Con il nuovo singolo “Bologna sotto i portici”, in uscita il 17 giugno su tutte le piattaforme digitali e in radio, Massaroni Pianoforti ci invita a entrare in una dimensione intima e notturna. Un brano che anticipa l’album previsto per l’autunno 2025 con l’etichetta Il Piccio Records, e che rappresenta un vero e proprio omaggio alla città di Bologna e alla poetica dei suoi angoli più umani e fragili, letta anche attraverso l’eredità lirica e ironica di Lucio Dalla.
La canzone nasce da un episodio autobiografico e si sviluppa come una ballata urbana, dove la voce di Gianluca incontra il sax di Marco Scipione e le architetture sonore curate dal fratello Andrea. Ma “Bologna sotto i portici” è anche una riflessione profonda sul margine, sulla ricerca di un “noi” in un tempo che celebra solo il visibile, sull’urgenza di dare voce ai Senzadio e agli invisibili.
Nell’intervista che accompagna l’uscita del brano, Massaroni racconta con disarmante sincerità il senso di scrivere canzoni che non salvano il mondo, ma magari una sera, una persona, un cuore sì. Ed è già qualcosa che vale la pena di essere cantato.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare l’artista.
Intervista a Massaroni
“Bologna sotto i portici” racconta una notte solitaria, urbana, vissuta ai margini. Quanto conta per te raccontare questi margini – anche quelli emotivi – in un’epoca in cui sembra esistere solo ciò che è visibile e performativo?
Credo che l’arte serva soprattutto a questo, a mettere un telo anche sugli invisibili e dar loro una voce anche se solo attraverso una canzone da cantare. Forse non risolve nulla a livello epocale ma sono convinto che se arriva al cuore anche di una sola persona, ci possa rendere più aperti verso chi non ha avuto la nostra stessa fortuna, invece d’ignorarli.
Nel testo parli di un ‘Senzadio’ con cui condividere ferite e bicchieri. È solo una figura poetica o anche un simbolo di chi oggi resta fuori da certe narrazioni, da certi privilegi?
Sì certamente, un Senzadio libero ma pieno di umanità che cammina perennemente sotto la luna balorda della nostra esistenza.
Hai detto che l’ispirazione viene anche dalla lettura della città attraverso Lucio Dalla. Cosa rappresenta per te Dalla oggi, in un contesto culturale in cui la voce dei “diversi” sembra ancora fare paura?
Dalla rappresenta quel Senzadio che quella notte mi ha in qualche modo protetto e dato una carezza mentre il mio mondo interiore si stava sgretolando. I diversi cantano le cose come stanno, non fingono, amano il genere umano e questo si, fa paura.
La struttura armonica e l’arrangiamento di Bologna sotto i portici sembrano camminare in bilico tra classicismo e canzone urbana, tra sax notturno e rumori interiori. Come lavori sull’equilibrio tra scrittura istintiva e costruzione del suono insieme a tuo fratello Andrea? Quanto di te resta grezzo e quanto invece viene cesellato?
Le mie canzoni sono grezze, istintive nella prima frase ma poi hanno una lunga gestazione o cesellamento che sia, prima di pubblicarle. Molte di loro hanno più versioni sia di testi che musicalmente, e finché non trovo la quadra giusta continuo a correggerle; mi fermo solo fin quando sono pienamente convinto di aver fatto tutto il possibile per presentarle in un album. Poi qualcuna la ri-lavoro dal vivo con mio fratello Andrea che ne cura la parte strumentale. Non amo le canzoni che rimangono sempre uguali anche dal vivo, come cambiamo noi cambiamo anche loro, sennò non sarebbero vita.
Nel tuo percorso hai scelto il crowdfunding e l’autoproduzione, forme che tutelano la libertà ma richiedono una comunità. Quanto è importante oggi, per un artista, sapersi muovere nel vuoto e al contempo costruire un “noi”?
È sicuramente molto più importante che avere un contratto discografico che ormai conta poco più di nulla se non investono anche dei soldi (molti). Anzi, i contratti te li fanno proprio perché si ha una bella fanbase ma nel vuoto può starci solo chi ha davvero necessità di esprimersi e non certo chi insegue una fama estemporanea fine a se stessa. Per me è stato sempre difficile, quasi un’impresa, portare a termine quei crowdfunding perché non è il mio lavoro ma le canzoni sono il mio unico scopo di vita e se ho dovuto far anche questo per arrivare al cuore e allo stomaco di chi mi ascolta, anche quando non ci credeva nessuno, non mi sono tirato mai indietro.
La canzone ha un tono ironico, malinconico, notturno. Ma in fondo porta dentro anche una domanda forte: “che c’è di male?”. Ti senti parte di un’Italia che non si rassegna a risposte semplici e facili moralismi?
Non mi sento parte, ma ci vivo anch’io in questa Italia. Scrivo canzoni leggere che al contempo hanno un velato desiderio non d’istruire ma di farti pensare oltre che di far battere il piede. Così hanno fatto i cantautori che ho amato ed è l’unica lezione che da loro ho imparato e voglio portare avanti finché avrò qualcosa da dire.
“Una puttana, una baracca, un materasso ci potranno ancora salvare”: è un verso potente, quasi un manifesto. È possibile che la salvezza venga proprio da ciò che la società scarta, ignora o deride?
A noi ci salva proprio, perché di una società che scarta ignora o deride questa salvezza, possiamo farne anche a meno.
fonte immagine: ufficio stampa