Tra le paure recondite dell’essere umano c’è quella della ribellione della natura. Nonostante la distruttività dell’uomo sull’ambiente sembra essere di una fredda indifferenza, nel corso degli anni si è comunque affermato il genere dell’horror ambientale che porta a galla tutti i timori dell’uomo verso la natura.
Cosa succede quando è la natura a prendere il controllo su di noi?
La nascita del genere horror ambientale
La paura che la natura possa prendere coscienza in qualche modo e decidere di vendicarsi dell’uomo si è fatta strada con maggiore convinzione negli anni della Rivoluzione Industriale. E come ogni problema sociale che si rispetti, il cinema ha risposto.

King Kong del 1993 (che ha poi subito un remake nel 1976 e poi ancora nel 2005) di Merian Caldwell Cooper e Ernest Beaumont Schoedsack, può essere considerato come il pioniere del genere horror ambientale. Attraverso il contrasto di città moderne e apparentemente ordinate (dove risiedono gli umani), e l’Isola del Teschio (dove risiede il Re Kong), il film mette in scena la primissima rappresentazione dello scontro tra natura (in questo caso, attraverso gli animali) e cultura umana.
Tutti conosciamo l’iconica scena della lotta tra King Kong e gli aerei sull’Empire State Building, ed è stata proprio questa scena a rappresentare metaforicamente il disfacimento dell’ordine naturale.
Nonostante siano stati prodotti film simili negli anni successivi, il vero marcatore della nascita del genere è Alfred Hitchcock con il suo film Gli Uccelli (1963).
Regole generali per un horror ambientale di successo
Con questo film Hitchcock codifica implicitamente le regole di un horror ambientale di successo. I personaggi non sono né eroi né combattenti, sono persone assolutamente comuni, fragili e impreparati. Vivono spesso momenti familiari comuni a tutti, momenti domestici e tranquilli dove si sentono sicuri.
Avviene poi il capovolgimento improvviso di questa sicurezza, trasformando l’ambiente dei protagonisti in un posto ostile dove le regole della natura differiscono completamente da quelle umane. Infatti, in questi film, la natura non segue la logica umana, non spiega per quale motivo faccia certe cose, è completamente fuori dal controllo umano. Qui si mette in discussione la convinzione dell’uomo di poter trasformare la natura come meglio crede.

Nel film Gli Uccelli, in particolare, l’elemento in grado di turbare maggiormente lo spettatore è che non esiste una spiegazione sul cosa ha spinto gli uccelli ad aggredire i protagonisti. Ad un certo punto della storia si ipotizza sull’inquinamento, sulla bomba atomica, ma non è confermato perché stia succedendo quella terribile vicenda. Non a caso l’ignoto è una delle paure più grandi dell’uomo. Quello che sostiene il tutto sono le relazioni e le emozioni umane che vengono rappresentate come incerte ed instabili anche davanti ad una minaccia più grande.
Secondo alcune analisi, infatti, tutto il film sarebbe una metafora della repressione sociale e sessuale. Gli attacchi degli uccelli rompono l’armonia familiare dei protagonisti con l’arrivo di Melanie, una donna sicura di sé e trasgressiva per gli anni in cui si ambienta il film. Di certo non una donna convenzionale degli anni ‘50.
L’horror ambientale dopo Hitchcock
Si sono susseguiti negli anni tantissimi film sugli insetti (i cosiddetti bee movies), sugli aracnidi, ed in generale su animali solitamente mansueti che all’improvviso decidono di riprendere il monopolio della Terra, ma pochi hanno avuto successo.
Un docu-drama degno di nota è La cronaca di Hellstrom (1971) di Walon Green che ha anche vinto l’Oscar al miglior documentario. Questo, attraverso riprese microscopiche, dimostra come la brutalità, l’organizzazione e l’efficienza degli insetti potrebbe tranquillamente sovrastare gli esseri umani ed essergli superiore. L’unica cosa che li ferma dal farlo è la loro piccola dimensione.

Altro marcatore del genere è sicuramente Lo Squalo di Steven Spielberg che oltre ad una costruzione tensiva eccellente, ha segnato intere generazioni con la paura di nuotare nell’oceano, e contribuendo a falsi miti sugli squali.
Sempre sullo stesso filone di regole del genere horror ambientale, altri film hanno trasmesso egregiamente la paura della natura che si ribella: Long Weekend (1978) di Colin Eggleston, Shivers – Il demone sotto la pelle (1975) di David Cronenberg, The Mist (2007) di Frank Darabont (dall’omonimo romanzo di Stephen King), The Happening (2008) di M. Night Shyamalan e A Quiet Place (2018) di John Krasinski.
In conclusione
Come negli anni ‘80 il genere slasher ha subito una battuta di arresto nella qualità a causa della ripetitività delle storie e del mercato saturo, anche l’horror ambientale ha avuto una sfilza di titoli, molti low budget, che non hanno dato giustizia al genere. Ma una cosa resta costante è deve rimanere tale: non è mai colpa della natura che si ribella, ma dell’uomo che invade gli spazi che non gli appartengono rompendo gli equilibri vitali.
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