Si è conclusa sabato sera, con la cerimonia tenutasi al Palazzo del Cinema e condotta da Emanuela Fanelli, la Mostra del Cinema di Venezia 2025. La kermesse, giunta alla sua 82ª edizione, ha visto trionfare uno dei maestri dell’indie statunitense, Jim Jarmusch, con il film “Father Mother Sister Brother”, un racconto intrecciato di tre famiglie condizionate dalla distanza. Il verdetto emesso dalla giuria capitanata da Alexander Payne ha fatto storcere il naso a più di qualcuno, ma è comunque un bel riconoscimento per il cineasta di Akron, la cui pellicola, tra l’altro, era stata scartata dalla selezione del Festival di Cannes.
Il palmarès ufficiale dell’82ª edizione
La cerimonia di chiusura ha portato con sé qualche polemica, esclusioni importanti e un bottino discretamente soddisfacente per l’Italia. Dopo un commovente tributo a Giorgio Armani, di recente scomparso, sono stati assegnati i premi attoriali.
Il Premio Marcello Mastroianni, che riconosce gli interpreti emergenti, è andato a Luna Wedler, attrice svizzera classe 1999 e tra i protagonisti di “Silent Friend (Stille Freundin)”, una co-produzione tra Germania, Francia e Ungheria diretta dall’ungherese Ildikó Enyedi. La Wedler è stata capace di tenere testa, sullo schermo, ad attori del calibro di Tony Leung e Léa Seydoux.
Le due Coppe Volpi, i premi assegnati alla miglior interpretazione femminile e maschile, se le sono aggiudicate rispettivamente Xin Zhilei, attrice principale nel film “Rì guà zhōngtiān” di Cai Shangjun, e Toni Servillo, che veste i panni del presidente del consiglio Mariano De Santis in “La Grazia” di Paolo Sorrentino, pellicola d’apertura del Festival. Zhilei è così la seconda attrice cinese di sempre a vincere la Coppa Volpi dopo Gong Li. Per l’attore feticcio di Sorrentino, invece, si tratta incredibilmente del primo riconoscimento individuale in uno dei maggiori festival europei.
A proposito di italiani, torna ancora una volta vittorioso da Venezia Gianfranco Rosi, già Leone d’Oro con “Sacro GRA”, che ottiene il Premio Speciale della Giuria con “Sotto le nuvole”. Nuovamente attraverso il genere del documentario, Rosi è riuscito a disegnare Napoli con uno sguardo ritenuto originale dai votanti.
“À pied d’œuvre”, film francese che parla di lavoro e capitalismo, vince il Leone d’Argento per la migliore sceneggiatura, assegnato quindi a Valérie Donzelli (anche regista) e Gilles Marchand. Invece è Benny Safdie, noto per i film realizzati assieme al fratello Josh, a conquistare il Premio per la miglior regia. Alla sua prima sortita da solista, Safdie si è affidato a Dwayne “The Rock” Johnson per raccontare la storia del lottatore di MMA (arti marziali miste) Mark Kerr in “The Smashing Machine”.
Se Jarmusch, come detto, ha vinto il Leone d’Oro, si è dovuto accontentare del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria “The Voice of Hind Rajab”, film diretto e scritto dalla regista tunisina Kaouther Ben Hania che narra dell’uccisione della bambina palestinese Hind Rajab e che al Lido ha fatto commuovere.
Polemiche e reazioni
Come sempre quando si parla di premi, il rumore maggiore riguarda le esclusioni. Fuori dalle grazie di Alexander Payne e dei suoi colleghi giurati sono rimasti nomi grossi come Yorgos Lanthimos (“Bugonia”), Kathryn Bigelow (“A House of Dynamite”), Noah Baumbach (“Jay Kelly”) e soprattutto il sudcoreano Park Chan-wook, il cui “No Other Choice” era stato accolto molto bene dalla critica internazionale.
La decisione sul Leone d’Oro, visti i pronostici e la reazione a “The Voice of Hind Rajab”, ha costretto Payne a spiegare la scelta nella conferenza stampa successiva. “Come giuria abbiamo apprezzato entrambi i film allo stesso modo. Avremmo voluto assegnare il premio principale a tutti e due, ma l’ex aequo non è permesso”, ha detto il cineasta.
Questa Mostra del Cinema di Venezia 2025 è stata caratterizzata dalle controversie sin dall’inizio. Ci sono stati i casi di Gal Gadot e Gerard Butler, protagonisti di “In The Hand of Dante” di Julian Schnabel, impossibilitati a raggiungere la mostra su richiesta del collettivo Venice4Palestine per via delle loro posizioni pro-Israele; le polemiche che hanno accompagnato “After the Hunt” di Luca Guadagnino riguardo alla prospettiva sul movimento #MeToo e il concomitante omaggio a Woody Allen; così come la questione MUBI e i suoi finanziamenti ottenuti dal fondo Sequoia Capital, su cui né Sorrentino né Jarmusch, entrambi distribuiti dal colosso, hanno saputo garantire risposte esaustive.
Anche dal palco della cerimonia di chiusura si è parlato tanto di Palestina, e non solo per il lungo applauso concesso a Ben Hania e l’emozionante discorso tenuto dalla regista tunisina, concorde con il vincitore nel sostegno al popolo palestinese. David Pablos, trionfatore nella sezione Orizzonti con “En el Camino”, si è lasciato andare a un esplicativo “Que viva Palestina”. Così Maryam Touzani, vincitrice del premio del pubblico con “Calle Malaga”: “Sono addolorata perché non posso dimenticare l’orrore inflitto con tanta impunità ogni secondo alle persone di Gaza e della Palestina”. E ancora l’indiano Anuparna Roy, miglior regia in Orizzonti per “Song of the Forgotten Trees”: “È nostra responsabilità essere al fianco della Palestina in questo momento”.
Toni Servillo, invece, nel suo discorso ha esternato il suo sostegno alla Global Sumud Flotilla, la nave di attivisti in viaggio verso Gaza. C’è stato spazio anche per l’altra guerra, quella in Ucraina, ricordata da Nastia Korkia (“Short Summer”) alla consegna del Premio Luigi De Laurentiis per la miglior opera prima. La realtà, in mille modi, irrompe prepotentemente nel cinema.
Fonte immagine: Wikimedia Commons // LucaFazPhoto