L’intertestualità è il concetto secondo cui nessun testo è un’isola, ma un dialogo continuo con altri testi che lo hanno preceduto. Ogni opera è un mosaico di citazioni, allusioni e riferimenti che ne arricchiscono il significato. Le origini di questa teoria, come per gran parte della critica moderna, affondano le radici nella linguistica del ventesimo secolo, a partire dal lavoro di Ferdinand de Saussure, padre dello strutturalismo.
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Origini del concetto: da Saussure a Kristeva
Il termine “intertestualità”, dal latino intertexto (“mescolare mentre si tesse”), fu coniato alla fine degli anni ’60 dalla filosofa Julia Kristeva. La sua teoria si basa sul lavoro del critico russo Michail Bachtin e sul suo concetto di “dialogismo”, ma si inserisce nel dibattito tra due grandi correnti di pensiero: strutturalismo e post-strutturalismo. Gli strutturalisti, seguendo Saussure, analizzavano i testi cercando strutture e significati stabili. I post-strutturalisti, invece, sostenevano che il linguaggio fosse intrinsecamente instabile e che ogni testo avesse significati multipli, aperti e indeterminati.
Strutturalismo vs. Post-strutturalismo: l’approccio al testo
Strutturalismo vs. Post-strutturalismo: l’approccio al testo | Post-strutturalismo |
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Approccio: scientifico e oggettivo. Cerca di identificare la struttura sottostante di un testo. | Approccio: soggettivo e decostruttivo. Sottolinea l’instabilità e la pluralità del significato. |
Significato: è contenuto all’interno del testo, stabile e rintracciabile. | Significato: è generato dal lettore e dal dialogo con altri testi; è sempre multiplo e in divenire. |
Autore: è l’origine del significato del testo. | Autore: è solo uno dei tanti “tessuti” che compongono l’opera, non il detentore del significato finale. |
Roland Barthes e la “Morte dell’Autore”
Il critico francese Roland Barthes portò il concetto di intertestualità alle sue estreme conseguenze con il suo celebre saggio “La morte dell’Autore” (1967). Barthes sosteneva che l’autore non è il proprietario del significato di un’opera. Una volta scritto, un testo diventa uno spazio aperto, un “tessuto di citazioni” provenienti da innumerevoli centri della cultura. È il lettore, con il suo bagaglio di esperienze e letture, a dare vita al testo, creando connessioni e producendo significato. In questo senso, “la nascita del lettore deve essere pagata con la morte dell’Autore”. L’intertestualità è quindi, per Barthes, “un campo generico di formule anonime le quali origini possono difficilmente essere localizzate; di quotazioni inconsce o automatiche date senza virgolette”.
Esempi pratici di intertestualità
L’intertestualità non è un concetto astratto, ma una pratica che incontriamo ogni giorno in letteratura, cinema e musica.
- Letteratura: l’Ulisse di James Joyce è un dialogo continuo con l’Odissea di Omero, rielaborandone la struttura e i personaggi in un contesto moderno.
- Cinema: i film di Quentin Tarantino sono un celebre esempio di intertestualità, ricchi di citazioni e omaggi a generi cinematografici diversi, dal western allo spaghetti-western, dal noir al cinema di arti marziali.
- Animazione: la saga di Shrek costruisce la sua comicità sulla parodia e la decostruzione delle fiabe classiche, creando un dialogo intertestuale che lo spettatore riconosce e apprezza.
In conclusione, il termine intertestualità ci insegna che un testo esiste pienamente solo nel momento della sua lettura. La capacità di cogliere le connessioni dipende dalla sensibilità e dalla conoscenza pregressa del lettore, che diventa così co-creatore del significato.
Fonte immagine in evidenza: Pixabay
Articolo aggiornato il: 28/09/2025
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