Prima rivoluzione industriale, caratteristiche e invenzioni

La prima rivoluzione industriale

La prima rivoluzione industriale, come possiamo dedurre dall’espressione stessa, fa riferimento a un processo di sviluppo economico dovuto alla trasformazione delle società agricole, artigianali e commerciali in sistemi industriali. L’inizio di questa fase storica viene convenzionalmente fatto combaciare con l’invenzione della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700. È in Gran Bretagna che si assistette per la prima volta a questo processo di industrializzazione.

La prima rivoluzione industriale si ebbe inizialmente nel settore tessile, metallurgico ed estrattivo; questa si estese poi in altri Stati fino a coinvolgere anche l’Occidente e l’Asia nel XX secolo.

Ma perché prese inizio proprio in Gran Bretagna?
Innanzitutto perché fu il primo Paese a fare dell’agricoltura un’attività non dedita solamente all’autoconsumo ma al profitto; si trattava di un’agricoltura di mercato, per cui i prodotti ricavati venivano venduti e ciò, unito all’innovazione tecnologica di questo periodo, provocò un forte processo di urbanizzazione: la gente che viveva nelle campagne si trasferì in città per trovare occupazione nelle nuove industrie emergenti. Oltre al fattore agricolo, la Gran Bretagna, già nel periodo precedente alla rivoluzione industriale, si ritrovò di fronte all’aumento della domanda di beni, dovuto a sua volta ad una crescita demografica incredibile e al livello del reddito pro capite e dei salari molto più elevato rispetto a tutti gli altri Paesi europei. A testimoniare questo processo di industrializzazione fu la crescita del PIL pro capite più rapida rispetto all’incremento demografico così come anche l’aumento della produttività. Come abbiamo già detto, uno dei punti cardine della prima rivoluzione industriale fu l’innovazione tecnologica. Nel settore tessile furono introdotti: la giannetta nel 1765 che sostituiva il telaio a mano e accelerava la filatura; due anni dopo, grazie a Richard Arkwright, venne ideato il filatoio idraulico; infine, nel 1787 Edmund Cartwright inventò il telaio meccanico. Ciò permetteva di ottenere più prodotti in tempi ristretti ma allo stesso tempo queste macchine richiedevano ingenti risorse energetiche e dunque bisognava realizzare dei motori adeguati; fu così che James Watt modificò la macchina a vapore rendendola capace di produrre una forma di energia davvero potente ed efficiente, senza precedenti. La tecnologia influì molto anche sul sistema dei trasporti che vennero facilitati e permise di diminuire i tempi di percorrenza delle materie prime o dei prodotti finiti: vennero inventate le locomotive e costruite le ferrovie. Infine, furono impiantati l’illuminazione a gas, i telefoni e i telegrafi che permettevano di comunicare anche a distanza.

Se fino ad ora abbiamo preso in considerazione soltanto gli aspetti positivi della rivoluzione industriale bisogna, ora, fare riferimento anche a quelli che sono stati i danni da essa provocati. Con l’urbanizzazione si diffonde sempre di più la presenza di quartieri malsani, costituiti da “case popolari” che ospitavano più di una famiglia e nei quali le condizioni igienico-sanitarie erano davvero precarie. La manodopera comincia ad essere sempre più sfruttata, si diffonde il lavoro minorile e i salari sono sempre più bassi. Questa condizione di miseria fu talmente grave da diventare una delle principali tematiche della letteratura dell’epoca: ne parleranno Zola in “Germinal” e ancora Dickens e Verga.

Fonte dell’immagine in evidenza: Pixabay

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