Everything Everywhere All at Once, i rapporti umani nel multiverso | Recensione

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Evelyn e Joy

Everything Everywhere All at Once, film che ha fatto incetta di premi agli ultimi Oscar, incentra la sua trama sul multiverso e su tutte le possibili vite, abilità e legami che la protagonista, Evelyn, possiede nelle diverse realtà.   Realtà, in effetti, anche molto diverse tra loro, ma ciò che collega tutti i mondi, nel momento in cui cominciano a confondersi tra loro, è il rapporto e l’inseguirsi tra Evelyn e sua figlia, Joy. La ragazza nel multiverso è anche presentata come la pericolosissima Jobu Tupaki, che, in un’altra realtà, spinta da una Evelyn scienziata a sperimentare all’estremo le sue abilità nel muoversi tra i vari universi, va incontro a un esito infausto. Ella sembra non riuscire più a distinguere le realtà e i concetti di bene e male, e crea distruzione spostandosi nel multiverso. Quando le due finalmente si incontrano, Evelyn decide volontariamente di perdersi nel multiverso, come la figlia, per salvarla e ristabilire il loro legame. Si rende poi conto nel corso del film, che Joy/Jobu Tupaki vuole solo spingersi in una sorta di vuoto cosmico, rappresentato dal buco di un bagel gigante.

Il rapporto madre/figlia in Everything Everywhere All at Once

Nel mondo principale di Everything Everywhere All at Once, quello da cui inizia la storia, Evelyn e Joy hanno un rapporto decisamente travagliato, in cui la ragazza ricerca sempre l’approvazione della madre che non ottiene mai, provando grande ansia e frustrazione quando deve interagire con lei. Evelyn dice di accettare l’omosessualità della figlia, ma poi le fa notare come altre madri non avrebbero fatto lo stesso, innescandole un senso di colpa, inoltre non è amichevole con la sua fidanzata e la critica per il suo look, che considera poco femminile.

Joy sente che la madre ignora i suoi sentimenti e ha solo critiche da rivolgerle. Evelyn, dal canto suo, è così impegnata a rimuginare sulle insoddisfazioni e i rimpianti della sua vita che non riesce a comprendere i dispiaceri che provoca alla figlia e di come con la sua durezza stia rovinando il loro rapporto. Ma anche lei stessa è stata soggetta ai giudizi di un padre estremamente severo, giudizi che l’hanno molto segnata.

Una delle grandi metafore di Everything Everywhere All at Once è quella sulla difficoltà dei rapporti umani, soprattutto familiari. Evelyn viaggia tra i mondi e lotta solo per tenere legata a sé la figlia, finché non capisce che lottare non è la soluzione, almeno non come lo intende lei: non deve costringere la figlia ad avere un legame con lei, se non vuole, ma allo stesso tempo deve farle capire che non sarà mai sua nemica e che se vorrà tornare indietro sarà sempre lì ad accoglierla. Cosa che non aveva fatto suo padre, quando Evelyn abbandonò la Cina con il marito. Avviene così anche il chiarimento con il padre, a cui rinfaccia il fatto di averla resa sempre insicura, ma ora che sa quanto vale non sente più il bisogno della sua approvazione e può così migliorare anche nel rapporto con la figlia.  In Everything Everywhere All at Once Evelyn spezza la catena di durezza e incomprensioni che aveva caratterizzato i legami nella sua famiglia, dando vita ad un nuovo inizio, e mostrando che può ancora essere tante cose nuove senza dover per forza saltare tra gli universi, ma restando nel suo e migliorandolo ogni giorno.

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 Fonte immagine: archivio personale

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A proposito di Teresa Errichiello

Nata nel 1995, laureata in Lettere moderne e Discipline della musica e dello spettacolo , grande appassionata di scrittura, arte, cinema ma soprattutto serie tv.

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