L’inquinamento spaziale è l’accumulo di oggetti artificiali non più operativi che orbitano intorno alla Terra, una minaccia crescente per il nostro ambiente extraterrestre. Se alzando gli occhi al cielo notturno incontrassimo questa enorme quantità di detriti, capiremmo il pericolo che rappresentano per il futuro delle attività spaziali e per i servizi essenziali sulla Terra.
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Cos’è l’inquinamento spaziale e da cosa è causato
Con inquinamento spaziale, o detriti spaziali (space debris), si intendono tutti gli oggetti artificiali in orbita terrestre senza più alcuna utilità. Questa “spazzatura” include satelliti dismessi, stadi di razzi, frammenti da collisioni o esplosioni di vecchie missioni spaziali e persino oggetti persi dagli astronauti (come un guanto dell’astronauta Edward White). Recentemente, il problema si è aggravato con il lancio di mega-costellazioni di migliaia di satelliti, come Starlink, che stanno aumentando drasticamente la densità di oggetti, soprattutto nell’Orbita Terrestre Bassa (LEO).
A causa dell’altissima velocità orbitale (decine di migliaia di km/h), anche un frammento minuscolo può danneggiare o distruggere un satellite operativo, interrompendo comunicazioni, navigazione GPS e previsioni meteo. Inoltre, il rischio di collisioni mette in pericolo la vita degli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
I rischi dei detriti spaziali: la sindrome di Kessler
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) stima la presenza di circa 36.500 detriti più grandi di 10 cm. Questo numero sale a oltre un milione se si considerano i frammenti tra 1 e 10 cm. Sebbene la densità per chilometro cubo sia bassa, il rischio di impatto è concreto e può innescare un effetto a catena noto come Sindrome di Kessler. Teorizzata negli anni ’70 dall’astrofisico della NASA Donald J. Kessler, questa ipotesi descrive come una singola collisione possa generare una cascata di nuovi detriti, che a loro volta colpiscono altri oggetti, aumentando esponenzialmente il numero di frammenti e il rischio di ulteriori impatti. Questo effetto domino potrebbe, in uno scenario estremo, rendere intere fasce orbitali inutilizzabili per decenni.
Soluzioni per l’inquinamento spaziale: mitigazione e rimozione
La comunità scientifica internazionale, inclusa l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), sta lavorando attivamente su due fronti: la mitigazione e la rimozione attiva. La mitigazione si concentra sulla prevenzione, ad esempio costruendo satelliti con materiali che si disintegrano più facilmente durante il rientro nell’atmosfera terrestre o progettando manovre di rientro controllato (deorbiting) a fine vita.
La rimozione attiva dei detriti (Active Debris Removal – ADR), invece, punta a “ripulire” l’orbita. L’ESA è in prima linea con la missione ClearSpace-1, prevista per il 2026. Questo progetto pionieristico utilizzerà un satellite “cacciatore” con quattro bracci robotici per catturare un detrito spaziale di grandi dimensioni (un adattatore di un razzo Vega lasciato in orbita nel 2013) e trascinarlo a bruciare nell’atmosfera. Altre tecnologie in studio includono l’uso di reti, arpioni e laser per catturare o deviare i detriti.
Prevenzione vs. Pulizia: le strategie a confronto
Strategie di mitigazione (prevenzione) | Strategie di rimozione attiva (pulizia) |
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Progettazione di satelliti che si disintegrano al rientro. | Missioni con robot per catturare detriti (es. ClearSpace-1). |
Manovre di deorbiting controllato a fine vita operativa. | Uso di reti o arpioni per agganciare oggetti non collaborativi. |
Passivazione dei veicoli spaziali per evitare esplosioni future. | Tecnologie laser da terra per modificare l’orbita dei detriti. |
L’inquinamento spaziale è una minaccia globale che richiede azioni immediate e coordinate. Solo attraverso un impegno congiunto di agenzie spaziali, governi e aziende private possiamo proteggere l’ambiente orbitale e garantire un futuro sicuro per l’esplorazione dello spazio.
Fonte immagine: Pixabay
Articolo aggiornato il: 30/09/2025