Sala strapiena e applausi entusiastici per l’ultimo lavoro di Emma Dante che ha debuttato al Teatro Argentina il 28 ottobre inaugurando la stagione teatrale 2025/26.
Lo spettacolo è ispirato ad una delle favole barocche di Gianbattista Basile in “Lo cunto de li cunti” con cui la regista si era già cimentata con La scortecata e Pupo di zucchero.
È la storia di un re che, dopo aver usato una gallina, che credeva morta, per pulirsi il sedere con le sue piume, si ritrova con l’animale all’interno delle sue viscere che tramuta il cibo ingerito in uova d’oro. Il re, annientato dal dolore e deluso dalla sua corte, famiglia inclusa, interessata solo alle uova d’oro, si lascia morire di fame pur di porre fine alle proprie sofferenze.
Oro, potere e contrappasso

È uno spettacolo che gioca con i temi più cari alla regista, particolarmente brava a combinare l’assurdo, la comicità e la tragedia in un mix perfetto che regala una visione cruda e tagliente della società in cui viviamo.
La pièce esplora l’avidità e l’ipocrisia della famiglia reale, che non è altro che l’immagine di un’intera società pronta a venerare il dio denaro senza curarsi né dei valori, né delle persone da sacrificare per raggiungere i propri biechi obiettivi.
È anche la storia di un uomo avido e ignorante che, una volta malato, si scopre, secondo la più classica legge del contrappasso, solo e disperato.
Anche il grande gonnellone che indossa, di grande impatto scenico, ben rappresenta l’isolamento dal contesto in cui vive: è rifugio e prigione al tempo stesso, barriera fisica ed emotiva di una segregazione ineluttabile.
Da re autorevole e potente si ritrova ad essere il povero e sofferente “Re Chicchinella” attorniato da una corte di galline starnazzanti e dalle fattezze grottesche, nelle forme volutamente esagerate dei costumi, che lo asfissiano con una presenza soffocante ed interessata.
Neppure la morte, tanto agognata dal re, pone fine alla società malata. Per esasperare la metafora sull’ottusità del potere, la Dante mette in scena una metamorfosi. Dal corpo esanime, alla fine esce la gallina che, in nome dell’oro che produce, viene acclamata da tutta la corte come nuovo re.
La forza del corpo che parla

Centrale nello spettacolo di Emma Dante è l’uso del corpo. Un corpo corale, quello della corte, che si muove all’unisono formando un elemento unico, in netto contrasto con il corpo del re, dilaniato dal dolore, che si contorce in mille spasimi.
Carmine Marigola è superlativo nell’esprimere la sofferenza del protagonista e tutto il suo corpo accoglie e restituisce la tortura dell’uomo martoriato: la pancia si gonfia all’inverosimile, le contrazioni muscolari sono più che visibili, i tremori e gli sforzi muovono a sincera compassione.
La scenografia essenziale, le luci caravaggesche di Cristian Zucaro, i costumi che enfatizzano ogni movimento: tutto contribuisce a mettere al centro gli attori che nella loro fisicità nuda e cruda riescono a comunicare, con gesti e parole, emozioni potenti.
Anche le scelte musicali durante tutto lo spettacolo sono importanti e mai banali. In chiusura le parole della canzone Passacaglia di Battiato ci parlano della trasformazione dell’io come in un viaggio esistenziale che ci porta a rielaborare il passato e ad avere maggiore consapevolezza.
Lascia con l’amaro in bocca questo lavoro: la condanna ineluttabile dei personaggi è, in fondo, la condanna di noi stessi ma il pubblico in sala non sembra essersene reso conto. La satira di Emma Dante è così sottile che la maggior parte si alza e s’incammina verso l’uscita con l’ignavia e l’estraneità di chi non si sente chiamato in causa.
Fonte immagini: ufficio stampa

