Perla del simbolismo russo, la poetessa Marina Cvetaeva ha intriso i suoi versi di dolore, rivoluzione, coraggio e, soprattutto, amore. La sua poesia è una testimonianza potente dei giorni bui della storia russa e un’esplorazione profonda dell’animo umano. Nata in una famiglia colta, pubblicò la sua prima raccolta, Album serale, a soli diciassette anni. La sua vita fu sconvolta dalla Rivoluzione russa, dall’esilio e da immense tragedie personali, che la resero una delle voci più intense e realistiche della letteratura mondiale.
In questo approfondimento:
Le 5 poesie in sintesi: un percorso tematico
Poesia | Tema principale |
---|---|
Alla povera mia fragilità | L’identità della poetessa: fragile ma libera come un uccello. |
A mamma | L’eredità materna: la tristezza e la sensibilità come destino. |
Il grido delle stazioni | La modernità e la separazione: il dolore degli addii nell’era industriale. |
Non penso, non mi lamento, non discuto | L’apatia e la dissociazione: il ritratto di un’anima sospesa e alienata. |
Versi a Blok | La parola poetica: il nome del poeta come entità fisica e sonora. |
5 poesie per raccontare una vita: testo e analisi
1. Alla povera mia fragilità
Alla povera mia fragilità
tu guardi senza dire una parola.
Tu sei di marmo, ma io canto,
tu – statua, ma io – volo.
So bene che una dolce primavera
agli occhi dell’Eterno – è un niente.
Ma sono un uccello, non te la prendere
se è leggera la legge che mi governa.
Analisi: in questa breve lirica, Cvetaeva definisce la sua identità di poetessa. Si contrappone a una figura maschile, rigida e silenziosa (“di marmo”, “statua”), rivendicando per sé la leggerezza, il canto e il volo. La sua fragilità non è una debolezza, ma la condizione necessaria per essere un “uccello”, governato da una legge diversa, quella dell’arte, che vive dell’effimero e del momentaneo.
2. A mamma
Nel vecchio valzer di Strauss
noi abbiamo udito il tuo sommesso appello,
da quel momento ci sono estranei tutti i vivi
e consolante il fugace combattimento delle ore.
Noi, come te, salutiamo i tramonti
ebbri della vicinanza della fine.
Tutto quello di cui siamo ricchi nella sera migliore
tu ce lo hai messo nel cuore.
Inchinandoti ai sogni infantili senza stancarti
(senza di te soltanto la luna li guardava!)
hai guidato i tuoi piccoli oltre
i pensieri e le azioni di una vita amara.
Dai primi anni ci era vicino chi soffriva,
noioso il riso ed estraneo il tetto familiare …
La nostra nave non salpò in un buon momento
e naviga secondo il capriccio di tutti i venti!
Sempre più pallida l’isola celeste – l’infanzia,
noi siamo soli sul ponte.
Si vede che tu, mamma, alle tue figlie
hai lasciato in eredità la tristezza.
Analisi: questa poesia è una struggente riflessione sull’eredità lasciata dalla madre, una pianista talentuosa. Cvetaeva riconosce che la madre le ha trasmesso la sensibilità artistica (“Tutto quello di cui siamo ricchi”), ma anche una profonda malinconia e un senso di estraneità al mondo (“estranei tutti i vivi”). La vita è vista come una nave in balia dei venti, e l’eredità materna diventa un destino di tristezza.
3. Il grido delle stazioni
Grido delle stazioni: resta!
delle sale d’aspetto: oh, compassione!
grido delle stazioni secondarie:
non è l’esclamazione
di Dante:
“lasciate ogni speranza”?
E grido delle locomotive.
Con il ferro squassa
e col rombo di un’onda oceanica.
Agli sportelli delle casse
credevi che commerciassero in spazi?
In mari e terreferme?
Nella più viva delle carni:
carne siamo – non anime!
Labbra – non rose!
Via da noi? – No, su di noi
le ruote trasportano gli amati!
Alla tale e alla tal’altra velocità all’ora.
Sportelli delle casse.
Ossicini d’una passione da giocatori.
Ha ragione quel qualcuno di noi
che disse: l’amore è uno scorticatoio!
“- La vita è rotaie! Non piangere!”
Massicciate – massicciate – massicciate…
(Negli occhi di questi ronzini
i proprietari guardano malvolentieri).
“Senza fosso e senza cucitura
non c’è felicità. – Con questo l’ho comprato,”
quella sarta aveva ragione.
Al che, dopo un silenzio: “Ci sono le traversine.”
Analisi: un testo che incarna la poetica moderna e frammentata di Cvetaeva. La stazione ferroviaria diventa il simbolo della separazione e del dolore. Il linguaggio è spezzato, quasi urlato, e mescola immagini industriali (“rotaie”, “massicciate”) a riflessioni esistenziali sull’amore come “scorticatoio”. La partenza non è un viaggio verso nuovi spazi, ma uno strappo violento nella “più viva delle carni”.
4. Non penso, non mi lamento, non discuto
Non penso, non mi lamento, non discuto.
Non dormo.
Non aspiro
né al sole né alla luna né al mare
né alla nave.
Non mi accorgo di quanto fa caldo tra queste pareti,
di quanto verde c’è nel giardino.
Da tempo il dono desiderato ed atteso
non aspetto.
Non mi rallegra né il mattino né la corsa
sonora del tram.
Vivo, senza vedere il giorno, dimenticando
la data e il secolo.
Sulla fune, che sembra intagliata,
io – sono un piccolo danzatore.
Io – ombra dell’ombra di qualcuno. Io – sonnambulo
di due oscure lune.
Analisi: questa poesia è un ritratto dell’apatia e della dissociazione dal mondo. L’io lirico è in uno stato di sospensione, indifferente a tutto ciò che lo circonda (“non mi accorgo”, “non mi rallegra”). La vita è ridotta a un’esistenza meccanica, da “sonnambulo”. L’immagine finale del “piccolo danzatore” sulla fune esprime una precarietà estrema, un equilibrio fragile tra la vita e il nulla.
5. Versi a Blok
Il tuo nome è una rondine nella mano,
il tuo nome è un ghiacciolo sulla lingua.
Un solo unico movimento delle labbra.
Il tuo nome sono cinque lettere.
Una pallina afferrata al volo,
un sonaglio d’argento nella bocca.
Un sasso gettato in un quieto stagno
singhiozza come il tuo nome suona.
Nel leggero schiocco degli zoccoli notturni
il tuo nome rumoroso rimbomba.
E ce lo nomina lo scatto sonoro
del grilletto contro la tempia.
Il tuo nome – ah, non si può! –
il tuo nome è un bacio sugli occhi,
sul tenero freddo delle palpebre immobili.
Il tuo nome è un bacio dato alla neve.
Un sorso di fonte, gelato, turchino.
Con il tuo nome il sonno è profondo
Analisi: dedicata al poeta simbolista Aleksandr Blok, questa poesia è una riflessione sul potere della parola poetica. Il nome “Blok” diventa un’entità fisica e sensoriale: è leggero come “una rondine”, freddo come “un ghiacciolo”, sonoro come “un sasso gettato in uno stagno”. Cvetaeva trasforma il nome del poeta in una serie di immagini sinestetiche che ne evocano la poesia, la tragicità (“il grilletto contro la tempia”) e l’effetto pacificatore (“con il tuo nome il sonno è profondo”).
Fonte immagine: wikipedia.org
Articolo aggiornato il: 27/08/2025