’accesso a una piena autenticità umana. Certo, un procedimento teatrale non facile, sia perché ha bisogno di essere sostenuta da un ritmo costante e sempre in aumento, sia perché la farsa talvolta può sfociare in un’amatorialità alquanto stonata. Soprattutto per quanto riguarda quest’ultimo punto, il lavoro degli attori con il regista è meticoloso e riesce a provocare la platea tra divertimento e riflessione.
Fonte immagini: Ufficio Stampa

