12 maggio 1974: al via il referendum abrogativo sul divorzio

12 maggio 1974 referendum abrogativo divorzio

Il 12 e il 13 maggio 1974 si tenne in Italia il primo referendum abrogativo della sua storia. L’evento, disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione, venne promosso dalla Democrazia Cristiana (DC), partito egemone negli anni della Prima Repubblica. L’obiettivo era abrogare la norma che aveva liberalizzato in Italia il divorzio: la legge 1 dicembre 1970, n. 898, approvata  dalla Camera dei Deputati con 319 voti favorevoli e 286 contrari (su 605 votanti e presenti in Aula) al termine di una seduta conclusasi alle 5:40 del mattino con votazioni iniziate alle 10 del giorno precedente. La legge è passata poi alla storia come la legge Fortuna-Baslini, dal nome dei due deputati firmatari, Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale).  Durante i due giorni in cui si tenne il referendum, si recarono alle urne 33.023.179 di elettori, di cui 19.138.300 (59,26%) contrari all’abrogazione della legge sul divorzio e 13.157.558 (40,74%) favorevoli. Il primo referendum abrogativo della storia repubblicana si concluse dunque con un “no”, che ribadì quella volontà politica, espressa in Parlamento quattro anni prima,  capace di allineare l’Italia agli altri paesi democratici, che avevano istituzionalizzato il divorzio già nei decenni precedenti. In Francia e nel Regno Unito la possibilità di divorziare venne addirittura introdotta, rispettivamente, nel XVIII e XIX secolo

La propaganda antidivorzista, che trovò DC e Movimento Sociale Italiano (MSI) uniti sulle stesse posizioni, non poté denunciare “la crisi di valori provocata dal divorzio” a causa della natura oggettiva dei dati: a quattro anni dall’applicazione della legge, si era infatti lontani da quel “disastro sociale” che, secondo i partiti antidivorzisti, avrebbe dovuto procurare la norma. Nel primo anno dell’entrata in vigore della legge, i divorzi furono soltanto 17.164, nel ’72 il numero salì a 31.717 per poi riscendere l’anno successivo a 22.500.  La propaganda del fronte conservatore concentrò, in un primo momento, le proprie forze sulle critiche agli aspetti tecnici della legge, mentre nelle settimane precedenti al voto pose l’accento sulle conseguenze socio-politiche dell’atto, cercando di avvalorare il binomio antidivorzismo/anticomunismo. Particolarmente attivo nella campagna del “sì” fu l’allora segretario della DC, Amintore Fanfani, che percorse in lungo e in largo la penisola per tenere i propri comizi, sempre più aggressivi e politicizzati man mano che il paese si avvicinava al 12 maggio del 1974.

Sul fronte divorzista si ritrovarono, invece, tutti i partiti laici, al di là delle divisioni politiche e ideologiche: dai comunisti ai liberali. Il Partito Comunista Italiano (PCI) superò i dubbi iniziali, generati dal timore di una spaccatura all’interno della classe lavoratrice e di un confronto troppo diretto con i cattolici, per impegnarsi per la causa divorzista. La risposta del tessuto sociale fu immensa: alle urne si presentò l’87,7% degli aventi diritto e lo storico risultato, con cui l’istituto del divorzio poté restare in vigore, venne celebrato da gran parte della stampa, che dipinse l’Italia come un paese moderno, civilmente maturo, più autonomo rispetto alla Chiesa e ansioso di rinnovamento. “Grande vittoria della libertà”, titolò L’Unità, riprendendo le parole del segretario del PCI Enrico Berlinguer: “È una grande vittoria della libertà, della ragione e del diritto, una vittoria dell’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti”. 

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A proposito di Salvatore Toscano

Salvatore Toscano nasce ad Aversa nel 2001. Diplomatosi al Liceo Scientifico e delle Scienze Umane “S. Cantone” intraprende gli studi presso la facoltà di scienze politiche, coltivando sempre la sua passione per la scrittura. All’amore per quest’ultima affianca quello per l’arte e la storia.

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