L’endometriosi è una patologia cronica che colpisce milioni di donne; spesso definita malattia invisibile è segnata da diagnosi tardive e dolore minimizzato. Con il recente inserimento nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) – prestazioni sanitarie garantite dal Servizio Sanitario Nazionale – sono arrivate nuove tutele ed esenzioni, ma persistono ritardi e disuguaglianze nell’accesso alle cure.
Cos’è l’endometriosi ?
L’endometriosi, come riporta il Ministero della Salute, è una malattia ginecologica cronica caratterizzata dalla presenza di tessuto simile all’endometrio, il rivestimento interno dell’utero, in sedi extrauterine, come ovaie, tube, peritoneo e talvolta organi digestivi e urinari. Questo tessuto risponde agli stimoli ormonali del ciclo mestruale, causando infiammazione, dolore cronico e formazione di aderenze tra gli organi. I sintomi principali includono:
- Dismenorrea (dolore mestruale intenso)
- Dolore pelvico, catalogato come: acuto quando ha una durata non superiore a 2 o 3 mesi; cronico se persiste per 6 o più mesi.
- Dolore rettale
- Dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali)
- Sintomi gastrointestinali o urinari ciclici
- Infertilità o difficoltà a concepire
Tra gli altri campanelli d’allarme vi sono anche:
- Gonfiore pelvico-addominale
- Diarrea/costipazione
- Aumento della frequenza urinaria
- Senso di affaticamento costante/Stanchezza cronica
La gravità e l’estensione della malattia endometriosica viene classificata in 4 stadi/livelli dall’American Society for Reproductive Medicine (ASRM), organizzazione che si dedica alla pratica della medicina riproduttiva e al suo progresso. La classificazione si basa sul livello di gravità del danno e sulla presa in analisi della sua estensione, in quanto, ciò condiziona il tipo di trattamento da poter effettuare. Gli stadi sono rispettivamente:
- Primo stadio/Endometriosi minima: estensione è minima e si caratterizza per la presenza di pochi millimetri di tessuto endometriale al di fuori dell’utero localizzato in posizioni superficiali.
- Secondo stadio/Endometriosi lieve: l’estensione è maggiore, c’è la presenza di un maggior numero di lesioni che risultano più profonde.
- Terzo stadio/Endometriosi moderata: l’estensione è notevolmente maggiore; vi è la presenza di cisti ovariche – dette endometriomi – modo o bilaterali; presente anche tessuto aderenziale e/o cicatriziale tra gli organi pelvici.
- Quarto stadio/Endometriosi grave: estensione elevata; potenzialmente presenza di lesioni anche in organi digestivi. Cisti voluminose su entrambe le ovaie. Cisti cicatriziali e aderenziali importanti.
Dobbiamo sottolineare che spesso la gravità dei sintomi non corrisponde all’estensione della lesione. Per questo, la diagnosi può richiedere diversi step:
- esame addominale
- tocco vaginale
- tocco rettale
- esame con speculum
- ecografia pelvica endovaginale
- risonanza magnetica con mezzo di contrasto
- laparoscopia diagnostica
Non esiste, ad oggi, una cura definitiva per l’endometriosi. A sottolinearlo è il professor Candiani, che evidenzia come la terapia – sempre personalizzata sulla singola paziente – abbia l’obiettivo di bloccare la progressione della malattia e ridurre la sintomatologia, ma non è detto possa eliminarla del tutto; la patologia resta cronica e potrebbe sempre ripresentarsi. L’approccio terapeutico può essere farmacologico o chirurgico, e la scelta va concordata con uno specialista in un centro di riferimento, valutando fattori come età, intensità del dolore, presenza di cisti ed eventuale desiderio di gravidanza. Il trattamento farmacologico rappresenta l’opzione preferenziale e prevede l’assunzione continuativa di farmaci ormonali che inducono amenorrea – l’assenza del ciclo mestruale – sopprimendo l’attività ovulatoria e attenuando così i sintomi.
L’intervento chirurgico, invece, viene preso in considerazione quando la paziente non risponde alla terapia farmacologica o quando desidera intraprendere una gravidanza, poiché i farmaci non sono compatibili con il concepimento. L’operazione consiste nell’asportazione del tessuto endometriale e delle eventuali cisti, ed è eseguita prevalentemente in laparoscopia, tramite piccoli fori sull’addome attraverso cui vengono introdotti gli strumenti chirurgici e una videocamera, in anestesia generale. È fondamentale che il trattamento venga effettuato in centri ad alto volume da chirurghi esperti nella gestione della malattia. Tra le nuove tecniche meno invasive si distingue il laser CO2, che permette di vaporizzare il tessuto endometriale e le cisti preservando il più possibile il tessuto sano circostante. Ha un’efficacia sovrapponibile alle tecniche tradizionali e consente una ripresa molto rapida, con dimissione solitamente entro 24 ore.

Un quadro epidemiologico sottovalutato e un ritardo diagnostico che attraversa generazioni
Nonostante i progressi scientifici nella diagnosi di questa patologia, l’endometriosi resta una malattia largamente sottostimata. Il Ministero della Salute quantifica circa tre milioni di donne colpite in Italia con diagnosi conclamata; l’Istituto Superiore di Sanità indica 190 milioni di pazienti con endometriosi in età fertile con una prevalenza che in Italia varia tra il 10% e il 15%. Uno studio epidemiologico pubblicato sul Journal of Clinical Medicine ha calcolato un’incidenza media di 0,839 casi ogni 1.000 donne e una prevalenza di 14 casi ogni 1.000 nel periodo 2011-2020. Numeri importanti, ma probabilmente sottostimati: molte donne non arrivano mai a diagnosi formale oppure la raggiungono in tempistiche estese. Il Parlamento Europeo, infatti, indica tempi medi di diagnosi che raggiungono i 10 anni. In Italia il Senato segnala un ritardo diagnostico medio tra i 7 e i 10 anni. Uno studio clinico pubblicato su PubMed emerge con il dato più allarmante: 11,4 anni di attesa media.
Le cause sono molteplici: diagnosi complessa, formazione insufficiente dei professionisti, stereotipi culturali radicati e forti disuguaglianze territoriali nell’accesso ai centri specializzati.

Cosa cambia con i nuovi LEA e perché la riforma rischia di non bastare
Dal 30 dicembre 2024 l’endometriosi è stata inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza come patologia cronica e invalidante. La norma garantisce esenzioni e tutela per le pazienti con forme di grado moderato o severo. Un passo storico, ma non privo di limiti.
L’associazione AEDO, tra le più attive in Italia, critica l’esclusione delle forme iniziali tra le esenzioni, proprio quelle per le quali una diagnosi precoce potrebbe evitare aggravamenti e interventi invasivi. Il rischio è che la malattia continui ad essere diagnosticata e trattata in stadio già avanzato, invece che prevenire le complicanze. Le differenze regionali nelle liste d’attesa e nella distribuzione dei centri specializzati restano un ulteriore ostacolo. In molte aree del Paese ottenere una visita in un centro di riferimento può richiedere mesi, se non anni. La non formazione professionale aggrava il quadro; spesso molte donne si ritrovano ad affrontare diverse visite ginecologiche senza mai sentire neanche sentire un accenno all’opzione plausibile l’endometriosi; tutto viene ridotto troppo spesso all’incapacità di gestione del dolore da ciclo mestruale. Nel mentre però, la malattia, in quanto cronica, avanza. Va ricordato che il dolore nelle fasi del menarca non è mai “normale” come spesso, erroneamente, si vuole far credere.
Sul piano europeo la ricerca prova a colmare il divario. Nel 2025 la Commissione Europea ha lanciato il progetto EUmetriosis, che punta a migliorare la diagnosi precoce attraverso strumenti all’avanguardia.
Il riconoscimento della malattia nei LEA, dunque, è un passo importante, ma da solo non cambierà la realtà quotidiana delle pazienti. L’obiettivo principale resta ridurre radicalmente il ritardo diagnostico, condizione che determina complicanze, sofferenza e costi economici individuali. Il percorso necessario nei prossimi anni per rendere visibile e realmente riconosciuta l’endometriosi è evidente:
- Potenziamento della formazione dei professionisti: medici di base, ginecologi, pediatri, psicologi;
- Uniformità regionale nell’accesso ai centri specializzati;
- Percorsi diagnostici aggiornati e di esenzione che tengano conto delle forme meno evidenti;
- Supporto psicologico e approccio multidisciplinare, oggi ancora raro;
- Campagne scolastiche per riconoscere il dolore fisici non fisiologico nelle adolescenti;
- Investimenti strutturali nella ricerca seguendo l’esempio dei programmi europei.
L’inclusione nei LEA segna finalmente il riconoscimento istituzionale del peso dell’endometriosi. Resta il fatto che la vera svolta arriverà solo quando nessuna donna sarà costretta ad attendere anni per dare un nome al proprio dolore e a poter accedere a cure adeguate nei giusti tempi.
Fonte immagine articolo: “Endometriosi. Una patologia ancora invisibile ” – Freepik

