Ascoltando K-Conjog si fa presto a capire che potremmo ricevere dalla sua musica un’immagine decisamente alterata rispetto al pensiero che si ha dell’elettronica. Molte volte si cade in banali discussioni per stabilire se l’elettronica sia musica. Per molti l’azione del suonare è propria degli strumenti per così dire canonici. Interrogandosi si percepisce che nell’immaginario collettivo la musica elettronica è quella che non si suona, si immagina la musica dai forti bassi, quella dance, esclusivamente rilegata ai luoghi di sballo e divertimento, dove i bassi pompano per dare il tempo a danze sfrenate ed edulcorate.
Difficilmente si riesce a paragonare K-Conjog al bagaglio culturale che ci appartiene, più semplice è sentirlo vicino alla musica mitteleuropea come quella di Clara Moto oppure a quella del californiano Nosaj Thing.
Come si relaziona K-Conjog al feedback culturale che appartiene ad un sud Italia dove i neomelodici e la musica legata al folclore la fanno da padroni?
Essenzialmente è un mondo che non mi appartiene o mi appartiene nella misura in cui sono un abitante della mia città, volente o nolente. C’è una strana abitudine, tutta nostrana a dir la verità, a voler per forza etichettare regionalmente le realtà musicali della penisola, il che può essere anche una buona cosa da un punto di vista analitico, ma può risultare svilente se non si è fatto della tradizione la propria chiave di lettura estetica, come se noi per primi non riuscissimo mai a smarcarci fino in fondo dall’immagine ingombrante ed appariscente di un “folklore” che non rappresenta proprio tutti. La musica è una cosa enorme e non se ne può fare sempre e solo una questione di territorialità, a parer mio, non è solo un “problema” regionale, ma espandibile a tutta la penisola. Ricordo che l’estate scorsa al ritorno da un bellissimo concerto di Albarn all’auditorium di Roma mi chiedevo con un amico quale progetto italiano all’estero facesse salire in macchina centinaia di persone solo per gustarselo dal vivo, esattamente come capita qui. Mi venne in mente solo Ennio Morricone. Noi andiamo a sentire grandi concerti di inglesi, francesi, tedeschi, americani, ma il contrario? La dura verità è che una grande fetta dei progetti italiani che riesce a conquistarsi una qualsiasi fetta di pubblico, se la ride e se la canta da sé. Il pubblico italiano plasma idoli a sua immagine e somiglianza e se dovesse capitare un qualcosa di bello e diverso tra le orecchie, ecco spuntare la versione italiana di quella stessa cosa, non è solo un problema di lingua, che non è cosa da poco. Naturalmente abbiamo delle eccellenze tutte nostrane, penso a Lucio Dalla che era un genio. Confido molto nel sottobosco, quello vero che si contamina, ascolta e sperimenta, capace di parlare un linguaggio decisamente più universale. Il fatto che non si riesca mai ad andar fuori dai confini nazionali me lo spiego così, anche se fortunatamente qualche progetto comincia a dire la sua. Onestamente sono felice quando un produttore elettronico o una band riesce a smarcarsi dal fardello dell’italianità e portare la sua voce il più lontano possibile.
Cercando di capire dove affondano le radici della musica di K-Conjog, si tenta forse erroneamente di ricercare le sonorità nell’intorno di insiemi che fanno parte del mondo naturale o antropico che ci circondano, come si potrebbe fare con un Dominik Eulberg e le sue note provenienti dai boschi oppure basti pensare ai Kollective Trumstrasse con i campionamenti provenienti dalla loro Berlino. Come avviene la tua ricerca ovvero dove trovi ispirazione e soprattutto, qual è il mondo del quale K-Conjog fa parte?
Il mio mondo è prima di tutto quello degli ascoltatori di musica e dai lavori altrui prendo ispirazione per scrivere le mie cose. Sono sempre stato un ascoltatore vorace, poi naturalmente le mie esperienze personali ed emotive dicono sempre la loro.
Nell’immaginario delle persone il producer è una persona nottambula, dedita all’uso di stupefacenti e con una vita tra letto e discoteca dove soprattutto lo si immagina dj alla consolle, difficilmente si riesce a concepire il suo tempo legato alla composizione. È davvero questa la vita di chi fa musica elettronica oppure il K-Conjog compositore ha una vita morigerata fatta di paposce e gatto da coccolare?
Sono nottambulo solo se lavoro a qualcosa che mi piace, non faccio uso di stupefacenti, a letto ci vado con la mia ragazza, sono una schiappa di dj. Non ho un gatto perché, ahimè, sono allergico e spero prima o poi in un miracolo, ma ho due tipi di paposce: quelle per la doccia e quelle di uso comune.
Ascoltando il tuo ultimo lavoro ci si accorge di un forte cambiamento avvenuto tra il K-Conjog dei Chapter e quello attuale, di “Fermati, O Sole!”, quasi a ricercare un distacco. Quanto della musica che troviamo nell’ultimo lavoro di K-Conjog è volutamente diversa, oppure è una questione di naturale progredire e magari per te avanzare verso il decantare delle tue sonorità?
Credo che il percorso personale sia direttamente proporzionale a quello compositivo. Prima scrivevo di più e di getto, ora invece tendo a ponderare molto di più censurandomi la gran parte delle volte. Temo molto di adoperare sempre le stesse soluzioni o di soffermarmi troppo su una certa tipologia di umoralità. Il fatto è che scrivere musica a volte è un lavoro a tempo pieno e certe soluzioni arrivano anche quando non hai uno strumento tra le mani. Però credo abbia ragione tu. Sì, sto decantando.
Dove vuoi che arrivi la musica di K-Conjog?
Mi sentirei un ipocrita se cercassi in qualche modo di sviare completamente una domanda del genere. Scrivo musica con assoluta dedizione, passando da momenti di soddisfazione ad altri di profondo scoramento e non ti nego che mi piacerebbe arrivare a quante più teste possibile. Poi, non saprei. A te è arrivata?