Perché oggi è necessario ascoltare gli studenti? Perché il rapporto tra intelligenza artificiale e creatività è un cambiamento che attraversa ogni giorno le aule, i laboratori, le esercitazioni e le conversazioni informali tra i giovani che studiano design, comunicazione visiva, fotografia o progettazione digitale.
Per questo motivo NAD – Nuova Accademia del Design e Accademia Cappiello hanno avviato un lavoro di osservazione interna, raccogliendo opinioni, dubbi, entusiasmi e timori espressi dagli studenti che oggi vivono in prima persona la trasformazione dell’immaginazione nell’era dell’IA.
La domanda al centro è semplice, ma decisiva: come cambia il modo di pensare, vedere e creare quando nella propria formazione entra un’intelligenza artificiale?
Uno scenario complesso: cosa dicono i dati
Prima di ascoltare le percezioni dei ragazzi, è utile collocare la questione dentro l’orizzonte delle ricerche accademiche più rilevanti.
Uno studio condotto da Farinosi e Melchior su 1.366 studenti italiani, pubblicato nel 2025 su Nature Humanities & Social Sciences Communications, mostra che:
- il 69,2% utilizza strumenti di IA generativa per progetti personali;
- solo il 38,7% la impiega per attività universitarie;
- la maggior parte esprime un atteggiamento “cauto-entusiasta”: entusiasmo per le possibilità, riserva sul ruolo dell’IA nella propria crescita professionale.
Un secondo studio, firmato da Treglia e Tomassoni e pubblicato nel 2024 su GSDJournal, evidenzia come gli studenti riconoscano all’IA una forte capacità di espansione creativa, ma temano contemporaneamente:
- una perdita di autonomia immaginativa,
- un’eccessiva dipendenza dagli algoritmi,
- una possibile omologazione estetica.
Questi dati confermano una cosa: l’IA non viene vissuta come una minaccia, ma come una forza che richiede lucidità, direzione, consapevolezza. Ed è esattamente ciò che emerge anche nel confronto con gli studenti di NAD e Cappiello.
Cosa emerge dalle conversazioni con gli studenti della Nuova Accademia del Design e dell’Accademia Cappiello

Accademia Cappiello
Le discussioni avvenute in aula – formali e informali – evidenziano un sentimento complesso. La Nuova Accademia del Design e l’Accademia Cappiello, entrambe parte di Hdemy Group e presenti con sedi a Verona, Milano e Firenze, accolgono ogni anno studenti provenienti da tutta Italia anche grazie ai percorsi online, costituendo un osservatorio privilegiato sulle nuove generazioni creative.
Gli studenti di interior design, grafica, comunicazione visiva, fotografia, fashion communication e progettazione digitale non guardano all’IA come a un’entità esterna, ma come a uno strumento che abita già la loro quotidianità. Tuttavia, le loro reazioni non sono uniformi.
Stupore
Molti percepiscono l’IA come un’estensione del pensiero: una lente che permette di immaginare mondi, atmosfere, spazi e identità visive con una rapidità mai sperimentata prima.
Sovrastimolazione
La generazione che oggi frequenta NAD e Cappiello vive immersa in infinite possibilità visive. L’IA apre sentieri, ma rende anche più difficile individuare una direzione stabile.
Bisogno di autenticità
Il rischio che viene percepito è chiaro: confondere la velocità con il valore. Gli studenti vogliono imparare non a “generare”, ma a scegliere.
Timore di perdere il proprio segno
Quasi tutti concordano su un punto: l’IA può essere un alleato, ma solo se non sostituisce la complessità del pensiero umano. Il timore maggiore non riguarda la tecnologia, ma la perdita della propria voce.
Le loro impressioni non sono dati statistici, ma segnali culturali. E sono preziosi.
Come NAD integra l’IA nei corsi: progettare, non automatizzare

Nei corsi triennale di NAD, l’IA non viene trattata come un modulo separato, ma come una componente del processo progettuale. Nei corsi di interior design, design digitale e fashion communication, gli studenti imparano a:
- usare l’IA per esplorare varianti, non per sostituire la fase ideativa;
- integrare modelli generativi nel concept design;
- valutare criticamente l’esito visivo, decidendo cosa mantenere e cosa abbandonare;
- costruire un progetto finale che non sia “prodotto dalla macchina”, ma diretto dal progettista.
L’accento non è sulla tecnica, ma sulla responsabilità creativa.
L’IA non definisce il progetto: lo mette alla prova.
Come Cappiello integra l’IA: costruire sguardi, non immagini
All’Accademia Cappiello, dove la formazione triennale è centrata sui linguaggi dell’immagine – grafica, fotografia, video, brand communication – l’IA viene affrontata come un tema culturale e non solo operativo.
Durante i laboratori, gli studenti lavorano su:
- selezione critica degli output generati;
- confronto tra immagine “generata” e immagine “costruita”;
- riflessione sulla coerenza narrativa delle immagini ottenute;
- analisi delle influenze stilistiche dei modelli generativi;
- recupero dell’intenzionalità autoriale all’interno del flusso di produzione.
La domanda che guida il percorso è semplice e radicale: che tipo di immagine stai scegliendo di raccontare? Perché la creatività, per Cappiello, non risiede nell’esecuzione ma nella posizione.
Generazioni davanti a un bivio: cosa resta umano?
Dalle ricerche accademiche e dalle impressioni raccolte emerge un’idea comune: l’IA non definisce la creatività del futuro, ma la interroga.
I giovani che oggi progettano, disegnano, fotografano o costruiscono narrazioni visive non temono la tecnologia. Temono l’indifferenza. Temono un mondo in cui l’immaginazione diventa automatica, ripetibile, standardizzata.
Eppure, proprio in questa tensione – nel bisogno di autenticità e direzione – si intravede il vero cambiamento culturale.
L’IA moltiplica le possibilità, ma chiede a chi crea di fare ciò che nessuna macchina può fare: dare un senso.
L’intelligenza artificiale non sta sostituendo la creatività umana: la sta rendendo più esigente. Per i giovani, per le accademie, per le professioni del futuro. NAD e Cappiello stanno mostrando che la sfida non è tecnologica, ma educativa: insegnare a pensare, scegliere, costruire senso in un mondo in cui tutto può essere generato. La creatività del futuro sarà una negoziazione continua tra umano e artificiale. E sarà la qualità dello sguardo – non la potenza dell’algoritmo – a fare la differenza.

