La città è il primo centro di aggregazione umano, fulcro del commercio e dell’incontro culturale: dalla Mesopotamia alla polis, dalla città medioevale fino alla metropoli luccicante. Questo complesso di edifici, persone e relazioni è l’unità minima della vita sociale dell’uomo. Nazione su piccola scala, anche la città ha i suoi confini e i suoi “statuti” e ogni centro è una conurbazione di credenze collettive e identità individuali, polarizzazioni di spazio e combinazioni culturali e antropologiche.
Per l’Urban poetry, il glossario antropo-urbano
Centro: ogni città ha un centro, ma può capitare che talvolta questo non ci sia o addirittura che ce ne siano di diversi nella stessa città. E da qui parte tutto. Spesso sono antichi, “da bene” o degradati; possono essere abitati dalla working class, da emigrati o da coloro che, finti perbenisti, spingono fuori “gli scarti” verso le periferie. Il centro è anche il punto fermo del nostro essere, il luogo dove riponiamo tutte le nostre sicurezze o la percezione fissa che abbiamo di noi stessi. Anche il centro però a volte si modifica, si sbilancia: un esercizio del corpo e della mente.
Periferia: le periferie sono i cardini mobili che espandono i confini delle città. Spesso sono non-luoghi abbandonati a se stessi, tristi poesie urbane che somigliano a banlieu o bidonville. Luoghi in cui si rinchiude tutto quello che una città per bene non vorrebbe mai vedere: criminalità, povertà, emarginazione. Anche in ognuno di noi potrebbero esserci delle periferie, dei posti inesplorati, a volte pericolosi o semplicemente pieni di disagio e sofferenza. Lasciarli fuori vuol dire non accettare una parte di noi, seppur meno attraente e destabilizzante.
Localizzazione: in una città i servizi, gli svaghi, i luoghi di interesse economico e finanziario o i vari centri culturali non si trovano mai in una posizione casuale, ma sono studiati in base ad esigenze diverse. Allo stesso modo ogni individuo cerca di trovare una collocazione precisa a tutto: pensieri, ricordi, sentimenti, paure. E più distribuiamo in base alla logica, più saremo ordinati e razionali. In questo modo però ci si negherà la sorpresa di lasciarsi andare a un’emozione inaspettata, come quella di trovare una piccola sala da tè dentro a un grande parcheggio tutto fatto di cemento o un albero dietro a un grattacielo.
Urbanizzazione: l’urbanizzazione è l’estensione della città, della sua struttura fisica e funzionale. Quando cresce troppo velocemente, si creano degli squilibri che nella maggior parte dei casi portano ad una degenerazione; questa si riflette nelle reti architettoniche e sociali della città. Quando la cementificazione selvaggia prevale sugli spazi verdi di respiro, allora forse sarebbe il caso di liberarsi di tutte quelle strutture che creano palazzi grigi e vuoti.
Industrializzazione: ogni città, attraversata dall’ondata di progresso di quella che oggi chiamiamo modernità, richiede un’industrializzazione, una spinta verso i processi di produzione che realizzano e vendono il benessere. Inevitabilmente però producono anche rifiuti materiali e umani. Forse è bene che in noi vi sia una componente che ci spinga a produrre e innovare, purché non si diventi schiavi della smania di accumulare: sviluppo purché si impari ad accontentarsi di poco, del meglio.
Reti: la vita interna della città è caratterizzata da reti (economiche, idriche, stradali, commerciali, sociali). La connessione è essenziale perché gli scambi e i collegamenti contribuiscono alla crescita. Ma la rete è anche alla base della vita di ogni essere umano: si sente il bisogno di relazionarsi agli altri e di confrontarsi. Per di più ci permettono di vedere le cose non come assolute, ma contestabili e mai rinchiuse dentro ad un insieme immutabile.
Il glossario antropo-urbano dell’Urban poetry, così minimale, rappresenta la capacità delle cose di parlare di sé, per imparare a dare una definizione all’uomo e alle cose costruite dall’uomo. E se questa non è un poco poesia, rimane per lo meno un’urbanistica pretenziosamente sentimentale.
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