Estelle a NapoliCittàLibro: intervista a Massimo Piccolo

Massimo Piccolo

Serve una fiaba per comprendere meglio la realtà?

A questa domanda prova a rispondere Massimo Piccolo, autore del libro “Estelle –storia di una principessa e di un suonatore di accordion” (editore Cuzzolin), anch’egli presente alla seconda edizione di NapoliCittàLibro, la grande fiera del libro e dell’editoria a Castel Sant’Elmo.

Dopo essersi dedicato alla storia gastronomica partenopea con il libro “90 passi nella gastronomia napoletana” e aver scritto vari monologhi teatrali, Massimo Piccolo, che a sorpresa non imprigiona il suo stile e la sua fantasia sperimentando generi diversi.

In un periodo storico in cui le principesse non sono più quelle di una volta, il disincanto detta la moda e il mondo virtuale vince il fascino della carta, Estelle è avvolta dall’incanto delle pagine di un libro molto dolce e da una scrittura curata, ironica e calda. Estelle è una principessa, figlia di Gustavo IV e Alessaija, che eredita dalla madre una terribile avversione alla luce del sole. Vinto dalla paura, il re trasforma il castello e l’immenso giardino in un posto dove il sole non vi si potrà affacciare in nessun modo. Tutto sembra procedere secondo i piani fino a quando al castello, in occasione della giostra indetta per dare uno sposo alla sua unica foglia, non capiteranno il pincipe Ileandro di Hardangerfjord e Juan, un suonatore di accordìon.

Nonostante la storia assuma inizialmente i connotati della classica favola antica, ecco che quella di Massimo Piccolo si dimostra essere anti-favola. La cura paterna viene patita da Estelle come una campana di vetro asfissiante, nonostante sia costituita da un parco meravigliosamente criptico. Le invenzioni del Re non riescono a stare al passo con il forte desiderio di conoscenza del mondo di Estelle e i riflessi, gli aloni e i fiati di un’adolescente contemporanea.

Massimo Piccolo scrive di un’adolescente prima che di una principessa e la grande metafora del suo libro diventa il modo migliore per raccontare temi esistenziali affini ad ogni essere umano. Una storia vera e disperata, una ribellione degli stereotipati personaggi delle favole.

Estelle: Intervista a Massimo Piccolo 

Massimo Piccolo: fotografo, autore, regista, ora anche scrittore.

Io ho due grandi passioni, la prima è fotografia, e la seconda è la scrittura, credo la forma più alta di espressione dell’essere umano. È una delle poche cose che può fare solo l’uomo: elaborare un pensiero attraverso la forma scritta. La scrittura non è solo l’elaborazione di un pensiero, è anche un modo di pensare.

Estelle è stato scritto molto tempo fa, riposto in un cassetto, pubblicato nel momento giusto. Cosa è cambiato in questi anni?

Io ho sempre scritto, ma ho sempre avuto molto pudore , e fino a quando non mi sono sentito veramente sicuro di ciò che avevo scritto ho preferito non pubblicare. Io credo che scrivere sia come l’amore. Quando sei innamorato non te lo chiedi neanche, lo sai, lo senti. Ad un certo punto mi sono sentito pronto, innamorato ed era il momento giusto.

Estelle ha una disabilità innata ereditata dalla madre ed una acquisita, derivante dall’atteggiamento iperprotettivo del padre. Come la descriveresti?

A me più che il concetto di dis-abilità interessa quello di in-abilità, l’essere cioè impossibilitato, per motivi personali, ambientali o, perché, sociali o storici, a compiere delle azioni. Tutti prima o poi nella vita scopriamo di essere in-abili per motivi personali, sociali, ambientali, a qualcosa. Non c’è nessun principe che la salverà, sarà lei a ribellarsi. La sua storia  parte proprio dalla presa di coscienza dell’impossibilità  di fare alcune cose che fanno implodere il suo mondo nel momento in cui realizza la sua in-abilità. La vitalità della principessa viene repressa dalle paure paterne che, memore della fragilità materna e del suo destino caduco anzitempo, le costruire una gabbia fatta di soffocanti e rassicuranti certezze. Il mondo nel castello le sembra depauperato dagli elementi di rischio e di ignoto , privo, quindi, di anelito vitale, privo di luce, privo di scelte.

Ci sono frammenti di te nel tuo libro?

Certamente. I tre protagonisti vivono e soffrono una difficoltà nel riuscire a bilanciare il proprio desiderio d’amore con la necessità di libertà, la necessità dell’approdo sicuro con il fascino del mare in tempesta. La storia della mia vita. C’è un pezzetto di me e delle mie paure in ogni personaggio del libro. Anche se devo ammettere che sono più coraggiosi di me.

In che modo l’amore può essere viatico di riscatto e salvezza ed in che modo, parimenti, può essere strumento di tormento e distruzione?

Per me non è l’amore in sé a svolgere queste funzioni ma il fatto che l’amore, almeno quello vero, ti costringa a entrare in relazione profonda con un altro individuo. Che tipo di reazione ne potrà scaturire dipende, ovviamente dall’altra persona coinvolta. C’è chi ti obbliga a tirare fuori il meglio di te e chi ha lo spiacevolissimo dono di far emergere le tue peggiori pulsioni.

Proprio da queste pagine un giornalista ha definito Estelle come “anti-favola”.

Vero. La principale differenza tra Estelle e una fiaba per bambini è che, nella mia Estelle, non esiste una divisione netta tra buoni e cattivi. In Estelle i personaggi hanno mille sfaccettature. Emergono con forza le amarezze, le paure, le insofferenze che porteranno il lettore in una forte empatia con i personaggi. Le cose, come nella realtà, accadono spesso per tutt’altri motivi che vanno bel oltre l’essere buoni o cattivi. Pensi al peso fondamentale che ha il caso, in aperta opposizione al destino, nei romanzi di Victor Hugo. Ogni scelta che facciamo cambiare per sempre la nostra storia e, non di rado, le esistenze che si intersecano con la nostra. Una cosa che mi piace sottolineare è che se togliamo Estelle dall’ambiente fiabesco e lo si traspone in un ambiente realistico, funziona allo stesso modo. Ciò che accade ad Estelle accade perché è una donna, non perché è una principessa.

Scrive una favola per raccontare la realtà, in un’epoca in cui la comunicazione è così veloce, così semplificata. Arriva invece un racconto che attraverso la metafora ci porta sul piano dell’approfondimento, della riflessione.

Io credo sia un atto rivoluzionario. Perché oggi molti si piegano ad una comunicazione flash e rinunciano ad applicare l’inferenza, cioè la possibilità di dedurre, andare oltre il significato ingenuo. Questo è il valore sociale della mia opera, perché credo che oggi con queste forme di comunicazione sia più facile manipolare la realtà. La realtà, invece, non è mai semplice. Quando si rinuncia ad una complessità, ad uno spessore, si smette di raccontare la realtà, si sta facendo propaganda.

 

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