Hannibal (2013) | Recensione

Hannibal (2013) | Recensione

Hannibal, l’esempio perfetto di thriller psicologico, basa la sua narrazione su una tensione emotiva e un’estetica visiva unica. Anche se Hannibal si ispira ai romanzi di Thomas Harris, la serie sceglie di non limitarsi al materiale originale ma prende nomi, eventi, dinamiche, e li trasforma: alcuni personaggi assumono ruoli diversi, alcuni eventi riscritti. Non è un adattamento classico ma una riscrittura libera, che mantiene lo spirito del mondo creato da Harris. Il fulcro della narrazione è l’indagine su una serie di efferati omicidi, ma ciò che davvero cattura l’attenzione dello spettatore, è il rapporto che si sviluppa tra i due protagonisti. Un rapporto che si nutre di fiducia apparente, manipolazione e un’inquietudine costante che cresce episodio dopo episodio. La serie, fin dall’inizio, mette in chiaro la propria identità: disturbante, elegante e a tratti quasi lirica nella messa in scena. E se da un lato segue un’impostazione investigativa, dall’altro affonda nel simbolismo, nella psiche, nei conflitti interiori, ma è proprio questo a renderla affascinante: Hannibal punta a chi è disposto ad addentrarsi in territori ambigui.

Stile e personaggi in Hannibal

L’atmosfera di Hannibal crea un senso di sospensione da rendere ogni scena costruita con una precisione quasi chirurgica. Il lato visivo, è quindi la sua firma più riconoscibile: luci soffuse, composizioni simmetriche, palette che virano dal blu al rosso sangue, corpi paragonati a quadri artistici. Anche la violenza, quando compare, non viene mai mostrata in modo brusco, è sempre immersa in una cornice estetica che, paradossalmente, la rende ancora più disturbante; la bellezza convive con l’orrore, senza mai separarli.

La colonna sonora segue lo stesso principio, non ci sono veri temi musicali da ricordare, solo vibrazioni, rumori, respiri, è come se anche il suono fosse parte del linguaggio interiore della serie, un modo per comunicare ciò che i personaggi non dicono apertamente. E parlando dei personaggi, è impossibile non partire da Will Graham: la sua figura ha un’empatia che va oltre il limite, è brillante ma molto fragile; dall’altra parte, Hannibal Lecter è l’opposto esatto, calmo, impeccabile, quasi imperscrutabile, subdolo, elegante. Ed è proprio questa compostezza, questo controllo assoluto, che inquieta più di qualsiasi gesto brutale. Il rapporto tra i due è il nucleo della serie, una relazione fatta di complicità ambigue che chi stia osservando chi, chi stia manipolando chi è quasi impossibile.

Il legame tra Hannibal e Will

In Hannibal, tutto ruota attorno al loro rapporto: Will è un uomo che vive al limite, empatico e aperto al dolore degli altri, la sua mente funziona in modo unico, ma è spesso un fardello e Hannibal lo capisce fin da subito. Lo ammira, per lui Will è una possibilità, una sfida, qualcosa che somiglia a una forma distorta di affetto, Hannibal gioca con Will, lo spinge verso l’orlo, ma non vuole davvero vederlo cadere. Will, dal canto suo, non è una vittima passiva e intuisce che c’è qualcosa di oscuro in Hannibal, ma ne è attratto: è come se, guardandolo, vedesse una parte di sé che non riesce a ignorare e più cerca di allontanarsene, più si avvicina. Non è amicizia, non è rivalità, e nemmeno una vera alleanza ma un intreccio di fiducia e tradimento, eppure nessuno dei due riesce mai davvero a separarsi dall’altro. Alla fine, ciò che li lega è questa somiglianza che nessuno dei due vuole ammettere, ma che entrambi sentono; due menti affilate, che si riflettono l’uno nell’altro.

Scena di Hannibal (Amazon Prime Video) 

La vera natura di Hannibal

La trama di Hannibal si presenta, almeno all’inizio, come quella di una classica serie investigativa: un profiler dell’FBI, Will Graham, viene chiamato a risolvere una serie di delitti raccapriccianti, grazie alla sua capacità unica di entrare nella mente dei killer. A supportarlo c’è il dottor Hannibal Lecter, psichiatra brillante e figura di riferimento all’interno delle indagini, ma fin da subito è chiaro che la serie racconta qualcosa di molto più profondo, disturbante e personale. Lentamente, lo schema del caso da risolvere scompare sullo sfondo, lasciando la lucidità vacillare fino a diventare follia. Al centro di tutto ovviamente c’è Hannibal, un uomo raffinato, intelligente, che vive secondo una logica propria. Le sue azioni sono mostruose ma compiute con tale eleganza e distacco da risultare quasi ipnotiche: uccide, manipola, mente. La serie non lo giustifica ma non lo condanna esplicitamente, lascia che sia lo spettatore a decidere. Nel tempo, la trama le indagini diventano metafore, i dialoghi somigliano a confessioni e soprattutto i confini tra realtà e delirio si assottigliano, fino quasi a scomparire. Una storia sul desiderio di comprendersi, anche quando per farlo bisogna attraversare l’oscurità. C’è un momento, in Hannibal, che riesce a raccontare tutta la brutalità del protagonista, ed è una scena che colpisce per la calma glaciale con cui si svolge: nel decimo episodio della seconda stagione, Hannibal invita un ospite a cena: la casa è impeccabile, l’atmosfera tranquilla, accogliente e piatti sono serviti con eleganza. A un primo impatto sembra un incontro come tanti eppure l’uomo seduto di fronte a lui non sa di star mangiando la carne del proprio fratello, ucciso poco tempo prima, mentre Hannibal lo guarda compiaciuto. Il male, in questo episodio, prende la forma dell’eleganza ed è in momenti come questo che la serie mostra il lato più inquietante del suo protagonista.

Hannibal è fatta per essere vissuta con attenzione, dove ogni scena ha il suo peso e ogni parola porta con sé un doppio significato. C’è qualcosa di quasi ipnotico nel modo in cui trasforma l’orrore in una forma di bellezza distorta. La fotografia è curatissima, colori saturi, contrasti netti mentre gli ambienti sembrano stanze interiori, riflessi delle ossessioni e dei pensieri di chi li abita.

Fonte immagine di copertina: Amazon Prime Video

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