Zhuangzi: prosa filosofica tra sogno e realtà

Zhuangzi: prosa filosofica tra sogno e realtà

Il Zhuangzi è un’opera filosofica dell’omonimo filosofo Zhuangzi, vissuto a cavallo tra il IV e il III secolo a.C. in Cina, secondo fonti tuttora incerte. Non sappiamo molto della sua figura, elusiva e misteriosa tanto quanto il suo lascito in prosa.

Considerato oggi come uno dei due classici taoisti insieme al Classico della via e della virtù di Laozi, il Zhuangzi solo a posteriori sarà visto tale con la nascita del taoismo religioso nel 100 d.C. Dal punto di vista strutturale, i primi sette capitoli sono detti 內篇 (nèipiān, capitoli interni), i successivi quindici capitoli sono detti 外篇 (wàipiān, capitoli esterni), infine gli ultimi undici capitoli sono detti 杂篇 (zápiān, capitoli misti). Secondo influenti sinologi come A.C. Graham, solo i primi sette capitoli sono verosimilmente attribuiti a Zhuangzi, i restanti probabilmente sono un’aggiunta neo-taoista.

Ma cosa si intende per Tao?

Limitare questo concetto alla traduzione di “Via” inteso solo come modo di vivere, senza prendere in considerazione i molteplici e sfaccettati significati del carattere 道 (Tao), significherebbe scadere nel semplicismo più totale. Innanzitutto, Il concetto di Tao subisce l’influenza della scuola dello Yin e dello Yang, dove lo Yang è il principio attivo, maschile, associato alla sfera diurna mentre lo Yin è il principio passivo, femminile, associato alla sfera notturna. In questo modo è possibile avere una chiave di lettura più semplice e forse più conosciuta da noi occidentali per capire questo sfuggente concetto: il Tao per i taoisti è  l’unità armoniosa di questi due estremi di eguale importanza, è l’equilibrio che è presente dentro e al di fuori di noi, raggiunto esclusivamente tramite il seguire la spontaneità della propria natura e l’agire in base ad essa. Ben diverso dal Tao legato alla spontaneità e alla natura non addomesticabile dell’uomo, è il Tao confuciano. Esso è il continuo violentare la propria natura in quanto essere unico e libero tramite “miglioramenti” e sovrastrutture inutili, addirittura limitanti nel raggiungere uno stato di armonia e felicità, questo almeno secondo i taoisti.

Avendo gettato una luce chiarificatrice sul principio fondante dell’opera del Zhuangzi, possiamo analizzare con sensibilità maggiore il libro che è considerato da molti sinologi una prosa visionaria, suggestiva, pregna di sogno, immaginazione e sarcasmo. La sua unicità nel panorama filosofico cinese è dovuta proprio all’apoliticità del testo e nell’utilizzo del sarcasmo, soprattutto ai danni del povero maestro Hui e dello stesso Confucio, che nel libro sovente rappresentano le figure dei cialtroni oppure sono utilizzati come espedienti per far esprimere a Zhuangzi la sua opinione sui vari aspetti della vita.

I temi del “Zhuangzi”

I temi da prendere in considerazione nell’analisi dell’opera del Zhuangzi sono: l’antirazionalismo, il rapporto tra sogno e realtà, il linguaggio, l’apoliticità, il concetto di trasformazione, il relativismo, la natura peculiare degli esseri e i loro “meccanismi naturali interni”.

Zhuangzi come filosofo è prettamente antirazionalista, spesso fa affermazioni illogiche e irrazionali, come nel famoso episodio della farfalla, in cui racconta di aver sognato di essere una farfalla, non essendo certo se fosse stato realmente lui a sognare o fosse stata la farfalla a sognare di essere Zhou (nome proprio di Zhuangzi). Per quanto concerne il linguaggio, un detto taoista «Il Tao che si può esprimere non è il vero Tao» rende bene l’idea del rifiuto di Zhuangzi nei confronti del linguaggio. Esso è visto come un ostacolo alla comprensione ultima e profonda della natura delle cose,  come un mero orpello incapace di definirle realmente, soprattutto se di un certo tipo e usato per mostrare con presunzione le proprie capacità dialettiche. È quindi impossibile esprimere veramente con parole la propria natura o l’unità armoniosa che è il Tao.

Per apoliticità del Zhuangzi non si intende la totale assenza di riferimenti alla politica del tempo, ma più ad un atteggiamento di scherno nei confronti del ruolo dei ministri confuciani. Quando venne chiesto a Zhuangzi di entrare in politica, lui rispose che avrebbe preferito rimanere immerso nella natura come una tartaruga che sguazza nel fango. Per quanto riguarda il concetto di trasformazione, dobbiamo pensarla in un’ottica relativista, ovvero l’unità di due apparenti opposti. La morte è solo una trasformazione nel grande e unico ciclo della vita, niente viene creato e tutto si trasforma, esempio di come la filosofia sia ellenica che orientale siano precursori della scienza.

Ma come può un testo  risalente alla Cina antica essere così attuale?

Ebbene, se cerchiamo di sfuggire per un attimo alla retorica e alla semplificazione Eurocentrica messa in atto ai danni dei “Saggi Cinesi”, possiamo renderci conto che assecondando la propria natura peculiare, senza farci influenzare dagli altri e riconoscendo che i nostri “meccanismi naturali interni” sono unici e non vanno cambiati per conformarsi agli altri, è possibile raggiungere la felicità.

Fonte immagine: Wikipedia

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