Esistono storie che non si accontentano dell’ombra, che implorano di essere narrate, perché la loro fiamma interiore non accenna a diminuire. È il caso de Il giorno dell’indipendenza, un monologo intenso, scritto e diretto da Antonio Mocciola, proposto il 20 e 21 settembre al Teatro Lazzari Felici di Napoli per inaugurare la rassegna Piccoli fuochi.
Lo spettacolo, ispirato da un racconto della scrittrice ungherese Agota Kristof, nasce come opera teatrale, ma a causa del Covid ha avuto dapprima una trasposizione cinematografica nel cortometraggio La Controra, con Giovanni Allocca a interpretare Giordano, il protagonista, riscuotendo un ottimo successo. Il giorno dell’indipendenza torna quindi nel 2025 come era stato concepito in origine, a teatro, con Salvatore Iermano, sebbene nel 2023 avesse già avuto un’interpretazione teatrale tutta al femminile con Serena Bocelli (Giordana) in Le nostre figlie si amano.
La trama: i cocci di un’anima tormentata
Salvatore Iermano in Il giorno dell’indipendenza
Quello che viene portato in scena è il frammento di una vita segnata da eventi dolorosi, il punto di non ritorno di un’anima turbata dal trauma, quella di Giordano. A voce alta e col petto gonfio, Giordano racconta come ha raggiunto il giorno della sua indipendenza, come è riuscito a liberarsi del tarlo insistente che gli attanagliava i pensieri: sua sorella maggiore. Giordano è uno scrittore che nei suoi trent’anni si ritrova nell’oblio del vizio dell’alcol e del fumo, mentre sua sorella è una sarta che pare volerlo far risalire dal suo fango. I due si ritrovano a vivere nuovamente insieme nella casa di lei, ed è qui che le carte vengono scoperte. Ci si trova di fronte a un rapporto morboso che stringe in una morsa il corpo del protagonista, opprimendo la sua creatività artistica, la sua libertà e la sua sessualità. Squillano discorsi deliranti, che si perdono tra i cocci di bottiglie vuote e le cartacce di un libro mai scritto, alla ricerca di qualcosa che faccia scomparire quella ostile inibizione. L’unica soluzione è eliminarla.
L’interpretazione: il mutamento del dolore attraverso Salvatore Iermano
Salvatore Iermano in Il giorno dell’indipendenza
In un ambiente angusto e intimo, attrarre l’attenzione non è scontato, ma Salvatore Iermano, con la sua interpretazione, riesce a mantenere una presa salda sul racconto grazie a una densa presenza scenica. In un nudo integrale davanti al pubblico, rende giustizia a un personaggio impegnativo, riuscendo a farsi prima contestare e poi compatire. Segue perfettamente le linee della storia e comunica con ogni movimento le scabrose e pericolose emozioni di Giordano. La mancanza di indumenti, che in un primo momento potrebbe intimorire, passa in secondo piano proprio grazie alla bravura di Iermano, che sposta l’attenzione sulla forza emotiva del personaggio.
Riflessione finale: l’abuso e il gesto liberatorio
Alla fine dello spettacolo si viene avvolti per qualche istante dalle stesse tenebre che il protagonista è costretto a subire. A luci accese, e una volta trasportati fuori dalla bolla dell’arte, è inevitabile l’amaro che resta: l’amaro di chi è costretto alla continua lacerazione e all’annientamento di sé, in questo caso attraverso l’alcol e il fumo, allo scopo di abbattere i sintomi della dipendenza e dell’abbandono dovuti a un abuso silenzioso e quasi giustificato dalle mura domestiche. Benché discutibile, qui si apre una via estrema di salvezza, considerata come l’unica per spezzare catene tossiche e per recuperare una virilità artistica e personale mai posseduta, lasciando il pubblico a riflettere su quanto possa essere alto il prezzo da pagare per raggiungere il giorno della propria indipendenza.
Dettagli dello spettacolo
Il giorno dell’indipendenza
Scritto e diretto da Antonio Mocciola
Aiuto-regia Barbara Lafratta
Con Salvatore Iermano
Produzione Mentite Spoglie Teatro
Vm 18
Fonte immagini: Ufficio stampa