Moria delle api: i rischi per l’ecosistema

Moria delle api: i rischi per l'ecosistema

La bontà del miele e il lavoro di impollinazione necessario per la salvaguardia della biodiversità sono un grande regalo che le api ci offrono con il loro instancabile lavoro, anche se ostacolate da cambiamenti climatici, pesticidi nocivi e insetti killer. Recentemente i mezzi di informazione stanno comunicando insistentemente i dati per cui la moria delle api, iniziata nell’ultimo decennio e continuata senza interruzione, sta raggiungendo risultati impressionanti.

Le api stanno morendo e il fenomeno ha raggiunto una dimensione planetaria, tanto da smuovere la coscienza di molte nazioni che stanno cercando di far fronte al problema con campagne pubblicitarie o progetti e iniziative didattiche e di diffusione delle popolazioni apiarie.

Conseguenze della moria delle api sull’ecositema globale

Il problema di maggiore interesse è dovuto al fatto che i servizi di impollinazione annui mondiali forniti dalle api hanno un costo di circa 153 miliardi di euro. Considerando il fatto che i dati prendono in considerazione solo le colture prodotte per il consumo umano, tralasciando quelle per gli animali da pascolo, le piante ornamentali e quelle selvatiche, i dati raccolti sono quanto basta per capire che i ricavi economici vedono e vedranno un grandissimo calo.

Il problema più grave resta tuttavia quello della salvaguardia della biodiversità. Le piante impollinate dagli insetti sono circa 220.000; la diminuzione del numero delle colonie d’api sta provocando conseguenze catastrofiche non soltanto per l’agricoltura, ma anche per la flora che è drasticamente diminuita.

La ricchezza degli insetti impollinatori contribuisce inoltre a definire lo stato di salute dell’ambiente; più l’ambiente è salutare più la qualità di vita dell’uomo è alta.

Ma se i dati raccolti sembrano impressionanti è bene sapere che lo sono molto di più quelli che prevedono l’andamento della situazione nei prossimi anni. Un quarto delle api europee rischia l’estinzione. Negli Stati Uniti e in Europa è in corso una vera e propria strage silenziosa che gli esperti hanno chiamato sindrome di spopolamento degli alveari.

Il fenomeno non interessa solo le api ma tutta la popolazione di insetti. Uno tra gli eventi stagionali più grandi del mondo, la migrazione delle farfalle monarca – un altro importante impollinatore – ha toccato i minimi storici in numero di esemplari: nel 2018, l’86% in meno rispetto al 2017.

Immaginando di rimuovere dai supermercati prodotti la cui esistenza dipende non solo dalle api, ma da una gamma più ampia di impollinatori, sparirebbe il 70% dei prodotti alimentari di cui direttamente ci nutriamo. Melone, caffè, cioccolato, mele, limoni e molto altro sarebbero impossibili da reperire.

Ma quali sarebbero le conseguenze dell’estinzione delle api?

La proporzione globale del fenomeno ha spinto gli studiosi e le istituzioni a raccogliere i dati in modo da elaborare cause e strategie da mettere in campo. Il primo passo per la prevenzione delle api è stato la ricerca delle cause della loro moria.

La strage di api nell’ultimo decennio è stata in primo luogo attribuita all’utilizzo degli insetticidi neonicotinoidi. Interi sciami e alveari, in diversi parti del mondo, improvvisamente spariscono con le api che muoiono in preda agli spasmi causati da una crisi del sistema nervoso.
La nocività dell’insetticida colpevole è stata confermata dall’EFSA (l’autorità europea per la sicurezza alimentare). Tre pesticidi della classe dei neonicotinoidi – clothianidin, imidacloprid e thiamethoxam – oggi sono messi al bando in Europa.

Dal 2012 si è fatta strada la teoria che la moria delle api non fosse necessariamente legata all’utilizzo dei pesticidi ma che chiamasse in causa un parassita, il Varroa Destructor, che causa negli insetti gli stessi sintomi dell’intossicazione da neonicotinoidi. Si è dunque scoperto che il parassita è in grado di infettare la stragrande maggioranza di un alveare con un virus letale. Negli alveari con forti infestazioni di Varroa sono presenti molte api affette dalla sindrome delle ali deformate.

Nel settembre 2014 la presenza di un altro parassita killer è stata confermata dalla Polizia veterinaria del Ministero della Salute Italiano. L’Aethina tumida vive a carico delle api all’interno dell’alveare e si nutre dei favi, della cera e di tutto ciò che trova nella “casa” delle api, trovandovi le condizioni ideali in fatto di cibo, temperatura e umidità per riprodursi. Il miele contaminato diviene inutilizzabile mentre l’arnia, distrutta, è colonizzata dalle larve. Il parassita porta le famiglie delle api al collasso, distruggendo il 25-30% del patrimonio apistico. L’unico strumento per eradicarlo è il fuoco, un sacrificio enorme per gli apicoltori.

Anche il cambiamento climatico sta condizionando la sopravvivenza delle api da miele e di tutti quegli impollinatori da cui la vita degli uomini dipende.
Il 2019 verrà probabilmente ricordato come uno degli anni peggiori per l’apicoltura. Quest’anno la primavera anticipata ha comportato fioriture anticipate e invece freddo, pioggia e grandine hanno causato l’inattività delle api, la diluizione del nettare sui fiori, la perdita del polline e l’abbattimento dei fiori.

Non sarebbe forse il caso di fare qualcosa?

fonte immagine: https://www.efanews.eu/it/item/3366-miele-cresce-5-consumo.html

A proposito di Federica Grimaldi

Ventenne appassionata di arte e letteratura. Entra a far parte del team di Eroica per dedicarsi alla stimolante attività della scrittura.

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