Cuorebomba di Dario Levantino, un romanzo dedicato ai cani di periferia

Cuorebomba di Dario Levantino, un romanzo dedicato ai "cani di periferia"

Dopo il suo esordio Di niente e di nessuno, Dario Levantino è al suo secondo romanzo Cuorebomba edito Fazi Editore.

Palermitano, Dario Levantino ritorna alla sua terra e a quella di Di niente e di nessuno ambientando anche Cuorebomba  nella periferia di Palermo, Brancaccio, una “periferia” che rispetta ogni stereotipo: abbandonata a se stessa, dimenticata dallo Stato, in preda alla violenza e alla droga, sottomessa al potere delle “famiglie”.

Brancaccio è un luogo che accoglie nel suo putrido e puzzolente grembo di cemento armato gli emarginati, gli esclusi dai salotti borghesi della Palermo bene. Da qui Dario Levantino dà alito a una voce che dalla periferia grida l’ingiustizia dell’abbandono.

Da qui continua e ri-parte la storia di Rosario, un ragazzo adolescente che ha il nome di suo nonno Rosario (e non solo, Rosario è il nome che Dario Levantino ha voluto dargli perché è un nome che sa di casa, è il nome di suo padre) e la sua storia è l’emblema della nostra epoca.

Cuorebomba: la storia di Rosario

Dopo l’abbandono del padre, ora in carcere per spaccio di sostanze dopanti, Rosario rimane solo con la mamma a Brancaccio. In casa loro la luce è sempre spenta, c’è puzza di chiuso e l’aria ha il gusto acre dell’abbandono. La mamma di Rosario, abbattuta dal dolore dell’abbandono del marito, si è ammalata di anoressia e Rosario cerca in ogni modo a lui possibile di aiutarla a guarire, fino a supplicarla di mangiare ormai stufo di essere complice di un abbandono suicida. Le sue suppliche però non bastano, Rosario da solo non ce la fa. Il silenzio di quelle quattro mura fatte per due viene brutalmente spezzato dai servizi sociali. La mamma di Rosario viene portata via, il ragazzo affidato a una casa famiglia.

La vita di Rosario diventa sempre più difficile, ma soprattutto solitaria. Costretto alle rigidità di una casa famiglia dove le figure genitoriali non fanno che sfruttare il denaro destinato alla cura del ragazzo, Rosario risponde con la violenza, diventa insofferente, urla la verità, non sta al gioco. Ma il suo fare ribelle lo tiene lontano dalla mamma per un tempo sempre maggiore, è questa la minaccia con cui tenerlo a bada.

Una sola frase pronuncerebbe Rosario per convincere il giudice dei minori a ricongiungerlo alla madre: «Me matri è beddha comu ‘na rrosa picchì è ‘u me ciatu, picchì addhuma i iuinnati nivure.» “Mia madre è bella come una rosa perché è il mio fiato, perché accende le giornate nere.”

In città Rosario non è solo: c’è Jonathan, il suo cane, e poi c’è Anna, una ragazza normale che non c’ha nessun difetto. Anna è carismatica, ha un anno in più a Rosario e gli insegna a baciare. Con lui fa l’amore, lo incanta e lo spaventa allo stesso tempo, come il precipizio al tredicesimo piano. A Rosario piace: «il carattere urgente del suo parlare, il suo modo rude di comunicare creando conflitto per distruggere e ricostruire; mi sembra un diavolo che mi sussurra all orecchio il peccato che alla fine mi salverà». Anna non è la donna angelicata che fa da tramite tra cielo e terra, lei fa da tramite tra terra e abisso.

Sul banco di scuola ha, invece, inciso col suo taglierino il volto di tre personaggi: Giordano Bruno, Gesù e Pagliuca. Rosario ammira in loro il coraggio anche di fronte alla morte, la non-paura che lui non ha ma che vorrebbe avere.

La Palermo amara di Dario Levantino dedicata a “quelli che sono rimasti soli come cani”

Dario Levantino ha scritto un romanzo che si esaurisce in sé, oltre la trama più articolata, grazie alla sua intensità espressiva. La scrittura è lineare, semplice perché a narrare in prima persona è il protagonista, la lingua mimetica: l’italiano usato non è un italiano standard e non è escluso il dialetto siciliano che predomina anzi in molti dialoghi.

Con Cuorebomba lo scrittore è riuscito a comporre sulla pagina momenti di autenticità sentimentale spiazzante: dialoghi brevi e frasi concise concentrano in sé – direi naturalmente e sorprendentemente assumendo talvolta sfumature persino poetiche; sentimenti come l’amore, la scoperta di una felicità sconosciuta e mai provata che per questo fa commuovere, la ribellione di un cuore che bolle di giustizia, la solitudine dei giusti. Dario Levantino non avrebbe potuto fare altrimenti che essere fedele alla sua scrittura, autentica e vera che segue, come un fiume che scorre, ciò che vuole raccontare escludendo ogni forzata ricerca formale.

Ma è soprattutto intorno al tema della solitudine che si articola Cuorebomba, un romanzo, come ha scritto anche Dario Levantino nella dedica iniziale, dedicato a “quelli che sono rimasti soli come cani”.

 “Un cane di periferia” è così che si definisce Rosario -niente muscoli, pelle troppo olivastra, vestiti trasandati, occhio sceso- è così che lo ritrae Dario Levantino: «Siamo dei cani di periferia, noi divoriamo tutto: sogni e spazzatura. Alla gente questo fa paura». A Brancaccio i cani di periferia si rimboccano le maniche perché quel mondo bisogna prenderlo a cazzotti o diventi un debole. A Palermo la rivolta è di casa ed esiste una legge, quella del più forte.

«Vista dai tetti, Palermo è come una rosa selvatica senza spine. Vista dai tetti, Palermo è la pace quando la guerra è finita.» Alla fine del romanzo, dai tetti, Rosario le dichiara il proprio amore e insieme il proprio odio. É arrivato a una nuova consapevolezza: al mondo esistono il bene e il male, i buoni e i cattivi, i cuorebomba e i cuoresecco. Lui, cane di periferia, si riconosce un cuorebomba. Già dal titolo, il romanzo e il suo autore si schierano dalla sua parte.

Fonte immagine di copertina: Fazi editore.

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