Associazioni Pro-Life nei consultori, via libera del Senato

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Associazioni Pro-Life nei consultori: l’emendamento di Fratelli d’Italia passa anche al Senato.

A pochi giorni dalla decisione del Parlamento Europeo di inserire l’aborto tra i diritti fondamentali dell’Unione, Fratelli d’Italia aggiunge un emendamento al decreto Pnrr-quarter che prevede la possibilità per le regioni di avvalersi di «soggetti del Terzo settore con una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità»: in altre parole, associazioni antiabortiste, cattoliche e movimenti antiscelta, tutti cosiddetti «pro-life», già ampiamente presenti e indisturbati all’interno di molte strutture sanitarie, con importanti finanziamenti pubblici e professionisti appartenenti al mondo dell’obiezione di coscienza.

In questo modo, si aggira l’iter naturale di percorso attinente al personale del consultorio, che – in base alle problematiche della paziente – la sostiene e indirizza verso le strutture preposte. Queste associazioni, invece, chi le valuterà? Sulla base di quali criteri? Che competenze avranno? Attualmente, in Italia, l’aborto è tutelato ma non garantito dalla 194/78, legge che – nei suoi 46 anni di vita – è stata smantellata, svuotata e strumentalizzata, venendo meno a quel patto tra le istituzioni e le donne che decisero e portarono nel futuro i diritti di tutte le donne nel nostro Paese. Ad oggi, il numero dei consultori è drasticamente ridotto rispetto a quello previsto dalla legge 405/75, c’è una grossa carenza negli organici e una limitata formazione degli operatori e delle operatrici, le molteplici e indispensabili offerte su prevenzione e cura sono ridotte all’osso. Inoltre, sono completamente assenti percorsi di affermazione di genere per tutte le persone che attraversano queste strutture sociosanitarie sul territorio, che dovrebbero essere in ogni caso laiche e gratuite, sia nel caso di un sostegno alla maternità e alla genitorialità, sia nel caso di un aborto.
Con questo emendamento, infine, si cerca di rendere l’aborto ancora di più una corsa a ostacoli perché considerato “immorale” o “sbagliato”. Ricordiamo, invece, che l’aborto, oltre a essere una scelta che spetta solo ed esclusivamente alla donna, è anche una richiesta di salute e, nel concetto di salute riproduttiva, è insisto il fatto che si possa scegliere se, come e quando diventare madre.

Il Senato approva l’accesso di gruppi anti-abortisti nei consultori, malgrado le polemiche sull’inserimento dell’aborto in un emendamento al decreto sul Pnrr. L’approvazione era scontata, come già avvenuto alla Camera una settimana fa. Il Senato italiano ha votato martedì un provvedimento che consente di operare all’interno dei consultori familiari alle associazioni anti-abortiste (anche chiamate pro-vita). La misura ha sollevato numerose critiche per le modalità e per le tempistiche, nonostante il diritto all’aborto sia tornato nell’agenda politica con una risoluzione dello stesso Parlamento europeo questo mese. Il permesso all’attività di gruppi di “supporto alla maternità” e alle donne alle prese con un’interruzione di gravidanza è stato infatti inserito nel decreto sulle misure finanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che andava convertito in legge entro il 1 maggio, e su cui la maggioranza ha posto la fiducia, rendendone pressoché scontata l’approvazione. L’emendamento, a firma di Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia, è già passato alla Camera dei Deputati che ha approvato il testo sul Pnrr il 16 aprile, alla vigilia delle elezioni regionali in Basilicata, con 185 voti favorevoli, 115 contrari e 4 astenuti.

La misura sui consultori: un tentativo di svuotare la legge 194 sull’aborto e l’entrata delle associazioni pro-life

Il voto di martedì è stato preceduto da una protesta davanti al Senato.

«La legge 194 non è fatta per l’autodeterminazione del proprio corpo in merito all’aborto» ha detto una delle donne presenti, Bianca Monteleone

«La legge è estremamente paternalistica, perché prevede la tutela sociale della maternità e l’aborto come un’eccezione che deve essere ostacolata il più possibile, ad esempio attraverso misure statali» ha aggiunto Monteleone.

Per gli attivisti a favore dell’aborto (anche detti pro-scelta) si tratta di un tentativo di attaccare la 194, seppure non frontalmente. 

«Sta già accadendo in alcune regioni come il Piemonte» avverte la ginecologa Silvana Agatone, presidente dell’associazione pro-scelta Laiga

«Personaggi che non si sa che qualifica abbiano. Sicuramente non hanno studiato, non hanno superato esami per andare a parlare con le donne di argomenti per cui il consultorio ha già figure altamente qualificate» avverte Agatone.

Governo, gli attivisti nei consultori per “applicare davvero” la legge sull’aborto in Italia

La legge che ha depenalizzato l’aborto in Italia, infatti, è stata il frutto di un compromesso politico nel 1978 che però non è mai stato rivisto per adeguarlo ai tempi, come invece accaduto altrove in Europa.  Dalla sua elezione nel settembre 2022, il governo guidato dalla destra di Giorgia Meloni non ha mai messo in discussione apertamente la 194, come chiesto dai gruppi pro-vita e in difesa della famiglia tradizionale che l’hanno sostenuto.

«Penso che si debba garantire una libera scelta e credo che per fare una libera scelta sia necessario avere tutte le informazioni necessarie. Questo è quello che prevede la legge 194 e credo che sia la cosa giusta da fare», ha detto Meloni martedì da Bruxelles.

Quasi tutti concordano nel non toccare la 194, da un lato e dall’altro nel dibattito sull’aborto per motivi diversi, perciò il confronto si è spostato sul potenziale delle previsioni della legge.

Il dibattito sulla legge 194 sull’aborto mai chiuso dal 1978

Il governo Meloni sostiene la presenza nei consultori familiari di gruppi di supporto alla maternità, in quanto applicherebbe pienamente gli articoli 1 e 3 della legge 194. 

«Lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite», si legge nell’articolo 1 della legge.

L’articolo 3 indica invece, tra le responsabilità dei consultori, quella di contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» e la possibilità di avvalersi di associazioni di volontariato che «possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».

Il precedente dell’art. 9 della 194: quasi 2/3 dei ginecologi non fa aborti

Il rischio che un’applicazione letterale della legge, a oltre 40 anni dal suo concepimento, possa far diventare la libertà di abortire una vera e propria odissea per tantissime italiane, ha l’esempio più chiaro nell’interpretazione estensiva data all’articolo 9 sull’obiezione di coscienza.

Inizialmente prevista per rispettare gli eventuali dilemmi etici di ginecologi e operatori sanitari chiamati a intervenire durante un aborto in ospedale, l’obiezione di coscienza nel 2021 è arrivata a riguardare il 63,6 % dei ginecologi e il 40,5 % degli anestesisti in Italia, secondo l’ultima relazione annuale sulla legge del Ministero della Salute sull’attuazione della 194.

Secondo il Ministero, in Italia si eseguono ogni anno circa 60mila interruzioni di gravidanza (63.653 nel 2021) e si rivolge ai consultori per ottenere il certificato medico obbligatorio il 42,8 % delle donne che intendono abortire.

Il provvedimento, che aveva già ricevuto il via libera dalla Camera il 18 aprile, diventa così legge. Ma lo scontro in Aula è aspro soprattutto su alcune misure, come quella che consente alle associazioni pro-vita di entrare a pieno titolo nell’organizzazione dei consultori. Per le senatrici Valeria Valente (Pd) e Alessandra Maiorino (M5S) si tratta, in realtà, di un «attacco bello e buono» alla legge e di «una mano tesa» agli antiabortisti. E questo, incalza Tino Magni (Avs), «nella convinzione patriarcale che le donne non siano capaci di scegliere liberamente, che non siano capaci di autodeterminarsi».

Nel Senato, dove nel frattempo si apprende che il 6 maggio arriverà la statua sulla maternità dell’artista Vera Omodeo, che il Comune di Milano aveva rifiutato, il dibattito non si placa fino al momento del voto. Il presidente dell’Udc Antonio De Poli difende la norma sui consultori osservando come non sia «un reato aiutare le donne a scegliere la vita», mentre la senatrice del M5S Ketty Damante non ha dubbi: «Il decreto è solo un modo per il governo di provare a nascondere il totale fallimento nella gestione del Piano». «Stiamo attentissimi quando in futuro l’Ue ci proporrà altre forme di debito» – dichiara il leghista Claudio Borghi – «perché le sirene hanno già iniziato a suonare e questo lo dico anche agli alleati».

Tra le misure del Pnrr, l’emendamento che permette l’entrata delle associazioni pro-life nei consultori scatena l’opposizione

Misure per migliorare la sicurezza nei cantieri come la patente a punti, più tutele nel sistema degli appalti e subappalti, ma anche disposizioni per evitare che la cessione della quota di PagoPa a Poste Italiane comporti una ‘influenza dominante di quest’ultima società, misure per favorire la decarbonizzazione dell’ex Ilva, interventi per le guide turistiche, possibilità per gli enti del Terzo Settore di operare nei consultori, con particolare riferimento alle associazioni a sostegno della maternità (pro-life). Misura questa che ha fatto insorgere le opposizioni, che temono il rischio di un passo indietro sull’aborto. «Il Pnrr come cavallo di Troia per far entrare nei consultori le associazioni antiabortiste amiche della destra» – ha commentato il deputato Pd, Alessandro Zan – «e limitare il diritto all’autodeterminazione delle donne. Stanno cancellando la 194 a colpi di decreto, senza il coraggio di ammetterlo. Un governo di vigliacchi». «Siamo soddisfatti» – ha detto Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia – «del voto favorevole del Senato all’emendamento al Pnrr, che mira a riportare i consultori al loro vero e originario ruolo, quello pensato dall’inapplicata parte della legge 194, ovvero luoghi di aiuto, sostegno e alternative concrete all’aborto per le donne, mentre non è assolutamente vero che l’emendamento farà entrare le associazioni pro-life nei consultori».

È legge la norma che prevede la presenza di associazioni antiabortiste nei consultori ai quali si rivolgono le donne che intendono abortire. Le regioni potranno avvalersi di queste associazioni pro-life, come di fatto è già accaduto in alcune realtà a guida centrodestra (in Piemonte e nel Lazio, ad esempio) in forza di alcune delibere. Questa possibilità viene ora rafforzata da una legge nazionale approvata dai due rami del Parlamento e pronta per la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. La norma è infatti contenuta del decreto per l’attuazione del Pnrr che l’aula del Senato, dopo il via libera della Camera di pochi giorni fa, ha approvato oggi pomeriggio in via definitiva. E che passa ora al Quirinale per la firma del presidente della Repubblica chiamato a promulgarla per la pubblicazione in Gazzetta che ne sancirà l’entrata in vigore.

A inserire nel decreto sul Piano di ripresa e resilienza il tema delle norme sull’interruzione volontaria di gravidanza, regolata in Italia dalla legge 194 del 1978, è stato un emendamento del deputato di Fratelli d’Italia Lorenzo Malagola. Approvato in commissione Bilancio alla Camera è finito, nonostante i tentativi di emendamenti soppressivi da parte dell’opposizione, nella legge licenziata da Montecitorio. E da lì nella versione definitiva approvata dall’aula di Palazzo Madama.

Secondo l’emendamento le regioni nell’organizzare i servizi dei consultori previsti dalla legge 194 – a cui le donne si rivolgono per poter ottenere il certificato medico con il quale accedere all’interruzione volontaria di gravidanza in ospedale –  possono «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità».

Passa al Senato con 95 sì, 68 no e un astenuto il decreto che contiene misure aggiuntive per l’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il provvedimento, che aveva già ricevuto il via libera dalla Camera il 18 aprile, diventa così legge. 

L’articolo ha provocato reazioni sdegnate da parte della politica, a partire da Pd e Cinquestelle, sindacati come la Cgil che oggi era in piazza davanti al Senato per protestare contro la misura, e anche di professionisti e associazioni.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

A proposito di Maria Laura Amendola

Nata a Potenza il 28 giugno 1993, madre australiana e papà Irpino. Impegnata, per diversi anni, in organizzazioni a carattere sociale e culturale, ho prediletto come ambito il femminismo e le battaglie contro le disuguaglianze di genere. Nel 2021, è nata la mia prima opera letteraria, "Una donna fragile", Guida Editori.

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