Annavera Viva: l’intervista in attesa del nuovo romanzo

Annavera Viva: l'intervista in attesa del nuovo romanzo

Abbiamo intervistato Annavera Viva, autrice della fortunata saga di romanzi noir ambientati a Napoli: ci ha raccontato com’è la sua quarantena, come vede il presente e cosa prevede per il futuro. Con qualche anticipazione sul suo prossimo romanzo L’Ebreo.

Annavera Viva, pugliese di nascita naturalizzata napoletana, è autrice della fortunata saga di romanzi noir ambientati nel Rione Sanità a Napoli con la quale ha dato vita ai personaggi di Don Raffaele, il parroco del quartiere, e del fratello Don Peppino, boss che detiene il monopolio di pizzo, prostituzione e scommesse.

I tre romanzi, Questioni di sangue, Chimere e Cattiva stella, tutti editi da Homo Scrivens, prima di essere storie di misteri da svelare sono gialli sociali che rappresentano con fedeltà le identità di Napoli: non solo la città provata dalla povertà, dall’ignoranza e dagli espedienti per sopravvivere, ma anche l’altra città, quella colta, privilegiata e ricca. In mezzo, le incursioni feroci della criminalità, della camorra e della corruzione. Nei suoi romanzi come nella realtà queste anime si incrociano e si lasciano contaminare. Napoli conserva da sempre questa spaccatura profonda, e quando Don Raffaele ritorna nel quartiere Sanità, in Questioni di sangue, il primo dei romanzi della saga, ritrova esattamente quello che aveva lasciato anni prima, quando era stato adottato da una famiglia romana. Suo fratello, il boss Don Peppino, intanto ha preso possesso del quartiere e spadroneggia, non senza istintivi slanci morali.

Il Rione diventa il teatro tragico e ilare delle storie dei “due Don”, dove il giallo da risolvere è il pretesto per narrare, descrivere, provare a spiegare cos’è Napoli. Una città dove trovano il proprio spazio eroi e carnefici, coraggio e omertà, cinici chiromanti e i loro insospettabili avventori.

Annavera Viva ci ha raccontato in questa intervista della sua quarantena, del suo punto di vista sul presente e dei suoi progetti per il futuro, con qualche anticipazione sul prossimo romanzo, L’ebreo.

L’intervista ad Annavera Viva

Il 2020 è un anno che non dimenticheremo. Qual è il cambiamento principale che la pandemia ha prodotto sulla tua vita?

Escludendo la preoccupazione costante per la salute delle persone care, non ho affrontato grossi cambiamenti. Sono un’habitué dell’autoisolamento e mi è già capitato altre volte d’immergermi completamente nel mio lavoro anche per un mese. Quindi, ho cercato, fin dall’inizio, di renderlo il più simile possibile a uno di quei periodi. Sveglia prestissimo, subito al lavoro, televisione solo per ascoltare il bollettino delle 18,00 e qualche film la sera.
Diciamo che, per ora, l’auto condizionamento è abbastanza riuscito, ma per quanto altro tempo possa durare non lo so, perché comunque mi mancano i momenti di ricarica che quando si scrive sono indispensabili. I miei erano immergermi nell’arte, gallerie, musei, passeggiate in quartieri suggestivi. Questo mi manca molto.

Come stai impiegando il tempo della tua quarantena? Ci sono i libri che stai leggendo e che ci consigli?

Ne ho approfittato per occuparmi di un romanzo storico, che avevo in mente da tempo, e che richiedeva una ricerca piuttosto impegnativa. Ottima cosa, come dicevo, per avere la testa impegnata altrove. Quindi, perlopiù le mie letture ora sono incentrate su testi storici. Ma, tra le ultime letture prima della quarantena, ce ne sono alcune meritevolissime: Una vita come tante di Hanya Yanagihara, Sellerio; Pastorale americana, La macchia umana di Philip Roth, Einaudi; Il diario di Helen Berr, Helen Berr, Frassinelli. Qualcuna, per la verità è una rilettura

Nei tuoi romanzi condividono il rione Sanità due “Don”: parliamo di Don Raffaele, parroco del quartiere, e suo fratello Don Peppino, boss che detiene il monopolio di prostituzione, pizzo e scommesse. Come affronterebbero Don Raffaele e Don Peppino la pandemia e l’emergenza nel rione Sanità?

Credo che entrambi sarebbero in prima linea, caratterialmente si somigliano molto pur essendo agli antipodi e sono due uomini che agiscono sempre in prima persona.

L’ebreo è il titolo del tuo prossimo romanzo in uscita in autunno: cosa puoi anticiparci?

Che ha richiesto una ricerca meravigliosa che mi ha svelato due popoli: quello ebraico e quello napoletano. Il loro coraggio, la determinazione a non lasciarsi schiacciare da una delle epoche più buie della nostra storia.

Come scrittrice sperimenti l’umanesimo in prima persona ed è molto intenso il tuo legame con la Società Dante Alighieri, che promuove la lingua italiana e l’opera di Dante nel mondo. Ma si è anche parlato spesso, negli ultimi anni, di crisi della cultura umanistica perché superata dalla tecnologia e dallo sviluppo scientifico. Credi che l’esperienza della pandemia, che ci ha costretto ad una riflessione sulla gerarchia dei valori nella propria vita, ha rivelato di nuovo le fragilità dell’uomo e ci ha fatto riscoprire la presenza della morte, porterà nuovamente alla ribalta l’elemento umanistico?

Sicuramente l’umanesimo riconquisterà una posizione predominante. Non che creda alle svolte radicali e improvvise, i cambiamenti veri hanno bisogno di tempo. Però, ogni trasformazione comincia da un piccolo passo e questo è stato fatto nel momento in cui, la riscoperta di quanto sia illusoria la padronanza che crediamo di avere sul nostro destino, ci ha costretti a riflettere. Il mio legame con la Società Dante Alighieri è fondato sulla stima reciproca. Da parte mia c’è anche una profonda gratitudine nei confronti di quella che, a mio avviso, è più una missione che un lavoro. Un impegno costante portato avanti in tutto il mondo, anche in paesi dove mancano mezzi e strutture adeguate, creando comunità, costruendo scuole. Essere ambasciatori della nostra lingua, significa esportare cultura e bellezza. Niente è più encomiabile.

Dopo l’annuncio di Amazon di voler dare priorità alle consegne dei beni di prima necessità rispetto a quelli superflui, un dilemma – pratico ed etico insieme – ha attanagliato i lettori: i libri sono da considerarsi beni essenziali nei quali trovare conforto, soprattutto durante una pandemia, o in questo contesto sono da collocare genericamente tra i beni di consumo, per la consegna dei quali non è corretto occupare un corriere? E se valgono entrambi gli aspetti, come risolvere questo dilemma?

Assolutamente non avrei dubbi nel definirli beni di prima necessità. La salute mentale è sicuramente da ritenere importante quanto quella fisica e non si può essere sani se si è privati del cibo, sia esso per il corpo che per la mente.

Cosa sarà il romanzo dopo il Covid? Avremo più bisogno di evasione o di una guida per riflettere sugli eventi e sui cambiamenti?

Credo che avremo bisogno di spunti, come sempre. Spunti per riflettere, per risollevarci e per ricominciare. Non ho mai creduto nel ruolo dello scrittore che fornisce decaloghi di sopravvivenza, ma in quello del narratore che dà spunti, che pone domande alle quali ognuno si sente chiamato a riflettere, a interrogarsi  e a rispondere singolarmente.

Quali immagini saranno gli effetti futuri, non solo negativi ma anche positivi, che la pandemia da coronavirus procurerà nelle nostre vite?

Di negativo ci sarà che non ci sentiremo al sicuro per molto tempo. Poi, ci sarà un’economia mondiale da risollevare, cosa parecchio impegnativa e, inoltre, saranno tante le famiglie che porteranno il lutto. Di positivo riesco a vedere un unico fattore. Il mondo si è ripreso, risanato in un tempo brevissimo e, onestamente, io sono convinta, che non è un caso se questa pandemia è arrivata nel momento in cui il pianeta mostrava  i segni peggiori di sempre del nostro intervento sconsiderato. Io l’ho sempre vista come una rivolta della natura che cerca di ristabilire un equilibrio nell’ecosistema. Noi eravamo arrivati a un limite, dove oltre c’era solo la distruzione. Incendi, disboscamento, inquinamento. Mi è parsa una strategia per fermarci. Mi auguro che quello che è successo ci porti a comportamenti più responsabili.

Quali sono i tuoi progetti e i tuoi propositi per il post quarantena?

Ritornare a viaggiare, a conoscere popoli e culture. A lasciarmi suggestionare dai luoghi e sorprendere dalla gente. È la cosa che amo di più, dalla quale traggo una ricchezza che nient’altro riesce a darmi.

Ringraziamo Annavera Viva e Annalisa Tirrito, ufficio stampa, per l’intervista.

Fonte immagine di copertina: Ufficio Stampa

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