Con la mano alzata parte 2 il nuovo EP dei Manleva | Intervista

Il nuovo EP dei Manleva | Intervista

Manleva tornano con un EP che suona come una dichiarazione di intenti: autentico, diretto ed umano fino all’ultima nota. Il trio bolognese infatti decide di spalancare le porte a un nuovo percorso artistico che prende il nome di Con la mano alzata, parte due.

Questo nuovo progetto si presenta come una realtà nella quale buttarsi a capofitto e per immergerci nella sua identità più profonda, abbiamo intervistato il sorprendente trio di artisti che gli ha dato vita.

Intervista ai Manleva

Il titolo “Con la mano alzata” richiama un gesto di risposta, ma anche di protesta o richiesta d’ascolto. Oggi alzare la mano è ancora un modo per farsi notare, o è diventato un modo per dire “ci sono, ma non mi sentite”?

– Parla Andrea – con delega da parte dei Manleva

Si tratta di un gesto che implica di avere qualcosa da dire, una propria opinione, che può essere condivisa o meno da chi ascolta. Questo è il significato che abbiamo voluto dare e che rispecchia anche il significato della parola Manleva. Oggi siamo pieni di parole buttate nel mucchio. Quello che stiamo vivendo è un paradosso: prima di tutto conta l’apparenza, il “farsi notare con numeroni”, poi viene l’artista e infine la musica. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e invertire questo trend, riportare l’attenzione sui significati e sulla musica. Noi la mano l’alziamo!

Nell’EP c’è un filo che unisce rabbia e intimità. Pensi che, in un mondo che corre a volume altissimo, la sincerità sia diventata la forma più rumorosa di ribellione?

Credo lo sia sempre stata, un testo costruito non regge, la stessa cosa vale per la musica. Se ne sente tanta “piaciona” ma parole e note hanno lo stesso peso e se non sono sincere non saranno mai abbastanza potenti da travolgerti. Il problema è fare in modo di raggiungere le orecchie delle persone. Come ascoltatore mi rendo conto che io stesso faccio fatica a scoprire artisti nuovi interessanti; l’offerta di musica-spazzatura è spaventosa e scovare le perle diventa molto complicato. Anche la parte live è complessa, concertini interessanti si trovano, ma devi fare i conti anche con il portafoglio, i live stanno diventando qualcosa per pochi, non per le masse. Per quanto riguarda il “volume altissimo” è vero. Credo vada anche a braccetto con il “consumismo sfrenato”. Oggi il mercato ti impone di pubblicare sempre musica nuova per tenere alta l’attenzione, ma reggere un ritmo di questo tipo restando sinceri è una sfida molto complessa. Non siamo macchine e non esiste un interruttore on-off. Per scrivere devi aspettare il momento giusto, capirlo, renderlo tuo e quando senti che il tempo è maturo allora prendi tutto questo bagaglio emozionale e lo fai uscire. Arrivato a quel punto il percorso non è finito, hai un diamante grezzo, devi rifinirlo per farlo splendere come merita, cercando di rispettarlo prendendo il tempo corretto per farlo. Si tratta di un lavoro meticoloso che impone pazienza. Si tratta di arte, non di una catena di montaggio.

Avete registrato tutte le tracce simultaneamente per ottenere un suono più autentico e uniforme. In un periodo in cui la musica viene spesso costruita a pezzi e incollata in post-produzione, quanto conta per voi preservare l’imperfezione viva del suonare insieme?

Non si tratta di una vera e propria imperfezione, si tratta più di una contaminazione data da chi questi pezzi li ha suonati. Perché sì, sono stati tutti realmente suonati e non sintetizzati con macchine virtuali. La parte in studio è stata entusiasmante e complessa allo stesso tempo, volevamo che il mood del lavoro fosse coerente tra i pezzi ma allo stesso tempo che ognuno di noi potesse dare il suo contributo esprimendosi liberamente. Non avendo il batterista abbiamo portato in studio delle bozze con batterie fittizie giusto per capire se tutto stava in piedi, da quel momento è iniziata la rivoluzione. Il nostro produttore Alberto Paderni è anche un ottimo batterista, ed è stato proprio lui a registrare tutte le batterie, da lì tutto si è modificato in cascata, permettendoci di impreziosire e perfezionare sia le strutture che i suoni delle canzoni. La voce è stata sicuramente la parte più complessa: certe canzoni hanno mantenuto l’idea originale che è stata arricchita delle modifiche fatte sulle musiche e dai cori della bravissima Nicole Barba che non finiremo mai di ringraziare, altre sono state totalmente sconvolte per essere più coerenti. Credo sia stata una delle cose più belle e allo stesso tempo più psicologicamente snervanti che mi sono trovato davanti. Resta il fatto che lo rifarei domani.

Nei vostri testi emerge spesso la sensazione di non sentirsi a proprio agio “nel pezzo di mondo in cui si vivono le giornate”. Vi capita mai di pensare che il disagio generazionale di cui parlate sia una forma di lucidità più che di fragilità?

Sì, può esserlo. Ma se così fosse allora l’incoerenza regnerebbe sovrana, perché se si è consapevoli del disagio si dovrebbe essere anche consapevoli che non si sta facendo abbastanza per risolverlo. Manca quindi la lucidità o la voglia di fare? Oppure è semplicemente comodo fare finta di non capire perché in questo modo si ha qualcosa da dire? Occorre però essere realisti: la nostra è una generazione che non ha potuto scegliere, siamo la generazione figlia di scelte di altri e spesso ne paghiamo il conto pur non avendo colpe. Credo che questo da un certo punto di vista disilluda parecchio le persone, fino ad arrivare a deludere profondamente e da lì rialzarsi è dura. Bisogna concentrarsi e convogliare tutte le energie per uscire da questo vortice. Possiamo farcela.

In passato avete toccato temi come la violenza di genere e la disillusione quotidiana. In un periodo in cui molti artisti scelgono di non esporsi, quanto è importante per voi che la musica resti anche uno spazio di posizione e di coscienza sociale?

Per me questo è il principale compito della musica. Comunicare. Trasmettere. Condividere. Se ci si riflette praticamente tutte le canzoni toccano temi sociali, perché l’essere umano vive e convive con la società che ruota intorno. Il bravo musicista è in grado di prendere un concetto importante che ha maturato o che ha imparato durante il suo percorso e trasportarlo fino all’ascoltatore in modo che a sua volta possa interiorizzarlo e farne un buon uso. Il mezzo con cui si comunica è importantissimo: se un pezzo ha un bpm alto e la voce è molto aggressiva probabilmente è perché voglio condividere la mia rabbia verso qualcuno o qualcosa, diversamente un cantato con molta aria, bpm basso e pochi suoni crea un’atmosfera intima, probabilmente per comunicare qualcosa di delicato, come se sussurrassi nell’orecchio un segreto a un amico. Come ho detto, noi la mano l’alziamo perché qualcosa da dire l’abbiamo, se non condividi quello che stiamo dicendo non è un problema, ti abbiamo comunque dato uno spunto di riflessione.

“Con la mano alzata, parte 2” chiude un ciclo lungo due anni. Se doveste riassumere cosa avete imparato da questo percorso, direste che crescere significa cambiare o imparare a restare se stessi anche quando il mondo intorno muta troppo in fretta?

Crescere vuole dire cambiare, similmente anche imparare vuole dire cambiare, perché aggiungi una consapevolezza in più rispetto a prima. Questo ciclo ha insegnato tantissimo sia durante il tempo trascorso in studio sia durante il tempo passato sul palco. Imparare non significa però necessariamente snaturarsi. Per quanto mi riguarda significa migliorarsi.

Credo non esistano più i Manleva di due anni fa, oggi esistono i Manleva che hanno raggiunto un’altra consapevolezza affinando i propri obiettivi e fatto tesoro del vissuto. Come sono questi nuovi Manleva non spetta a me giudicarlo, ma certamente sono qualcosa di diverso, di più maturo. Mi è capitato di ascoltare artisti e di preferirli prima o dopo un certo periodo o in un album piuttosto che in un altro, questo è normale, sono fasi della vita di un artista che rispecchiano il momento che stanno attraversando. Estremizzando il concetto ogni canzone diventa intellettualmente “vecchia” per l’artista non appena ha terminato di scriverla. Ogni canzone fotografa un momento esatto della sua vita, non quello che viene prima o dopo, quindi appena appoggiati la penna e il plettro si tratta di qualcosa di appartenente al passato. Quello che posso dire è che quello che da qualche tempo vedo e sento dei nuovi Manleva mi garba. Mi garba parecchio!

Fonte immagine: ufficio stampa

Altri articoli da non perdere
Joint album del rap italiano: 3 che hanno fatto la storia
Joint album del rap italiano

I joint album nel rap italiano sono molto apprezzati dai fan, che amano l'idea di un disco nato dalla collaborazione Scopri di più

Canzoni di Charly García: 4 da ascoltare
Canzoni di Charly García: 4 da ascoltare

Charly García, nome d’arte di Carlos Alberto García Moreno, è un cantante, musicista e compositore argentino passato alla storia come Scopri di più

Canzoni di Taeyeon: 3 da ascoltare
Canzoni di Taeyeon: 3 da ascoltare

Taeyeon è una cantante solista coreana, famosa soprattutto per essere la leader delle Girls’ Generation o Sonyŏ Sidae (abbreviato in Scopri di più

Azul presenta live l’EP d’esordio allo Slash+
Azul

Viaggiare in continenti e mondi nuovi pur restando fermi. È questa la sensazione che pervade il corpo e la mente Scopri di più

Canzoni di The Kid Laroi: 4 da ascoltare
Canzoni di The Kid Laroi: 4 da ascoltare

Charlton Kenneth Jeffrey Howard, conosciuto con il nome di The Kid Laroi, è un rapper e cantautore australiano. La sua Scopri di più

Salmo Unplugged: la nuova veste del rapper
Salmo Unplugged: la nuova veste del rapper

L’Unplugged che Salmo ha pubblicato su Amazon Music ad ottobre 2022 ha dato dimostrazione delle capacità musicali illimitate dell’artista. Allontanandosi Scopri di più

Condividi l'articolo!

A proposito di Aurora Tramontano

Vedi tutti gli articoli di Aurora Tramontano

Commenta