Gli Equinozi di Cyril Pedrosa – Recensione

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Gli Equinozi è l’ultimo lavoro di Cyril Pedrosa, opera edita dalla Bao Publishing che scaturisce da tre lunghi anni di lavoro.

Cyril Pedrosa propone la sua nuova graphic novel dopo il successo riscontrato con Portugal e non tradisce le aspettative. Gli Equinozi non è il racconto di una storia ma di tante storie che si legano tra loro. La struttura narrativa è caratterizzata dalla presenza di quattro capitoli che si succedono seguendo l’alternanza delle stagioni e in ognuno di essi c’è lo spazio per occuparsi di piccoli frammenti di vita di ogni personaggio. L’autunno, l’inverno, la primavera e l’estate non sono solo funzionali alla costruzione di una cornice per il racconto e per la scansione del tempo ma rimandano alla ciclicità della vita e al passare del tempo: i vari personaggi si distinguono proprio per le diverse stagioni della vita che stanno vivendo.

Le vicende raccontante riguardano personaggi differenti tra loro per età anagrafica e per esperienze. Si spazia dal rapporto forse più interessante tra Antonie e Louis, un giovane ragazzo ed un anziano signore, a quello complicato tra madre, padre e figlia ossia Christine, Vincent e Paulline. C’è la storia di Camille che usa la fotografia come filtro attraverso cui osservare il mondo e quella di Damien, fratello di Vincent e sacerdote.  E saranno proprio i dialoghi tra Vincent e il fratello a costituire uno dei punti più interessanti del racconto perché sinceri e toccanti.

Le storie che si alternano con ritmo durante il racconto convergono tutte nella stessa direzione, come per sottolineare quell’invisibile filo che lega ogni esistenza alle altre indipendentemente dalla volontà del singolo. A far comprendere il peso di ogni singola vita più che le conseguenze delle azioni, sono le assenze di alcuni personaggi, assenze che lasciano vuoti incolmabili e che fanno cambiare la percezione di un’intera esistenza. L’impercettibile legame tra personaggi che apparentemente non hanno nulla in comune è evidenziato anche dalla scelta di non dividere le storie ma anzi, passare dall’una all’altra sfruttando particolari, oggetti, vedute comuni a personaggi lontani nello spazio ma non nel racconto.

Il problema è che quegli stessi personaggi, quegli stessi uomini, riscontrano una difficoltà nel comunicare, nel comprendersi: «La nostra percezione degli altri non arriverà mai a rivelarci cosa essi siano, allo stesso modo in cui quel riflesso di sé restituito dal retrovisore non racconta realmente cosa sia lui. Siamo definitivamente inaccessibili gli uni agli altri».

Pedrosa lascia spiegare alle parole i concetti che non possono essere disegnati non perché sia impossibile farlo o per mancanza di strumenti ma per scelta. Infatti, nel racconto non si alternano solo le storie dei personaggi ma anche i lunghi testi e le immagini. Pedrosa sfrutta le fotografie scattate ai protagonisti per catapultare il lettore in una dimensione dove si possono conoscere e comprendere debolezze, gioie, delusioni, sogni e paure dei personaggi. E se la fotografia è lo strumento attraverso cui immortalare l’umanità in tutte le sue sfaccettature, lo scatto che ne scaturisce è impietoso e commovente. Si può prendere atto di ciò che si è diventati al di là delle aspettative, dei sogni, dell’essersi visti migliori di come si è: «Non potrò mai rimediare a questi dieci anni passati a non imparare nulla, a non capire nulla. Non sarò mai Gene Kelly, Pollock, Virginia Woolf o Chris Killip. Non ho la stoffa. Non sono attrezzata. Fa male. L’ho creduto, un tempo, un poco. Mi ero segretamente raccontata quella storia, all’età in cui si è capaci di fingere di credere nel proprio talento, in cui si spera di costruirsi pezzo per pezzo sotto ai propri stessi occhi. Ripenso a tutto questo, rumino i pensieri senza sosta. So che è inutile».

Gli Equinozi di Cyril Pedrosa è un’opera che parla in modo mai scontato e banale della necessità di sentirsi parte del tutto, di come le nostre azioni abbiano sempre delle ripercussioni anche se in luoghi e tempi lontani. L’aspetto più interessante però, è che nel fare tutto ciò non ha paura di parlare delle incertezze della vita, dell’ipocrisia che caratterizza molti rapporti e del dolore.

«Vorrei che i miei errori mi fossero perdonati, ma nessuno lo può fare. Bisogna accontentarsi di perdonare se stessi».

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A proposito di Salvatore Tramontano

Studia Mass Media e Politica presso l'Università di Bologna. Scrive per capire cosa pensa.

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