Dive di Aldo Iuliano: tra amore e guerra | Intervista

Il cortometraggio DIVE di Aldo Iuliano tratta dell’amore adolescenziale in un mondo afflitto dalla violenza. È incentrato sulla storia di Roman e Julia, due adolescenti che arrivano su una spiaggia deserta per dimenticare il mondo che li circonda e passare del tempo insieme. Nel cortometraggio di Aldo Iuliano emerge sin da subito il binomio tra amore e guerra, l’amore che consente a Julia e Roman di vivere la loro età nonostante tutto. Il cortometraggio, presentato in concorso ufficiale all’80a Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, è stato selezionato anche nei festival di Busan e Bruxelles. Ha vinto il Premio Speciale ai Nastri d’Argento 2024 ed è qualificabile per gli Oscar 2025.

Si tratta di una storia sull’amicizia, forse anche sull’amore, ma soprattutto sulla vita con le sue difficoltà e noi abbiamo avuto il piacere di conversare con il regista Aldo Iuliano per comprendere in profondità la natura del suo capolavoro.

Aldo Iuliano, cosa lo ha ispirato a raccontare questa storia d’amore ambientata durante una guerra? Qual è il messaggio che spera di trasmettere con Dive?

DIVE volevo che ritraesse la realtà di una spiaggia ucraina ma allo stesso tempo alludesse a tutte le spiagge del mondo, perché la guerra può arrivare da un momento all’altro ovunque. A contrasto con questa paura, volevo ritrarre la cosa più bella che dovremmo preservare: l’amore condiviso. Roman e Julia attraverso il loro tuffo in acqua riescono a tenere l’orrore fuori da ogni frame. Volevo che lo spettatore ricordasse la propria giovinezza per desiderare di non vederne mai la fine. 

I protagonisti del film di Aldo Iuliano sono giovani innamorati in un contesto drammatico. Come ha lavorato sulla loro caratterizzazione per renderli credibili e vicini al pubblico, nonostante l’ambiente difficile in cui si trovano?

Gli attori sono stati bravissimi e molto sinceri nel confidarmi la loro vita privata. Hanno seguito ogni step di sceneggiatura e allo stesso tempo hanno aggiunto la loro spontaneità. Partimmo come reference emotiva dalla coppia più famosa del mondo, Romeo e Giulietta, e siamo arrivati a riflettere sull’amore impossibile ai giorni nostri, mettendo in scena due adolescenti contemporanei tormentati per il contesto in cui si ritrovano a vivere, ma allo stesso tempo felici per l’amore che inseguono. Non servivano parole per mostrare quell’ intesa, né definirla troppo, e ho scelto di fissare la macchina da presa in modo tale che lo spettatore muovesse liberamente lo sguardo all’interno di una natura che proteggeva quei loro gesti silenziosi. Daniyl e Veronika su quella spiaggia condividono un momento intimo ripensando a tutto quello che hanno vissuto negli ultimi anni come persone, come attori, come amici. Come due persone che si vogliono bene. Ballano sulle mine e sono convinti che vale la pena vivere e non aver paura. Sono stati generosissimi e non finirò mai di ringraziarli per questo.

Nel film, come ha cercato di bilanciare l’elemento romantico con il contesto bellico? C’era il rischio che l’amore potesse sovrastare il contesto storico, o viceversa?

Sì, quel tipo di bilanciamento tra una rappresentazione meravigliosa dei loro sentimenti e la realtà che minaccia la loro innocenza è stata una grande sfida da affrontare, sia tecnica che narrativa. Con Daniele Ciprì, il direttore della fotografia, abbiamo lavorato sul contrasto tra luce naturale in spiaggia e la dimensione immaginifica sott’acqua: le emozioni provate dai ragazzi dovevano proiettare i loro corpi altrove, liberi di essere giovani come dovrebbero. Al montaggio, con Marco Spoletini, abbiamo operato invece un lavoro di sintesi estrema sulle battute dei personaggi, e sulla durata complessiva della giornata raccontata: l’obiettivo era che lo spettatore alla fine rimanesse immobile su quelle orme finali riflettendo se ripercorrerle per andare a mare o fuggire.

Come la guerra influisce sull’evoluzione della relazione tra i due giovani protagonisti? Ha immaginato la guerra come un catalizzatore per la loro crescita emotiva e personale?

La guerra uccide, e per chi rimane vivo in un contesto di guerra è una nube tossica che oscura l’anima. Solo la vicinanza di un essere umano che ha a cuore la tua vita può allontanare quella nube, ma non può far tornare in vita chi non c’è più. Roman fa partire una canzone da un cellulare distraendo Julia dall’orrore, perché alla fine entrambi vogliono continuare a vivere in maniera semplice. Sono fragili e innocenti gli adolescenti, e allo stesso tempo molto forti e resilienti. La guerra è qualcosa di incomprensibile che piomba nelle loro vite ad interrompere quel percorso di crescita emotiva e personale, un percorso che ognuno di noi conosce bene. La speranza, la spensieratezza, il desiderio di stare insieme, ho provato a mettere in scena tutta questa serie di riflessioni sull’adolescenza per fotografare cosa sta accadendo in questo momento storico: piuttosto che opporci all’orrore ci abituiamo ad esso, e dimentichiamo il meglio di noi.

Aldo Iuliano, come ha scelto gli attori per interpretare ruoli così complessi? Ci sono state particolari difficoltà nel lavorare con attori giovani, soprattutto in un contesto emotivamente intenso?

Non ho fatto mai provini: raccontavo la storia di Dive ad amici produttori, registi, casting director, attori in ogni festival e scuola di cinema in cui andavo, chiedendo se conoscessero due attori dell’Est che fossero amici veri. E poi un giorno, un giovane producer a Cannes mi suggerì di incontrare Veronika. Che coincidenza, stava studiando proprio in Italia, al Centro Sperimentale di Cinematografia, in un progetto speciale per attori provenienti dall’Ucraina. Quando ci incontrammo, lei a sorpresa si presentò con Daniyl. Anche lui studiava al Centro Sperimentale, erano arrivati insieme. Li guardai e non ebbi alcun dubbio, avevo trovato Roman e Julia. Quei mesi di preparazione sono stati per me un tuffo indietro nel tempo, a quell’età in cui tentavo di capire cosa accadeva nel cuore e nella mente quando ero vicino alla persona a cui volevo bene, quando la timidezza mi toglieva le parole e l’incoscienza mi portava a superare ogni limite per dimostrare a me stesso che potevo superare il dolore. E ho scoperto come loro due hanno affrontato la loro adolescenza, la loro vita in Ucraina, a Londra, qui in Italia stringendo i denti per assicurarsi il futuro che sognano.

Quanta ricerca storica c’è stata nella realizzazione del film? Ci sono eventi storici specifici che voleva includere per dare maggiore autenticità alla storia?

Nel mondo ci sono più di 50 guerre disseminate in diversi continenti, il più grande paradosso dell’umanità: parliamo ogni giorno di sopravvivenza e allo stesso tempo siamo noi ad ucciderci. Sono partito dalla guerra Russia-Ucraina ma volevo che Dive alludesse a tutte le guerre nel mondo. C’è bisogno di parlare di pace oggi, di unione tra esseri umani, altrimenti non ci resta che concludere che stiamo puntando all’autodistruzione. Ricordo la prima volta che mio fratello mi mostrò un video in cui un carro armato ucraino sotterrava delle mine antiuomo su una spiaggia di Karkiv: il paradosso di un governo che mette in pericolo la vita dei propri cittadini per difendersi. E ci siamo chiesti come vivono le persone quei luoghi. I video che più mi hanno colpito sono stati quelli in cui vedevo la gente che andava in spiaggia con l’ombrellone: le persone volevano continuare a vivere le proprie giornate, nonostante le mine. Ho condiviso pensieri profondi e personali con chi ha avuto gravi perdite, e mi sono reso conto come internet racconta la guerra ma allo stesso tempo ce la nasconde. Da lì nacque il primo script di Dive, dalla penna di Severino che fu bravissimo a racchiudere tutti questi paradossi umani nel semplice high concept delle orme, e dopo tutta quella serie di emozioni contrastanti che provai alla fine delle mie ricerche.

Il suo film è qualificabile per gli Oscar 2025. Come si sente riguardo a questa opportunità e cosa pensa che Dive possa apportare di unico al panorama cinematografico internazionale?

Vivo di cinema, mi esprimo con totale sincerità attraverso i miei film, e gli Oscar sono la più grande opportunità personale e professionale che possa capitare nella vita di un cineasta. Soprattutto, la più grande responsabilità con cui confrontarsi perché quel riconoscimento ti permette di parlare al Mondo. Dive volevo che mostrasse quanto noi esseri umani possiamo essere meravigliosi, capaci di donare pace a noi stessi e agli altri quando l’amore guida i nostri passi. Bisogna opporsi all’odio che nega la vita, con coraggio ritrovare il lato migliore di noi stessi per sopravvivere tutti insieme. 

Dopo il successo di Dive, quali sono i suoi progetti futuri? Le piacerebbe continuare ad esplorare temi storici, o sta già pianificando qualcosa di completamente diverso?

Sto terminando di scrivere con i miei sceneggiatori una storia a cui tengo tantissimo. Sarà un dramedy in stile fratelli Cohen, con un pizzico di fantascienza spielberghiana e un look neorealista alla Vittorio De Sica. Spero che il successo di Dive mi dia l’opportunità di realizzare ancora più in grande questo film: voglio parlare di ecologia e della salvezza di questo Pianeta in maniera drammaticamente divertente. In generale ogni mio film ragiona sulla perdita di umanità dell’epoca contemporanea, e cambio sempre genere cinematografico perché è la storia che sceglie, non io. Il titolo del film è “Universe is a country”, e sarà un bel viaggio.

Fonte dell’immagine in evidenza: ufficio stampa

 

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