Direttiva UE sulla trasparenza retributiva: guida per le aziende italiane

Il Gender Pay Gap, la differenza retributiva tra uomini e donne, è un fenomeno complesso che riflette profonde disuguaglianze nel mondo del lavoro. Sebbene le cause siano molteplici, dalla segregazione settoriale agli stereotipi di genere, la mancanza di trasparenza salariale è sempre stata identificata come un ostacolo fondamentale per contrastarlo. Per affrontare questo problema alla radice, l’Unione Europea ha introdotto uno strumento normativo potente: la Direttiva (UE) 2023/970 sulla trasparenza retributiva. Questa direttiva non è solo una dichiarazione di intenti, ma impone obblighi precisi che cambieranno radicalmente il modo in cui le aziende italiane gestiscono le retribuzioni.

Cos’è la Direttiva sulla trasparenza retributiva?

Approvata nel 2023, la Direttiva (UE) 2023/970 ha l’obiettivo di rafforzare il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne. Lo fa attraverso un insieme di norme vincolanti sulla trasparenza salariale che dovranno essere recepite da tutti gli Stati membri, Italia inclusa, entro il 7 giugno 2026. L’idea di fondo è semplice: rendere visibili le disparità per poterle correggere.

I 4 obblighi principali per le aziende

La direttiva introduce una serie di nuovi doveri per i datori di lavoro, sia nel settore pubblico che in quello privato. Questi obblighi possono essere riassunti in quattro aree principali.

Obbligo Principale Dettagli chiave
Trasparenza pre-assunzione Indicare il livello retributivo negli annunci di lavoro. Divieto di chiedere la retribuzione precedente dei candidati.
Diritto all’informazione I dipendenti possono richiedere i livelli retributivi medi, per sesso, di colleghi che svolgono un lavoro di pari valore.
Reporting sul divario di genere Le aziende (con soglie di dipendenti specifiche) devono comunicare periodicamente il proprio gender pay gap.
Valutazione congiunta Se il reporting rivela un divario superiore al 5% non giustificato, l’azienda deve condurre una valutazione delle retribuzioni.

1. Trasparenza in fase di assunzione

Le aziende dovranno indicare il livello retributivo iniziale o la fascia di stipendio direttamente nell’annuncio di lavoro o prima del colloquio. Sarà inoltre vietato chiedere ai candidati informazioni sulle loro retribuzioni precedenti, una pratica che tende a perpetuare i divari esistenti.

2. Diritto all’informazione per i dipendenti

Una volta assunti, i lavoratori avranno il diritto di richiedere e ricevere informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, per le categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. I datori di lavoro dovranno inoltre rendere facilmente accessibili i criteri utilizzati per definire la retribuzione e i percorsi di carriera.

3. Obbligo di reporting sul gender pay gap

Le aziende dovranno comunicare periodicamente alle autorità competenti (e ai propri dipendenti) il divario retributivo di genere al loro interno. Questo obbligo sarà progressivo:

  • Dal 2027: per aziende con 150 o più dipendenti.
  • Dal 2031: per aziende con 100 o più dipendenti.

4. Valutazione congiunta delle retribuzioni

Se il reporting aziendale rivela un divario retributivo di genere superiore al 5% in una qualsiasi categoria di lavoratori, e il datore di lavoro non può giustificarlo sulla base di criteri oggettivi e neutri, scatta un ulteriore obbligo. L’azienda dovrà condurre una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori per analizzare e correggere le disparità.

Scadenze e sanzioni: cosa devono sapere le imprese

La scadenza chiave per le aziende italiane è prepararsi all’implementazione della normativa nazionale, che dovrà essere emanata entro il 7 giugno 2026. La direttiva prevede che gli Stati membri introducano sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” per le violazioni. Un altro cambiamento fondamentale è l’inversione dell’onere della prova: in caso di presunta discriminazione, spetterà al datore di lavoro, e non al lavoratore, dimostrare di aver rispettato il principio della parità retributiva.

Come prepararsi: 5 passi pratici per le aziende

Le aziende italiane non dovrebbero attendere il 2026 per agire. Prepararsi in anticipo è una mossa strategica. Ecco alcuni passi concreti da intraprendere:

  1. Mappare ruoli e retribuzioni: analizzare la struttura retributiva attuale, identificando le categorie di lavoratori che svolgono “lavoro di pari valore”.
  2. Condurre un’analisi preliminare del pay gap: effettuare un audit interno per individuare eventuali disparità di genere non giustificate e comprenderne le cause.
  3. Definire criteri retributivi oggettivi: assicurarsi che i sistemi di valutazione delle performance, di inquadramento e di progressione di carriera siano basati su criteri chiari, neutri e non discriminatori.
  4. Preparare i sistemi di reporting: adeguare i sistemi HR e di gestione dati per raccogliere e analizzare le informazioni richieste dalla direttiva in modo efficiente.
  5. Formare manager e HR: è fondamentale formare chi gestisce le persone sui nuovi obblighi di trasparenza e sui principi di equità retributiva per evitare errori e promuovere una cultura inclusiva.

Un cambiamento culturale oltre l’obbligo di legge

La Direttiva sulla trasparenza retributiva non è solo un adempimento burocratico. Rappresenta un’opportunità per le aziende di rivedere le proprie politiche interne, attrarre e trattenere i migliori talenti e rafforzare la propria reputazione. Come sottolineano diverse analisi, eliminare il divario retributivo non è solo una questione di giustizia, ma anche un fattore di sviluppo economico e sociale. Le aziende che abbracceranno proattivamente questo cambiamento non solo eviteranno sanzioni, ma si posizioneranno come datori di lavoro più equi, moderni e competitivi sul mercato del futuro.

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