Dio e il cinema: intervista a Donato Placido

Dio e il cinema: intervista a Donato Placido

Intervista a Donato Placido: quattro chiacchiere con l’autore dopo l’uscita di “Dio e il cinema”, scritto insieme ad Antonio G. D’Errico.

Dopo l’uscita dell’intenso, sofferto e viscerale memoriale di Donato Placido, Dio e il cinema, scritto a quattro mani con Antonio G. D’Errico, ora raccogliamo la sua voce, il suo barlume di verità.
La sua voce diretta, pura e che risuona come un eco distillato dalle pagine del suo libro, ci viene offerta senza filtri.
E noi la riceviamo, perché non c’è miglior modo di sviscerare un libro che ascoltare il movimento delle labbra del suo autore.

1. Buongiorno Donato, innanzitutto grazie mille per la disponibilità. Direi di cominciare con la domanda più banale e semplice, o forse la più difficile: chi è Donato Placido e come si racconterebbe a chi non lo conosce?
Buongiorno a te cara Monica. Ringrazio Eroica Fenice per l’intervista. Mi chiedi: chi è Donato Placido? In realtà conoscersi, raccontarsi, osservare se stesso e i propri pensieri, come tu stessa hai detto, è semplice ma nello stesso tempo anche maledettamente difficile. Io ho appena finito di raccontarmi in un memoir, intitolato Dio e il cinema, pubblicato dalla casa editrice calabrese Ferrari Editore. Mi ha proposto questo libro Antonio G. D’Errico e ho accettato questo progetto perché mi permetteva di vivere una sorta di profondo guardarmi. D’Errico mi ha intervistato al telefono tantissime volte, ovviamente registrando tutto, e io ho raccontato me stesso con l’onestà e l’autenticità che vivono da sempre nel mio DNA di uomo e di artista. Il mio è stato un viaggio tra memorie sedimentate, riflessioni e risonanze dell’anima. Ho risvegliato i ricordi per riviverli con la mente di oggi, ma ho voluto anche far uscire la mia cosmologia personale, il mio punto di vista sulle cose e sul mondo, con uno sguardo metafisico: ecco perché Dio.

2. Leggendo il tuo libro, si evincono le memorie di un’infanzia trascorsa in Puglia. Quali sono i tuoi ricordi, le sensazioni e suggestioni legate al profondo Sud dell’Italia e come hanno influito sul tuo percorso artistico?
Ho viaggiato molto per lavoro, spostandomi da un posto all’altro per lunghi periodi, ma il Sud me lo porto dentro: è la mia casa, perché è il luogo in cui sento il ritorno.

3. E di Milano invece? Come è stato il passaggio da un mondo a un altro? Colgo l’occasione per chiederti come ti sei approcciato al mondo dello spettacolo.
Milano è la città dove ho frequentato l’Accademia del Piccolo Teatro, una realtà culturale importantissima, fondata da Giorgio Strehler nel 1986. Sono orgoglioso di averne fatto parte, perché è stata un’esperienza illuminante non solo per la mia formazione attoriale ma anche nel mio rapporto con la poesia e con la corporalità della parola. L’approccio con il mondo dello spettacolo è nato, invece, quasi per una sorta di scommessa con me stesso. Una scommessa che si rivelò vincente, soprattutto all’inizio, perché ricevetti da subito offerte importanti come la miniserie mistery, prodotta dalla RAI Il fauno di marmo, con Orso Maria Guerrini e Marina Malfatti, o il film Io, Caligola (nato come “Caligola”), di Tinto Brass, dove ho lavorato accanto al grande Malcolm McDowell. Negli anni ho continuato, vivendo diversi set importanti, da quello di Marco Bellocchio con L’ora di religione a Romanzo criminale con mio fratello Michele. Esperienze avvincenti vissute però sempre all’insegna di un motto francescano: Tutto questo non mi serve.

4. Ed ecco la domanda più prevedibile: che rapporto hai con tuo fratello Michele? E quanto ha influito lui sulla tua scelta di muovere i passi nel mondo attoriale?
Michele è mio fratello di sangue ma anche di anima. Insieme e da sempre condividiamo lo stesso intenso bisogno di vivere pratiche artistiche finalizzate alla produzione di cultura, un valore che, non a caso, ha un collegamento semantico con tre parole importanti: coltivare, abitare e venerare.

5. Si deduce che ami molto la poesia. Chi sono i tuoi autori del cuore?
Mi piacciono diversi poeti, tra questi sicuramente Bukowski (forse per questo qualche critico ha dichiarato che le mie poesie hanno un mood bukowskiano), ma anche Borges, Jack Kerouac, Julio Cortazar.

6. Dio e il cinema divengono per te un rifugio intimo, quasi capace di guarire gli affanni del mondo. Che tipo di purificazione e catarsi possono dare all’uomo?
La spiritualità e la creatività ci permettono di ri-conoscere noi stessi e di trovare un posto nel gioco dell’esistenza.

7. Quali sono I tuoi progetti futuri?
Continuare a dare cibo all’anima.

 

Fonte immagine: ferrarieditore.it

A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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