Tre passi per un delitto: recensione di un noir a sei mani

Tre passi per un delitto: recensione di un noir a sei mani

È bastato poco per balzare in testa alle classifiche: “Tre passi per un delitto“ è un avvincente romanzo noir scritto “a sei mani” e cioè da tre diversi autori.

Cristina Cassar Scalia, Giancarlo De Cataldo, Maurizio De Giovanni: eccoli, gli scrittori dalle penne d’oro coinvolti in un progetto che esalta le qualità stilistiche di ognuno di loro. I tre autori del nuovo romanzo edito da Einaudi, a pochi giorni dall’uscita del testo “in comune”, registrano già uno straordinario gradimento del pubblico, tra cui si fanno largo i “fedelissimi” di ciascuno dei tre che, uniti al resto degli “aficionados”, formano insieme un metaforico esercito di soddisfatti lettori, resi tali proprio dalla “coralità” del progetto di fondo che li ha ulteriormente legati a tutto tondo.

Già il titolo del romanzo – “Tre passi per un delitto” – invita alla lettura, scandendo, allo stesso tempo, gli stacchi, le voci e gli spaccati della vita borghese nella quale ci si trova ad entrare con passo felpato sin dalle prime pagine, come in punta di piedi.

Siamo a Roma, nell’esclusivo quartiere Prati: una giovane ragazza ventottenne di nome Giada è stata uccisa nel suo appartamento. Laureata in Storia dell’Arte, il primo a raccontare di lei è il commissario Davide Brandi, chiamato a svolgere le prime indagini sull’omicidio. A dare la parola a questo poliziotto acuto ed ambizioso è Giancarlo De Cataldo

Pian piano si vengono a scoprire particolari interessanti sulla vita di Giada, tra cui il dettaglio non secondario che avesse un amante molto noto nella Roma “bene” di cui entrambi facevano parte: Marco Valerio Guerra è un uomo d’affari ricco sfondato, con una solida famiglia al seguito, tanti “amici” ed altrettanti nemici. A sondarne i meandri dell’animo, col suo stile inconfondibile, è Maurizio De Giovanni. 

A sopportare il narcisismo del marito fedifrago, i suoi continui tradimenti e la complessa personalità è Anna Carla Santucci, la moglie ripiegata nell’ombra, magistralmente creata da Cristina Cassar Scalia, la grande autrice-rivelazione di “Sabbia nera”, che, oltre ad essere una promettente scrittrice, esercita come medico oftalmologo nella sua bella Sicilia.

Le versioni dei tre protagonisti non collimano tra loro ma tutte rappresentano un’angolazione diversa e irrinunciabile da cui si guarda e racconta la stessa spinosa vicenda. Ad andare d’accordissimo sono invece le voci e le mani dei tre autori, nel momento in cui si passa da un capitolo e da un punto di vista all’altro senza esserne disturbati, ma anzi invogliati a continuare nella lettura al fine di sciogliere il bandolo della matassa, obiettivo che il commissario Brandi è deciso a raggiungere sin dalle prime battute.

Perciò, se esiste una crepa, devo essere io a individuarla, prima di chiunque altro. E, una volta individuata, devo capire se la si può sanare o se è l’avvisaglia dell’abisso, e dunque bisogna ricominciare tutto daccapo. Ma sarei ipocrita se non confessassi a me stesso che la crepa è precisamente ciò che sto cercando. E credo di averla trovata in questo tabulato.”

Quello della ragazza uccisa diventa un caso nazionale, dibattuto su social e media oltreché in caserma e tribunale: viene chiamato “il caso della Piccola Fiammiferaia” a causa di un quadro appeso nel salone della vittima, ricco di profonde reminiscenze anderseniane.

Perché è cosí, state sbagliando. Vi manca la capacità di comprendere il significato profondo degli eventi. Qui non si parla di emozioni. Qui si parla di crepe. Collocate così in alto che dalla vostra posizione di inferiorità nemmeno si scorgono. Ma sono crepe profonde che hanno il potere di far implodere, di ridurre in una nuvola di polvere e detriti un edificio maestoso costruito con cura per una vita intera. Io vidi lei, lei non vide me. Una volta ho letto che la cifra di una relazione tra due persone viene stabilita nel primo incontro. Forse dovevo capire, forse dovevo intuire: io ho sempre intuito tutto. Tranne questa volta; forse perché non volevo.”

Tre è un numero fondamentale in questo riuscito progetto letterario corale: è il numero dei protagonisti e delle loro narrazioni, degli autori che hanno dato vita e voce ai loro personaggi. È il concetto filosofico per eccellenza, quello amato dai pitagorici a Dante. È la somma delle palline che muove per aria un giocoliere, di cui Giada ha una scultura sul tavolino in perfetto stile Joker. È il triplice punto di partenza grazie al quale si scandagliano vari strati dell’animo umano, sottolineando come le persone in questione siano esseri imperfetti dalle molteplici sfaccettature e perciò iperstratificate, corrose e inacidite dalla vita stessa.

Un ottimo esordio per un trio di scrittori d’eccezione, per cui molti lettori si augurano già – parafrasando il titolo del libro ed un modo di dire – che non sia che il primo passo di un progetto che possa poi continuare, perché se l’avventura fosse già finita qui sarebbe questo il vero delitto. 

“Forse ognuno di noi ha un punto fermo nella propria vita, da cui non può prescindere e che farebbe qualunque cosa per salvaguardare. Un limite di tolleranza superato il quale prevale l’autoconservazione e ogni cosa diventa lecita. Quello che so è che per la prima volta tutto dipende esclusivamente da me. La mia vita, il mio lavoro, il rapporto con mio figlio e il mio nome.”

 

Fonte immagine: Ufficio Stampa

 

 

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A proposito di Giulia Longo

Napolide di Napoli, Laurea in Filosofia "Federico II", PhD al "Søren Kierkegaard Research Centre" di Copenaghen. Traduttrice ed interprete danese/italiano. Amo scrivere e pensare (soprattutto in riva al mare); le mie passioni sono il cinema, l'arte e la filosofia. Abito tra Napoli e Copenaghen. Spazio dalla mafia alla poesia.

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