Cassandra a Mogadiscio di Igiaba Scego | Recensione

Cassandra a Mogadiscio di Igiaba Scego | Recensione

Cassandra a Mogadiscio è l’ultima opera della scrittrice italiana Igiaba Scego. Ormai nella scena letteraria italiana da un po’ di anni, Igiaba ha radici somale, da parte di entrambi i genitori: suo padre, Ali Omar Scego, fu il primo governatore di Mogadiscio, costretto poi a rifugiarsi in Italia durante il regime del dittatore somalo Siad Barre; nella maggior parte dei suoi romanzi, la Somalia e il tema delle migrazioni figurano come soggetti principali della sua scrittura. Laureata in Letterature straniere alla facoltà della Sapienza, inizia a scrivere e a pubblicare i suoi primi scritti nel 2003, inizialmente indirizzati ad un pubblico molto specifico, i bambini, con il suo libro La nomade che amava Alfred Hitchcock, ispirato dalla figura della madre e scritto in doppia lingua, italiana e somala.

Cassandra a Mogadiscio: un dialogo spazio-tempo

Cassandra a Mogadiscio intercetta il presente, il passato e il futuro, ingloba Igiaba non solo come scrittrice, ma come agente stesso: ella pensa all’opera come una lunga lettera, un suo lungo epistolario, indirizzato a sua nipote Soraya, la figlia di suo fratello più grande. Igiaba non vuole, ha anzi una vera e propria paura, che sua nipote non venga mai a conoscenza o possa perdere le sue radici, la storia della Somalia prima che negli anni Settanta Siad Barre facesse il suo colpo di Stato, e costringesse l’aabo di Igiaba (padre in somalo) a fuggire in Italia. La scrittrice\protagonista inizia, così, nel raccontarsi e trasmettere alla sua Soraya ciò che è successo nella propria adolescenza, negli anni Novanta a Roma, all’assenza di sua madre tornata in Somalia durante la guerra civile. I flashback, però, sono anche più lunghi a volte, tornando fino all’infanzia di hooyo (madre in somalo, di Igiaba), nelle zone più rurali e povere della Somalia, definendola una pastora nomade. Igiaba cerca spesso anche di tornare al presente nella sua scrittura, descrivendo come fosse ancora difficile vivere in Italia avendo un altro colore di pelle, e quante difficoltà hanno incontrato sua madre e suo padre a Roma, alla ricerca di una casa, di un lavoro, di un po’ di comprensione ed integrazione. Tutto ciò che racconta e inserisce in questa lunga lettera, la scrittrice lo intende come un aiuto e uno spiraglio di memoria a cui appigliarsi, sia per lei, ma soprattutto per la sua Soraya, la quale non conosce neanche il somalo, ed è anche per questo che inserisce tutta una serie di termini all’interno delle sue pagine, nella speranza che questo eco attraversi l’oceano (Soraya vive in Canada) e arrivi per sempre nella mente e nel cuore della sua amata nipote.

Cassandra a Mogadiscio: il significato del Jirro

Cassandra a Mogadiscio, pubblicato nel 2023 da Bompiani, svolge un ruolo fondamentale nell’orizzonte della letteratura nazionale italiana, arrivando difatti tra i dodici finalisti del prestigioso premio letterario Strega. Con la sua mescolanza di lingue (italiano, inglese, francese e somalo), e popoli, l’opera della Scego apre gli occhi al pubblico come un racconto di verità, di bellezza, ma anche tanto dolore; il tema principale diviene questo termine somalo, il Jirro, il quale in italiano potrebbe essere tradotto con dolore\sofferenza, che sta a significare tutto ciò che Igiaba, i suoi genitori, e i suoi antenati prima di lei hanno provato nella terra natale, ma anche in suolo italiano. Il Jirro le si è insinuato alla partenza della sua cara mamma per la Somalia e non è più andato via; esso poi si è ripresentato sotto forme sempre diverse: quando soffriva di disturbi alimentari da adolescente, alla morte di suo padre, alla lontananza incolmabile con i suoi fratelli e i suoi nipoti, alla consapevolezza di essere italiana, tuttavia restando, per una fetta della popolazione, sempre una straniera, e mai una vera autoctona. La scrittura di Igiaba culla e scaraventa proprio a questo, al Jirro, alle difficoltà linguistiche, enfatizzate dai diversi termini utilizzati, alla problematicità di avere radici e un paese d’origine diverso da quello in cui si è nati; fa pensare e insinua in qualche modo anche a chi legge il Jirro, nella sporca coscienza di ognuno a girarsi dall’altra parte quando si è di fronte la parola straniero, nel chiudere gli occhi dinanzi a un mare pieno di morti.

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