Nel febbraio dell’anno 897 una delle pagine più bizzarre nella storia della Chiesa cattolica prese vita a Roma: il cosiddetto Sinodo del cadavere o Concilio cadaverico. È la storia di papa Formoso, all’epoca già deceduto, che viene riesumato, vestito con i paramenti pontifici, seduto su un trono, e sottoposto ad un processo postumo ordinato da Stefano VI, suo successore. Questo evento rappresenta il riflesso di una profonda crisi politica e morale che scuoteva la Roma di fine IX secolo, in cui il potere papale era conteso tra famiglie aristocratiche e fazioni rivali, e la Chiesa stessa cercava faticosamente di mantenere la propria autorità in un clima di instabilità politica e corruzione morale. Il Sinodo del cadavere divenne così il simbolo estremo della degenerazione del potere ecclesiastico, un rito di umiliazione pubblica che sfidava ogni logica e ogni principio cristiano.
Le motivazioni che portarono al Sinodo del cadavere

Il pontificato di Formoso durò dal 891 al 896, in un periodo di profonda instabilità politica per la Chiesa e per l’Impero. Fu, infatti, segnato da un clima di tensione costante tra le grandi famiglie aristocratiche romane e le diverse fazioni che sostenevano diversi candidati al trono del Sacro Romano Impero. In particolare, Formoso entrò in conflitto con Guido di Spoleto e con suo figlio Lamberto, che aspiravano entrambi al titolo imperiale, mentre aveva scelto di sostenere il loro rivale, Arnolfo di Carinzia, re di Germania, sperando di assicurare al papato una maggiore autonomia dalle ambizioni dei feudatari italiani.
Alla morte di Formoso, nel 896, salì al soglio pontificio Stefano VI, espressione della fazione spoletina. Spinto dal desiderio di compiacere i suoi potenti sostenitori ordinò che il corpo di Formoso, ormai in decomposizione, fosse riesumato e sottoposto a un vero e proprio processo.
Il macabro processo

Il Sinodo del cadavere si svolse nell’anno 897, all’interno della basilica di San Giovanni in Laterano; al centro della scena, in un’atmosfera surreale e inquietante, sedeva il corpo riesumato di papa Formoso, vestito con le insegne pontificie e collocato sul trono papale come se fosse ancora vivo. Un diacono fu incaricato di rispondere alle accuse mosse contro di lui: Formoso fu accusato di aver esercitato il vescovato di Porto mentre già era papa, di aver usurpato il papato e soprattutto di aver tradito la Chiesa appoggiando l’imperatore Arnolfo di Carinzia contro la fazione spoletina. Al termine del processo, Formoso fu dichiarato colpevole.
Di conseguenza il cadavere fu spogliato delle vesti papali, le tre dita della mano destra, quelle usate per impartire la benedizione, furono tagliate, e tutti i suoi atti e i suoi decreti furono annullati. Alla fine, il corpo di Formoso venne gettato nel Tevere, simbolicamente privato di ogni dignità e sepoltura cristiana.
Questo episodio scandalizzò completamente Roma; il processo fu un atto politico che servì a Stefano VI a rafforzare il potere della sua alleanza politica e a delegittimare chiunque avesse ricevuto cariche ecclesiastiche da Formoso. Poco dopo, però, Stefano VI fu imprigionato e ucciso, mentre il papa successivo, Teodoro II, fece recuperare il corpo di Formoso dal fiume e gli concesse una nuova sepoltura nella Basilica di San Pietro, annullando le decisioni del sinodo.
Fonte immagine in evidenza: Wikimedia Commons, Musée des Beaux-Arts, Nantes

