La storia della Repubblica Ceca è stata segnata da lotta e sofferenza, da una sudditanza forzata da regioni economicamente più potenti. Questo si riflette nell’arte; in particolare, il cinema ceco riesce a far confluire su uno stesso piano due correnti opposte: la drammaticità storica degli eventi contrapposta alla purezza di cuore del popolo ceco. Questo popolo ha infatti conosciuto il significato della dominazione e dell’oppressione, ma è sempre riuscito a rialzarsi a testa alta, tramandando il ricordo del dolore alle generazioni a venire.
Vyšší princip: la cultura contro la guerra
In Vyšší princip – Il Principio Superiore (Jiri Krejcik, 1959), questo contrasto viene esaltato dal contesto storico del film, ovvero il clima di tensione in seguito all’assassinio del nazista Reinhard Heydrich, e dai protagonisti che animano la storia: i ragazzi del liceo classico di Kostelec, alle prese con l’esame di maturità imminente. A coordinare la classe è il professor Malek, docente di latino e greco.
L’avanzare spietato della guerra, però, non risparmia nessuno, nemmeno i giovani che hanno un futuro ad attenderli: tre studenti pagheranno, infatti, il prezzo più caro per un gesto innocuo e goliardico. Nonostante le suppliche e i tentativi di Malek per scagionare gli alunni, l’ardore della guerra e la freddezza di chi la persegue prevalgono, conducendo quegli innocenti alla fucilazione.
Il film assume toni strazianti e commoventi nel finale: tra la corsa disperata di una madre che ha appena perso tutto, consapevole di andare incontro alla propria morte – una corsa fatale simbolo dell’amore, proprio come Anna Magnani in Roma Città Aperta (Roberto Rossellini, 1945) – e la solidarietà che gli studenti mostrano come protesta contro il massacro nazista, resa poi celebre in Dead Poets Society (Peter Weir, 1989).
Con questa rappresentazione, il cinema ceco di Krejcik denuncia le atrocità dei totalitarismi attraverso figure negative, rappresentate sia dai soldati tedeschi sia dai collaborazionisti, ma allo stesso tempo mostra come il riporre speranza nel senso di giustizia insito in ogni essere umano si riveli fallace davanti alla follia della guerra. Il professore diventa l’esempio dell’uomo colto che non riesce a prendere una posizione forte che gli permetta di agire contro i soprusi: Malek è completamente assorbito dalle sue meditazioni filosofiche, intrappolato in una realtà astratta che si scontra violentemente con il mondo circostante.
La cultura perde contro la mentalità della guerra?
Le riflessioni di saggi come Seneca e Tacito rimangono cristallizzate nel tempo? Vyšší princip insegna che, sebbene la cultura sia inefficace come strumento di lotta alla ragion di stato, si rivela un potente mezzo di apertura mentale, una risposta a tutte quelle menti vuote e plasmate dal sistema. La consapevolezza che l’uomo si sia sempre schierato contro la tirannide in nome di un principio morale superiore infonde la speranza che un giorno il popolo possa essere in grado di uscire dall’indifferenza e dalla paura, lottando con ferocia per la libertà.
Il “principio superiore” è una massima che ognuno dovrebbe applicare nel corso delle proprie scelte, e allora sorge spontaneo domandarsi come sia stato possibile che una nazione intera, non solo i militari ma anche i civili, sia venuta meno a tale assioma. La risposta risiede nel concetto di massa, affrontato dal filosofo Friedrich Nietzsche; egli ritiene che l’uomo, per indole, si rifugi nel conformismo, adeguandosi alla maggioranza e indossando una maschera. Che sia per paura o per pigrizia, preferisce rinunciare alla propria soggettività in favore di una coscienza collettiva, priva di identità, riponendo il proprio io nelle mani di un’unica figura: il dittatore.
D’altronde, come sosteneva Hobbes, se l’uomo nello stato di natura è Homo Homini Lupus, per evitare l’estinzione serve una guida che prenda decisioni per la massa, e così facendo si perde la propria individualità, ciò che ci rende umani.
Musíme si pomáhat: la solidarietà oltre il conflitto
In Musíme si pomáhat (Jan Hřebejk, 2000) nessun personaggio è unicamente positivo o negativo: a nessuno viene assegnato un colore specifico, ma si compongono tutti di diverse sfumature. In particolare, la figura di Horst rappresenta questa complessità: se da un lato egli è un collaborazionista filonazista, fedele al Reich, messo di fronte a una scelta – denunciare il povero David o tradire il partito – Horst sceglierà di far prevalere il suo lato umano. E alla fine sarà ripagato di tale gesto quando, giunta l’Armata Rossa, Josef lo farà passare come dottore, salvandolo dal carcere o, molto più probabilmente, da un’esecuzione.
Il messaggio del film è proprio questo: solidarietà reciproca e riconciliazione al fine di costruire un nuovo mondo dalle ceneri del vecchio, devastato e dilaniato dal disprezzo nei confronti del prossimo. Ecco che quindi il cinema ceco permette di trasporre sì le atrocità subite dal popolo durante la Seconda Guerra Mondiale, ma allo stesso tempo conferisce, in questo caso, una forma di riscatto e riabilitazione con la prospettiva di un futuro più luminoso.
La libertà come diritto universale
In conclusione, per nessuna ragione si devono rinnegare o dimenticare gli errori del passato. Il genocidio di sei milioni di ebrei è stato realizzato anche grazie a quei soldati che stavano “semplicemente obbedendo a degli ordini”. Adolf Eichmann così si appellò al processo di Gerusalemme nel 1961, usando tale affermazione come difesa dai capi di accusa di crimini contro l’umanità. Quello che forse il gerarca ignorava è che non siamo pedine mosse dalla Divina Provvidenza di Manzoni. Perfino Dante parla di un libero arbitrio che si concilia con la strada prescelta da Dio, per dare all’uomo l’illusione di essere padrone delle proprie scelte. Un principio che il popolo boemo è stato in grado di cogliere e rendere solo attraverso l’arte nelle sue forme più sublimi, prima fra tutte il cinema.
La libertà è il diritto universale più importante che si possa garantire; essa ha dei vincoli da rispettare nella relazione con l’altro e nella legge non scritta dell’eticità. Ma la negazione di tale forza corrisponde alla privazione dell’esistenza stessa. Come Charlie Chaplin in The Great Dictator (1940) afferma nel discorso finale: «I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavo il popolo».
Fonte immagine: Screenshot di Giorgia Manzo dal film Vyšší princip © Filmové studio Barrandov