Kanashimi no Belladonna (哀しみのベラドンナ) è un film d’animazione giapponese diretto da Eiichi Yamamoto e pubblicato nel 1973 dalla casa di animazione Mushi Production. Il film trae ispirazione da un saggio scritto intorno al 1862 di Jules Michelet, intitolato La Sorcière in cui ripercorre la storia della stregoneria, descrivendo vita, caccia ed Inquisizione. Per quanto inaccurato, il saggio è il primo ad analizzare il fenomeno della stregoneria sotto una lente compassionevole piuttosto che condannatoria, come spesso accadeva.
Lo stile di disegno è altrettanto particolare: si rifà allo stile Art Nouveau, in particolare ai maggiori esponenti del movimento come Gustav Klimt, Alfons Mucha e Egon Schiele.
Al botteghino la pellicola si rivelò un disastro totale, portando in bancarotta lo studio d’animazione; eppure, con il passare degli anni, è diventato un film apprezzato dalla critica contemporanea.
Kanashimi no Belladonna: tra superstizione e stregoneria
La storia è ambientata nella Francia medievale in un piccolo villaggio di provincia. Jeanne è una giovane donna che ha coronato il suo sogno d’amore: ha sposato Jean, un umile contadino e non vede l’ora di iniziare questo nuovo capitolo di vita. Ma l’atmosfera fiabesca è bruscamente interrotta quando la donna, durante la prima notte di nozze, viene violentata dal signore del castello e dai suoi fedeli.
L’evento traumatizza Jeanne che rivela tutto al marito; sebbene inizialmente Jean mostri il suo supporto e conforto per la tragedia, non riesce a non immaginarsi la scena e per questo tenta di strangolare la moglie. Da quel momento i rapporti coniugali si sgretolano e Jeanne inizia ad avere delle strane visioni, presa dai tormenti e dalle paure; le appare davanti agli occhi una strana sagoma dalla forma fallica che la invoglia a cercare vendetta per il torto subito.
Nel frattempo il barone feudale è in preda ad una crisi finanziaria: lo sforzo bellico è messo alle strette quando una carestia si abbatte sul villaggio, decimando la popolazione. Per sostenere le spese, non volendo rinunciare alla guerra, il signore del castello decide di aumentare l’imposizione delle tasse e affida l’incarico di esattore a Jean.
Jeanne, durante i continui incontri con lo spirito ignoto, riesce ad entrare nelle grazie del barone il che suscita le gelosie della Milady, la quale accusa la donna di stregoneria e la fa cacciare dal villaggio. Jeanne cerca ancora una volta supporto dal marito che, però, questa volta rifiuta di ascoltarla e la rinnega.
Disperata, la giovane trova rifugio nella foresta dove viene accolta dall’entità che rivela di essere il Diavolo e le offre un patto: il suo corpo in cambio di poteri immensurabili che le permetteranno di vendicarsi di coloro che l’hanno umiliata.
Paura del femminile
Kanashimi no Belladonna non si può definire interamente un film femminista, in quanto Jeanne riesce a liberarsi dall’oppressione grazie al Diavolo, ma ciò avviene tramite l’abuso da parte di quest’ultimo sul suo corpo, ergo perpetuando il ciclo di possessione e violenze della società patriarcale. Risulta, infatti, un film ambiguo sulla rappresentazione dello stupro e sulla posizione degli sceneggiatori.
Il film mira piuttosto a dare una rappresentazione cruda della condizione della donna medievale, una condizione di subalternità ed oggettivazione da parte del mondo maschile: Jeanne viene costantemente deturpata dalla società poiché viene percepita come carne alla brace piuttosto che come donna. Anche il Diavolo, che di fatto le dà la possibilità di elevarsi e ribellarsi al patriarcato, le concede tali poteri attraverso abusi e violenze, per cui la vita di Jeanne si connette inevitabilmente a traumi dai quali non riuscirà a riprendersi.
Viene mostrato, inoltre, come le vicende della giovane siano strettamente legate ad una paura intrinseca nella società del mondo femminile: Jean, piuttosto che comprendere e aiutare la moglie, la ripudia e l’allontana incolpandola della fine della relazione, mostrandosi quindi come un uomo vile e ignobile. Il barone vede la bellezza di Jeanne come una giustificazione a prendere possesso del suo corpo, un diritto irrevocabile; e anche la moglie, la Milady, prova timore per la riscoperta sessualità e femminilità della donna, per questo costringendola all’esilio.
Il popolo stesso dapprima scaccia e teme i poteri di Jeanne e solo quando questa porta prosperità e libertà, che viene accettata e reinserita nella società; ma è una riammissione fittizia in quanto, anche in questo caso, viene sfruttata per ciò che può offrire e non per il vero valore che possiede.
Per questo poi, l’esorcizzazione della donna avviene sul piano sia metaforico che letterale: Jeanne perisce arsa sul rogo e così, apparentemente, viene liberato il popolo dal demonio femminile.
Simbolismo visivo
Il film potrebbe non piacere per i temi trattati e per le rappresentazioni estremamente frequenti e grafiche dello stupro, ma va sottolineata l’estetica visiva che accompagna il lungometraggio, oltre all’evocativa colonna sonora di Masahiko Satô.
Un elemento fondamentale è l’uso del colore per rappresentare i diversi stati emotivi e psicologici in cui si trova Jeanne: si vede, infatti, che il colore dei suoi capelli cambia dal bianco, simbolo della purezza e dell’innocenza al nero per indicare la disperazione e l’oscurità della protagonista; e ancora il rosso indica la passione dell’atto, il lilla indica la solitudine e la melanconia che prova Jeanne per buona parte della storia.
Il verde è, però, la tinta più peculiare ed importante: rappresenta il potere ed è presente sotto diverse sfubmature per indicare vari tipi di potere. I sovrani feudali indossano abiti di un tono di verde molto spento che è indice del potere regio, politico e sociale; invece il verde brillante è presente nelle scene legate all’apparizione del Diavolo e, conseguenzialmente, alla transizione di Jeanne da semplice paesana a potente strega e quindi, il verde simboleggia l’acquisizione di un riscatto sociale verso la comunità che tanto l’ha demonizzata.
In conclusione, Kanashimi no Belladonna non è un film adatto a tutti, molto violento e disturbante su alcuni aspetti che, però, rimane un’opera peculiare ed estetica.
Fonte Immagine: Screenshot di Giorgia Manzo da Belladonna of Sadness (1973), regia di Eiichi Yamamoto. Copyright © Mushi Production.