Lorenzo Baraldi, intervista allo scenografo de Il postino

Lorenzo Baraldi

Nel fine settimana del 18 e del 19 maggio si è tenuta nella meeting room dell’hotel Bellini di Napoli una Master Class in scenografia cinematografica tenuta da Lorenzo Baraldi. Un nome di prestigio per il nostro cinema, che ha lavorato accanto a registi quali Mario Monicelli, i fratelli Taviani, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Dino Risi e Massimo Troisi. Sono sue infatti le scenografie di capolavori del cinema italiano come Il Marchese del Grillo (David di Donatello e Nastro d’argento alla scenografia nel 1982), Il postino (Premio festival del cinema italiano e Time for Peace award nel 1994), ma anche di miniserie televisive come la recente Trilussa – Storia d’amore e di poesia.

Per Eroica Fenice abbiamo avuto l’onore di poter intervistare Lorenzo Baraldi da vicino, ponendogli alcune domande. Ne approfittiamo per ringraziarlo della sua disponibilità e gentilezza nel rispondere ai nostri quesiti dai quali traspare tutta la storia del cinema italiano dagli anni ’60 in poi. Un cinema che, dalle parole dello scenografo, sembra continuare a vivere ancora oggi.

Intervista a Lorenzo Baraldi

– Lorenzo Baraldi, lei ha avuto l’onore di lavorare con grandi nomi del cinema italiano: Mario Monicelli, Paolo e Vittorio Taviani e soprattutto Massimo Troisi ne Il postino. Che sensazioni ha provato nel mettere la sua arte da scenografo al servizio di questi importanti nomi e che ricordi ha?

Già quando ero aiuto assistente ebbi molti incontri importanti con diversi registi e scenografi. Dopo aver frequentato l’istituto d’arte di Parma e  l’Accademia di Belle arti di Brera a Milano sono arrivato a Roma, poiché ero appassionato di cinema. Ho incontrato i grandi maestri di scenografia Bulgarelli e Schiaccianoce. Per un giovane come che aveva 25 anni e che giungeva Roma chiedevo alle persone dove si potevano incontrare queste personalità. Tutte si riunivano a Piazza del popolo, nei bar Rosati e Canova. Lì ho conosciuto Ennio Flaiano, Federico Fellini, ma anche letterati, romanzieri e scultori che si riunivano tutti assieme, in una dimensione che metteva in comunicazione tutte le arti. Era un mondo in cui ci si incontrava ancora nei caffè, un mondo splendido nonostante i momenti politici difficili per un giovane di 25 anni.

– Rispetto a quello del regista, dell’attore o dello sceneggiatore, quello dello scenografo è forse uno dei ruoli meno ricordati quando si pensa al cinema. A cosa è dovuta secondo lei questa mancanza? A tale proposito, quanto è importante il ruolo dello scenografo per la buona riuscita di un film?

Purtroppo noi scenografi siamo invisibili, ma il problema è che nemmeno lo sceneggiatore è visibile ed è colui che scrive la storia. Eppure questi sono i cardini del film. Si dice che il regista faccia il film, in realtà non fa lo scenografo né l’autore. Il regista ti lascia mano libera e significa che tu sei l’autore. Il problema è che nemmeno i critici sanno cosa sia una scenografia: parlano del film, parlano della regia, parlano degli attori e finisce lì. Oggi come oggi organizzo mostre dove  faccio bozzetti e mia moglie fa i costumi. La gente che osserva questi bozzetti e costumi ci chiede se li facciamo noi e io rispondo «Ma nei film del ‘700, ‘800, ‘900 tutti gli attori venivano già vestiti?». Anche i media giocano su questo, perché non ti fanno conoscere le persone. Abbiamo avuto molti italiani che hanno vinto gli oscar per la scenografia, ma i loro nomi vengono ricordati soprattutto all’estero. Se scorriamo le liste degli Oscar, dalle nomination agli Oscar vinti, scenografi e costumisti italiani hanno vinto di più di tutti quanti e ne hanno vinti più di montatori, tecnici del suono e tante altre personalità. Nel 1974 ebbi uno scontro nello stesso periodo in cui girai Caro Michele, tratto da un libro di Natalia Ginzburg e diretto da Mario Monicelli. Sul Corriere della sera la Ginzburg scrisse che aveva apprezzato molto il lavoro fatto sulla scenografia e io scrissi ai critici dell’epoca mostrandogli che di una figura come quello dello scenografo non ne parlavano mai. Ho portato avanti una battaglia in nome di queste categorie e si è iniziato a scrivere qualcosa su di loro, anche se per poco tempo. Si tratta di uno scenario desolante, perché veniamo messi da parte. Gli scenografi costruiscono il film perché devono far capire al regista, che spesso non sa cosa sia la scenografia, come si costruisce una scena tramite modellini e disegni. Anche noi scenografi siamo autori, per questo con la mia associazione da dieci anni ho fondato la rivista dell’ ASC (Associazione Scenografi, Costumisti e Arredatori), venduta nelle librerie di Roma, Milano e Napoli e giunta a 13 numeri. Questo è un modo per far capire ai lettori che dietro a un film di Sorrentino, Garrone e di tanti altri ci siamo anche noi.

– Scorrendo la sua filmografia ci si accorge che ha una grande passione per i film di argomento storico, se pensiamo solo a Il postino o alla miniserie La guerra è finita. Ma ha mai pensato di provare a costruire la scenografia per generi di film diversi?

Io ho fatto di tutto. Lo spaghetti western, anche se come aiuto assistente, e due horror negli anni ’70: La dama Rossa e La notte che Evelyn uscì dalla tomba diretti da Emilio Miraglia, i primi film a cui lavorai come scenografo vero e proprio. Era un momento in cui, grazie a L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento, tutti i produttori si buttarono a fare tutti questi piccoli film horror.  Noi scenografi siamo poliedrici, perché è il regista che mi chiede di lavorare ad un dato film di qualunque genere. Ho lavorato anche con Philippe Starck a Bilbao e per le case di moda. Insomma, mi chiamano e vado.

– Ultima domanda. Cosa si aspetta dagli allievi che hanno partecipato alla sua Master Class?

Il problema è che questa Master Class è soltanto di due giorni. Io gli ho raccontato più o meno la mia vita, i miei incontri, quello che ho fatto, ho fatto vedere pezzi dei miei film di cui faccio vedere fotografie e bozzetti. Forse sono entrato dentro ad un giro in cui mi chiamano gli amici a collaborare con loro, c’è un ricambio generazionale. Ma c’è una cosa molto importante: io ho avuto molto dal cinema e ho avuto molto da tutte le persone che hanno lavorato con me e continuo ad essere ottimista soprattutto verso il cinema italiano, con la speranza che un giorno torni ad essere quello di una volta. Ho lavorato con grandissimi registi diversi per linguaggio, mentre oggi tutti sembrano adottarne uno soltanto. Un’altra cosa che manca al cinema italiano è la presenza di film di genere che oggi, solo grazie a Sky, si sta riprendendo grazie ai vari Gomorra e Suburra. Sono importanti questi film perché quando li giravamo negli anni ’60 e ’70 vendevamo in tutto il mondo e con i soldi guadagnati si finanziavano i film dei “grandi”: Antonioni, Fellini e Zeffirelli che necessitavano di essere portati ai festival dai produttori. Un tempo i produttori erano privati, oggi sono tutti esecutivi che lavorano sotto l’ordine dei “nuovi” produttori: Rai, Mediaset e Sky. A loro si porta una sceneggiatura, se va bene si fa il film. Ma poi non gliene importa nulla. Ogni tanto fanno qualcosa, ma poi finisce lì. Molte volte il problema è che ci sono sceneggiature fantastiche, ma i produttori non hanno coraggio: le leggono e le buttano nel cestino per produrre sempre le stesse cose, in una ripetizione continua.

Fonte immagine copertina: https://www.expartibus.it/master-class-di-scenografia-cinematografica-di-lorenzo-baraldi/

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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