É uscito il 10 ottobre Rive, primo disco da solista di Ilaria Graziano e di cui l’artista ha curato la produzione artistica insieme a Simone De Filippis e Claudio Domestico (in arte Gnut). L’album è, per usare le parole dell’artista, il suo viaggio di ritorno alla musica, che arriva dopo una pausa creativa in cui Ilaria si è dedicata alla pittura, esplorando differenti forme di espressione artistica. Abbiamo intervistato l’artista che sarà in tour a partire dal prossimo 25 ottobre, toccando città come Roma, Napoli e Milano.

Date del Tour – Ufficio Stampa
Questo primo album da solista si inserisce in un percorso professionale già ricco e poliedrico, tra collaborazioni musicali e partecipazioni a colonne sonore, quanto delle tue precedenti vite artistiche porti con te in questo nuovo progetto?
Credo che ogni percorso artistico lasci un’impronta, anche quando col tempo perde la sua forma originaria. Alcune esperienze si sedimentano in profondità, diventano parte del mio modo di pensare, di sentire e di creare, influenzando inevitabilmente ciò che verrà dopo. Anche se non sempre è evidente, ogni tappa del mio percorso, dalle collaborazioni musicali alle colonne sonore, ha contribuito a costruire la visione che ha dato vita a questo nuovo progetto.
La produzione artistica di Rive arriva dopo un periodo di pausa dalla musica in cui hai esplorato altre forme di espressione artistica, cosa ha significato per te questo momentaneo allontanamento dalla musica e cosa ti ha spinto ad intraprendere questo progetto?
Prendermi una pausa è stato un atto necessario, un modo per ritrovare equilibrio. Vivere a contatto con la natura, in campagna, ha trasformato il mio modo di osservare il mondo e me stessa. Per me, allontanarmi ogni tanto dalla musica è anche un modo per continuare ad amarla e nutrirla. Il ritorno è avvenuto in modo naturale: partecipare al disco NUN TE NE FA di Gnut e al tour che ne è seguito è stato un passaggio delicato e autentico per tornare a cantare, accanto a un artista che stimo profondamente e che poi è diventato anche il mio produttore artistico insieme a Simone De Filippis, altro incontro significativo e profondamente stimolante.
Il disco Rive, la cui produzione artistica, come tu hai appena accennato, è condivisa con Simone De Filippis e Claudio Domestico (Gnut), si configura come un viaggio tra passato e futuro dove le radici si mescolano alle nuove esperienze, sia nei suoni che nelle parole e nella scelta della lingua, in che punto della tua esperienza artistica si inserisce questo album?
Questo album arriva in un momento in cui sentivo il bisogno di esplorare una voce diversa, suoni nuovi, un’esigenza che riflette pienamente anche il mio percorso personale. Sia la vita che la musica, per me, sono processi continui di scoperta di costruzione e demolizione. Mi ritrovo spesso a cercare di rompere le sovrastrutture che, inevitabilmente, ci costruiamo nel tempo, con la volontà di farle crollare per lasciare spazio a qualcosa di ancora inesplorato. Questo é il nuovo punto di partenza della mia esperienza artistica.
Tra i brani più intensi di Rive si può senza dubbio citare Primo che ha rappresentato per te il ritorno alla scrittura. Il brano parla di un amore improvviso e inaspettato e della scelta di restare per affrontare insieme le difficoltà della vita. Che cosa significa per te questo brano?
Primo è una dichiarazione d’amore. L’ho dedicato al mio compagno, verso il quale provo un’immensa gratitudine per la luce che porta nella mia vita, ma anche per le ombre che mi aiuta a vedere. In un amore così significativo, anche il conflitto diventa parte del viaggio: non qualcosa da temere, ma un momento da attraversare insieme.
Scrivere questo brano ha segnato il mio ritorno alla scrittura e alla possibilità di raccontarmi senza filtri. Desideravo vivere e raccontare un rapporto in cui ci si sceglie ogni giorno, anche nelle difficoltà, dove l’amore si fonde con la gratitudine. È un sentimento che va oltre il romanticismo: è qualcosa che ti scuote, ti trasforma, ti fa “esplodere il cuore”.
I due brani in dialetto napoletano contenuti in Rive, Fuje e Spirito do Viento, sono da un lato un’analisi di una condizione esistenziale diffusa e condivisa e dall’altro una preghiera laica che invoca guarigione e salvezza, perchè la scelta del dialetto proprio per questi due brani e quanto della Napoli di oggi possiamo intravedere tra i loro versi?
Ho scelto di scriverli in dialetto perché mi sembrava il linguaggio più autentico per esprimere certe emozioni: Fuje è nato proprio mentre ero a Napoli a trovare la mia famiglia. Sentivo attorno a me una città viva, sospesa, piena di contraddizioni, e il dialetto mi è sembrato il modo più vero per restituire quella complessità.
Spirito d‘o viento, invece, è nato durante una passeggiata nel bosco. In quel momento ho provato una sensazione ancestrale, profonda, e mi è venuto naturale ricorrere a una lingua che affonda nelle mie radici.
Tra i versi di entrambi i brani si può intravedere una Napoli piena di cicatrici ma ancora capace di cantare, resistere e sperare.
Fonte Immagine: Ufficio Stampa – Chiara Giorgi

