Se state cercando un viaggio fuori dalle rotte turistiche più battute, il Kirghizistan è la risposta che non vi aspettavate. Un paese montuoso, remoto, ma straordinariamente autentico, dove la natura domina incontrastata e le tradizioni nomadi sono ancora vive. Qui non troverete città ultramoderne o monumenti da cartolina, ma laghi alpini cristallini, steppe infinite, yurte sotto le stelle e un popolo ospitale che vi accoglierà con il kumys (latte di giumenta fermentato) e storie di altri tempi. In quest’articolo, vedremo i luoghi unici che è possibile vedere in Kirghizistan.
Perché andare in Kirghizistan?
Perché non è ancora diventato un parco a tema per turisti. Ti ci ritrovi dentro e senti che nulla è stato lucidato per piacerti. In Kirghizistan è possibile respirare una forte aura di mistero: niente scritte in inglese, poche mappe, poche spiegazioni. Solo aria sottile, strade dissestate, benzina venduta a taniche nei villaggi e persone che non hanno ancora imparato a sorridere a comando.
Geograficamente, il paese è schiacciato tra Cina, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan; culturalmente, invece, è un mondo a sé: un popolo nomade sopravvissuto a secoli di imperi, deportazioni e collettivizzazione forzata. Prima l’Impero Russo, poi l’Unione Sovietica, poi l’indipendenza nel 1991: in mezzo, una lingua imposta e terre divise a tavolino. Eppure i kirghisi sono ancora lì, a piantare le yurte d’estate, a fare il pane nel forno a terra, a radunarsi la sera attorno a una ciotola di lagman.

Questo paese offre un viaggio fatto di incontri, spazi vuoti, silenzi e domande. Può succedere di viaggiare per ore per le steppe del Kirghizistan senza vedere una casa, per poi trovare un ragazzino scalzo che vi offre del tè. Oppure salire in cima a un passo di 3.500 metri e sentire solo il vento. È il luogo perfetto per chi cerca la natura incontaminata, ma anche una connessione culturale profonda, al di là delle guide e dei comfort e in Kirghizistan c’è molto più di quanto appaia da vedere.
Non è un paese per tutti. Ma se ci si arriva con la voglia di ascoltare e non solo di fotografare, il Kirghizistan resta addosso: non come souvenir da portare a casa, ma come esperienza, come qualcosa che non hai capito del tutto, ma che ti ha cambiato lo sguardo.
Cosa vedere in Kirghizistan
Lago Issyk-Kul: il mare tra le montagne
Tra gli innumerevoli luoghi da vedere in Kirghizistan, forse l’Issyk-Kul è quello più affascinante. In kirghiso (e in molte lingue turciche), “Kul” significa “lago”. Si tratta di un gioiello incastonato tra le vette del Tien Shan, immenso, chiuso tra montagne innevate. Grazie alla sua salinità e profondità, non si ghiaccia mai (“Issyk-Kul” = “Lago caldo”, proprio perché non gela mai, nonostante l’altitudine). A proposito di questo, si tratta del secondo lago salato più grande del mondo dopo il Caspio, ma a differenza di quest’ultimo, è circondato da villaggi e storie. Balneabile d’estate, è perfetto per chi cerca trekking panoramici, bagni termali, ma anche per scoprire resort sovietici abbandonati, oggi immersi nel silenzio e in cui cemento scolorito e finestre rotte sembrano uscite da un film di Tarkovskij.

Karakol, sulla punta orientale del lago, è una base perfetta per esplorare la zona. Qui convivono architetture di legno russe, moschee uigure, ristoranti cinesi e mercati dove comprare frutta secca, tè nero e giacche militari di seconda mano. A Karakol si può assaggiare lo ashlyan-fu, una zuppa fredda di origine dungan che toglie il fiato dal piccante, ma è rinvigorente dopo una giornata a cavallo o sui sentieri.
Inoltre, è possibile noleggiare una macchina se ci si vuole muovere in libertà, ma dovrete essere pronti a buche, pietre, capre sulla strada e cartelli inesistenti. Oppure ci si può affidare ai marshrutka, i minivan condivisi che fanno il giro del lago a orari variabili e soste imprevedibili. Ricordate di portare contanti: nei villaggi di bancomat non ce ne sono. Potrete dormire in una guesthouse familiare, magari in una yurta sul lago. Vi sveglierete col sole che sale dal Tien Shan e il profumo del pane cotto sul fuoco.

Son-Kul e la vita in yurta
Son-Kul è uno dei laghi più suggestivi dell’Asia Centrale e forse è anche uno dei più silenziosi. Si trova a 3.000 metri di quota in una conca tra montagne tonde e brulle ed è raggiungibile soltanto nei mesi estivi, quando il clima è più mite. “Son-Kul” in kirghiso significa letteralmente “lago finale” o “ultimo lago” e non è solo una questione di geografia: per molti pastori nomadi, infatti, questo era davvero l’ultimo punto raggiungibile prima dell’inverno. In pratica, si trattava dell’ultima tappa della transumanza, l’ultimo luogo dove portare le mandrie prima di ridiscendere a valle.

Data la sua altitudine, il lago sembra davvero il confine di qualcosa: tra la terra e il cielo, tra il silenzio e il tempo. In alcune leggende, è persino il luogo dove le anime si fermano a riposare prima del viaggio finale. Non ci sono alberi, né tantomeno villaggi fissi: solo parecchio vento e qualche cavallo che corre libero stagliandosi contro l’azzurro del cielo. Qui il tempo rallenta e il paesaggio si fa spirituale. Tutto sembra rimetterti in contatto con le cose semplici, con l’essenziale.
Come già anticipato, ci si arriva solo nei mesi estivi (da metà giugno a metà settembre), quando la neve lascia spazio ai pascoli stagionali e le famiglie nomadi tornano a piantare le loro yurte. Fuori da questo intervallo, le strade sono impraticabili o completamente chiuse.

È il posto ideale per vivere l’esperienza di dormire in yurta e mettere la coperta anche ad agosto (le temperature sono basse anche in estate), ascoltare il suono degli zoccoli nel buio, scaldarsi persino accanto al fuoco della stufa se ce n’è bisogno. In più, si può cavalcare nella steppa, bere kumys, assistere alla mungitura degli animali o semplicemente guardare il tramonto dietro le colline, quando tutto diventa blu e arancio e il freddo arriva all’improvviso.
Non si possono non assaggiare piatti tradizionali come il beshbarmak, carne bollita con cipolla e pasta fatta a mano, servita su grandi vassoi comuni. Il brodo viene versato nelle ciotole e bevuto caldo: è nutrimento ma anche rito, con una sua sacralità. In alcune famiglie vi offriranno anche lo zhent, dolce di semola e panna acida, oppure il boorsok, il pane fritto kirghiso.

La base migliore per raggiungere Son-Kul è la cittadina di Kochkor, un centro tranquillo dove ci si può fermare una notte, comprare viveri, cambiare soldi e organizzare il viaggio. Da lì, ci vogliono circa quattro ore di auto per arrivare al lago con un mezzo 4×4, perché le strade sono sterrate, piene di buche e spesso anche senza indicazioni. Il tragitto attraversa passi di montagna e altipiani deserti, gole rocciose, altopiani battuti dal vento e si incontrano mandrie di yak che camminano lente, come se fossero fuori dal tempo. Tutto molto suggestivo.
Se vi interessa vivere la steppa a cavallo, potrete organizzare un trekking di due o tre giorni con guida locale. Le comunità kirghise offrono questo tipo di esperienza attraverso le CBT (Community-Based Tourism), che si trovano in quasi tutte le cittadine turistiche: sono affidabili e lavorano direttamente con le famiglie nomadi. Non dimenticate di portare vestiti tecnici, antivento, un pile pesante e calze di lana: anche in piena estate la notte può scendere sotto lo zero. Scordatevi il comfort turistico: le yurte sono essenziali, con letti semplici o materassi a terra e i bagni sono spesso esterni e condivisi. Non c’è elettricità vera, né acqua corrente e, ovviamente, niente internet.
Ma è proprio questo il senso del posto: qui si va a dormire quando fa buio, ci si sveglia con il sole o con i rumori degli animali, si mangia insieme, ci si scalda attorno a una stufa, si ascolta il vento che passa tra i pali delle tende. A Son-Kul si disimpara la fretta e si ricomincia lentamente ad ascoltare.

La Via della Seta a Tash Rabat
Una tappa imperdibile per gli amanti della storia in Kirghizistan è vedere il caravanserraglio di Tash Rabat, risalente al XV secolo. Si tratta di una costruzione in pietra incastonata in una valle sperduta a 3.200 metri d’altitudine, vicino al confine con la Cina. Si crede che in origine fosse un monastero nestoriano, poi riconvertito in rifugio per i mercanti e le carovane che attraversavano la Via della Seta.

Oggi è uno dei monumenti storici meglio conservati del paese, incorniciato da paesaggi quasi irreali e ambientazioni che sembrano aliene. L’interno è freddo, buio, ma estremamente potente: cupole in pietra, corridoi che portano a piccole stanze, pareti che sanno di fuoco, lana, sabbia. Camminarci dentro dà una sensazione strana, suggestiva, come se le voci dei viaggiatori del passato fossero ancora lì, bloccate tra le pietre. Non ci sono effetti scenici, nessuna narrazione turistica: solo l’essenziale, e proprio per questo affascinante. La base logistica migliore è Naryn, da cui Tash Rabat dista circa due ore e mezza in auto (anche in questo caso, serve un 4×4 o un passaggio organizzato, perché l’ultimo tratto è sterrato e attraversa zone isolate).
Bishkek: tra eredità sovietica e fermento giovanile
La capitale del Kirghizistan, Bishkek, è spesso sottovalutata (e un po’ forse se lo merita) ma è comunque una meta da vedere. Non ha infatti il fascino immediato di altre capitali asiatiche, né monumenti iconici da guida turistica: niente di davvero “instagrammabile”, insomma. Ma è proprio lì che sta il suo fascino: nei contrasti, nelle sue crepe. È una città dove convivono le piazze monumentali dell’epoca sovietica, le facciate grigie degli anni ’70, i caffè hipster con nomi in inglese e i bazar che vendono tutto, dai bulloni alle angurie. È il punto di partenza ideale per esplorare il nord del Paese ed è perfetta per chi vuole capire l’identità ibrida del Kirghizistan moderno.

Piazza Ala-Too, con le sue bandiere giganti, il cambio della guardia all’inglese e la statua dell’eroe nazionale Manas, è il cuore geometrico della città. Ma basta camminare qualche minuto per ritrovarsi in parchi alberati pieni di scacchisti, giostre arrugginite e vecchi poster della Giornata dell’Unità. La città è larga, spaziosa, pensata per respirare. E lo fa, a volte nel caos, a volte nel silenzio.
Il Bazar di Osh è il posto dove iniziare: un labirinto di bancarelle, odori forti, spezie, pane caldo, cappelli di feltro (kalpak) e conversazioni in russo, kirghiso e uzbeko. Se volete un’immersione nel presente, invece, dovreste andare in uno dei nuovi spazi culturali indipendenti: piccole gallerie, locali per reading e concerti, centri sociali gestiti da ragazzi che provano a creare qualcosa fuori dai vecchi schemi.

I caffè e i ristoranti internazionali non mancano, ma assaggiate anche il cibo locale: lagman, plov, manty. Per spendere poco e mangiare bene, conviene andare dove mangiano gli studenti. La città è sicura, ma di notte alcune zone periferiche sono buie e mal collegate ed è meglio restare nelle aree centrali o muoversi in gruppo. In estate può fare molto caldo, ma basta salire nel vicino parco nazionale Ala-Archa (a soli 40 minuti) per trovare aria fresca e sentieri di montagna.
Bishkek non è una città che ti travolge: piuttosto, ti accompagna piano. È una città di passaggio che, se ascoltata, sa raccontare qualcosa sul Kirghizistan moderno: su cosa vuol dire essere un paese giovane, post-sovietico, nomade e urbano allo stesso tempo. Un’identità ibrida, ancora in cerca della sua forma definitiva.
La cultura nomade e i giochi tradizionali
Il vero cuore del Kirghizistan non è nelle città, ma nei gesti tramandati: nelle mani che montano una yurta senza bisogno di parole, nei canti improvvisati attorno al fuoco, nelle storie che parlano di antenati, animali e montagne come fossero vivi. D’altronde, la cultura nomade non è folklore: è quotidianità, ancora oggi, nelle zone rurali e in alta quota.
A rendere tutto tangibile sono anche i giochi tradizionali, non pensati per intrattenere, ma per addestrare il corpo e la mente alla vita nella steppa. Il più famoso è il kok-boru, una sorta di polo ancestrale dove due squadre a cavallo si contendono la carcassa di una capra: violento, coreografico, con regole dure e una ritualità precisa — ma non è l’unico. Ci sono l’er enish, la lotta a cavallo, e il tyn enmei, una gara di resistenza dove i partecipanti si tengono in piedi su un palo per ore. Ogni gioco ha un significato preciso: forza, equilibrio, coraggio, strategia.

Queste discipline vengono celebrate ogni estate durante i World Nomad Games, una sorta di olimpiade delle culture pastorali che coinvolge non solo i kirghisi, ma anche kazaki, mongoli, azeri e molti altri popoli dell’Asia Centrale e del Caucaso. È uno degli eventi più autentici e affascinanti della regione e accanto agli sport ci sono gare di canto epico (manaschi), esposizioni artigianali, tornei di scacchi tradizionali (toguz korgool), e competizioni di montaggio yurte. Questi giochi si tengono in località sempre diverse, spesso in contesti naturali spettacolari, come solo l’Asia Centrale sa offrire.
Ma anche fuori da questi eventi, la cultura nomade si incontra nei piccoli gesti: una donna che intreccia un tappeto secondo motivi tramandati, un uomo che racconta la genealogia della sua famiglia risalendo a dieci generazioni, un bambino che impara a cavalcare prima di camminare bene. È una cultura fatta di resistenza silenziosa, che ha attraversato l’impero zarista, la collettivizzazione sovietica e l’indipendenza senza mai sparire davvero.
Un esempio pratico di itinerario
Per concludere, non può mancare un itinerario pratico su cosa vedere in Kirghizistan. Si può partire dall’Italia con arrivo a Bishkek, la capitale: caotica ma viva, perfetta per acclimatarsi. Da lì, scendere verso Kochkor, punto di partenza per il lago Son-Kul, dove si dormirà in yurta tra pastori e cavalli. Si potrà proseguire poi verso il caravanserraglio di Tash Rabat, silenzioso e isolato, prima di risalire a Issyk-Kul e Karakol tra escursioni, sorgenti termali e influenze culturali miste. Per il ritorno, si potrà passare da Cholpon-Ata, lungo le rive del lago e chiudere a Bishkek per il volo verso casa. Dieci giorni basteranno per vedere il Kirghizistan con occhi nuovi.
Fonte immagini: Wikimedia Commons (Fotografo immagine di copertina: Kondephy), Lago Son-Kul