Acqua cheta: intervista all’autrice Sara Guardascione

Sara Guardascione

Un paesino da cartolina: il mare che lambisce la spiaggia, scale dalle quali inerpicarsi per raggiungere le case incastonate come piccole gemme, apparentemente uno scrigno di tesori, che cela forse oscuri segreti ben nascosti e protetti dietro il pizzo delle tende e sotto i sontuosi tappeti. Questo è Rampe di Bellarena, il luogo dal quale la storia prende le sue mosse. Acqua cheta è il titolo dell’esordio letterario di Sara Guardascione (edito da Homo Scrivens), già attrice oltre che editor e ora scrittrice di un giallo che indaga la vita degli abitanti di un paesino che quasi prende vita attraverso le vite che contiene. Nessuno può sfuggire a Rampe, nemmeno chi una vita ha provato a farsela altrove, come Rossana che, una volta tornata, resterà imbrigliata in questa rete, la cui trama è intessuta abilmente e non lascia scampo; nessuno può guardare dietro le tende, o sotto quei tappeti: tutto deve restare immobile, come in quei carillon sotto vetro.

La parola ora però all’autrice, Sara Guardascione, che ci racconta il suo libro, Acqua Cheta.

Acqua cheta, intervista all’autrice Sara Guardascione 

Attrice, editor, scrittrice, chi è Sara Guardascione, e in quale ruolo si sente più a suo agio?

La prima domanda è già complicata! Ecco, di certo non nel ruolo di scrittrice. È la prima volta che “vesto questi panni” nella vita vera e spero di esserne all’altezza (anche se nei prossimi tre mesi – curiosa coincidenza – interpreterò la scrittrice Mary Lamb nello spettacolo Raccontami Shakespeare in giro per i teatri campani e siciliani con la mia compagnia, Cercamond).

Fin da bambina sognavo di diventare attrice e scrittrice (non sapevo ancora cosa fosse il lavoro di editor!) e da sempre il palco e i libri mi hanno affascinato in egual misura. Quindi forse posso dire di star concretizzando i miei sogni, di star perseguendo i miei obiettivi. E quello del teatro oggi è sicuramente al primo posto. Ma non mi illudo, non sono una wannabe, preferisco costruirmi dal basso, con le mie idee e quelle delle persone con cui collaboro, ci vuole più tempo ma il risultato è più soddisfacente, perché te lo conquisti con le tue mani. Gli spettacoli diventano come dei figli creativi.

In più trovo che ci sia una grande affinità tra il lavoro di attrice e quello di editor: in entrambi i casi si è mediatori tra la volontà dell’autore e il suo pubblico. Ci si lascia attraversare. E questo per me è molto bello.

Perché sceglie di esordire con un romanzo giallo?

La scelta del “giallo” come genere è dovuta a due motivi principali: il primo è che la prima scrittrice “per adulti” che io abbia letto è Agatha Christie. L’ho fatto da bambina, per imitazione: mia mamma e la mia sorella maggiore erano “fan”, e io ho voluto provare per sentirmi “grande”. E non ho smesso, ho divorato decine e decine di libri della regina del giallo prima di passare ad altro. Non potevo quindi che partire da lì. Il secondo è che sono un’amante dei giochi con regole (del resto anche il teatro lo è) e dei rompicapi. E un giallo è anche e soprattutto questo.

Quale è stato il movente del romanzo, ciò che l’ha spinta a iniziare a scrivere?

Ho iniziato a scrivere perché durante il primo lockdown, nel 2020, ho avuto il tempo di mettere insieme i miei pensieri. Di riflettere su quello che mi premeva. E soprattutto di riflettere sulla società che mi circondava, sul “mio tempo”, che in quel momento era sospeso. In uno dei rari momenti che avevamo “di libertà”, tra un decreto e una misura di contenimento, sono andata in un bar che conoscevo, e ho osservato le persone con occhi nuovi. Ho visto davanti a me il prologo del mio romanzo, e ho capito di cosa volevo parlare. Ma non faccio spoiler.

A cosa fa riferimento il titolo “Acqua cheta”?

A quello che si intuisce. Conosciamo tutti il proverbio: “L’acqua cheta rovina i ponti”. Quello che apparentemente sembra tranquillo può fare più danni di ciò che è burrascoso, turbolento. E in più l’acqua è elemento centrale del romanzo. È sull’acqua Rampe di Bellarena, il paesino che ho immaginato, è dall’acqua che viene sputato fuori il cadavere di Rossana.

La cittadina in cui è ambientata la storia è un personaggio a sé, che incide molto sulle vicende e sembra quasi prendere vita attraverso i suoi abitanti; condivide questa impressione?

Una cittadina ha una sua anima, ne sono fermamente convinta. È l’insieme dei suoi abitanti, ma può anche condizionarne le menti, con le sue caratteristiche naturali e artificiali. Trovo questo molto affascinante. Renzo si confida col suo amico Cristian dicendogli: «Eravamo venuti qui, dopo due anni di assenza […] Ci teneva a tornarci. E questo stesso posto di merda l’ha inghiottita e me l’ha rigettata morta». Ecco, il paese può fagocitare, può vomitare, può “agire”. La sua struttura sociale è comunitaria, cooperativa, familiare, e quindi può diventare madre e padre, giudicante, terribile. Chiunque sia cresciuto in un piccolo centro ha avuto un’esperienza simile, credo.

Come sono nati i personaggi del racconto? A quale è più legata e perché?

I primi personaggi cui ho pensato sono chiaramente quelli più vicini a me (le due donne: la vittima, Rossana, e la giornalista, Sofia, uno dei due personaggi che si occupano delle indagini). Avevo bisogno che avessero entrambe un po’ della mia anima perché risultassero credibili. Ovviamente nessuna delle due è me, e tra loro ci sono solo pochi punti in comune, quanto basta perché Sofia prenda a cuore la vicenda della morta e voglia indagare. Le loro estrazioni sociali, storie familiari, lavorative, personali, sono estremamente diverse. Gli altri personaggi sono venuti da sé. Mi “servivano” per costruire il puzzle. Nella mia fantasia, nel corpo di uno stesso personaggio, ho combinato caratteristiche di persone che conoscevo, o che avevo incrociato nell’arco della mia vita, a elementi di fiction, tratti dalle mie letture, dai miei film preferiti, dalle serie, dagli spettacoli e così via. Ho messo queste neonate creaturine nella scatola del mio romanzo e le ho fatte dialogare. Mi sembrava quasi che non fossi io a scegliere fino in fondo cosa dovessero dirsi. È stato un bel gioco. Non so scegliere quale sia il mio personaggio preferito, forse Sofia. Ma chi ha già letto il romanzo mi ha detto che preferisce Cristian, l’altro “detective per caso”. E mi fa piacere che sia così.

Se dovesse scegliere un aggettivo per descrivere il suo libro, quale sarebbe e perché?

Sceglierei “perturbante”, che è di certo la caratteristica principale di Rampe di Bellarena: un luogo delizioso, familiare, ma insieme inquietante, mortifero.

 

Grazie a Sara Guardascione per il tempo dedicatoci e buona lettura!

A proposito di Carmen Alfano

Studio Filologia Moderna all'università degli studi di Napoli "Federico II". Scrivo per immergermi totalmente nella realtà, e leggo per vederci chiaro.

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