Ogni notte possiamo osservare l’Universo, una volta ricca di galassie e stelle luminose, tuttavia di rado sappiamo che ciò che riusciamo a vedere non è che la minima parte di ciò che lo compone davvero. La stragrande maggioranza di materia che compone l’arco celeste rimane completamente impercettibili ai nostri occhi, come alle nostre più sofisticate tecnologie: si tratta della materia oscura, uno dei misteri più dibattuti dell’astrofisica odierna.
Cos’è la materia oscura
Viene ufficialmente definita come una forma solo ipotetica di materia che non riflette, assorbe o emette alcun tipo di radiazione elettromagnetica, che è l’indicatore più certo che noi abbiamo dell’esistenza di un fenomeno: nessuna onda, nessuna materia. Il fatto che non possiamo vederla, però, non ci impedisce di percepirla in un modo o nell’altro, difatti la sua presenza si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali sulla materia visibili. Gli studi ci permettono di stimare che la materia oscura occupi il 27% circa di massa-energia dell’Universo, mentre la materia ordinaria – quella visibile, di cui sono fatti ad esempio pianeti e stelle – ne occupa solo il 4,9%. Il restante 68% è riempito dall’energia oscura, altro mistero astrale che mette a dura prova gli astrofisici.
Da cosa è composta
I decenni di ricerche riguardo la natura della materia oscura hanno senz’altro prodotto risultati lenti, ma consistenti: l’ipotesi più accreditata prevede la presenza di particelle subatomiche di cui noi non siamo ancora al corrente con le nostre tecnologie scientifiche, come gli assioni, particelle elementari ipotetici che interagiscono debolmente con la materia ordinaria, ma mai realmente osservate, presenti nella teoria di Peccei-Quinn, conosciute anche con l’acronimo WIMP (Weakly Interacting Massive Particles).
Le origini della sua osservazione
Ci accorgemmo della presenza di questa non-presenza negli anni ‘30, grazie all’astronomo Fritz Zwicky, che studiando un ammasso di galassie notò che queste si muovevano troppo velocemente per essere semplicemente influenzate dalle masse di materia visibile.
Fu negli anni ‘70 che raggiungemmo un altro tassello importante per definire la materia oscura: l’astronoma Vera Rubin, osservando l’andamento a rotazione tipico delle galassie a spirale, notò che le stelle nelle regioni più esterne delle spirali ruotavano con velocità superiore rispetto a quanto si calcolerebbe tenendo conto solo dell’influenza della materia visibile – ne dedusse che questa differenza di calcoli era dovuta alla presenza di grandi quantità di qualcosa di invisibile distribuito uniformemente attorno a queste immense galassie.
Ad oggi abbiamo conferma della presenza di materia oscura grazie ad una sua primordiale osservazione tramite le lenti gravitazionali, che, seguendo la logica secondo la quale più un oggetto è pesante più curva il tessuto spazio-temporale e devia la luce degli oggetti a lui limitrofi, ci permettono di osservare che le curvature di questo tessuto sono spesso troppo pesanti per essere attribuite solamente alla materia visibile, indicando dunque la presenza dell’aggiuntiva materia oscura.
Cosa significa osservarla e studiarla
La materia oscura non si limita ad essere un mistero scientifico, gioca un ruolo fondamentale nel nostro studio della materia universale e di quali forze agiscono sui corpi celesti – la sua distribuzione influenza la formazione stellare, il movimento dei pianeti e, in generale, l’evoluzione galattica. Comprendere da cosa è formata e quali sono i suoi comportamenti potrebbe essere la chiave per una visione ottimale delle leggi che regolano l’universo tangibile.
La materia oscura, ad oggi, è riuscita a sfuggire ad una sua completa rivelazione, tuttavia riponiamo fiducia nelle nuove teorie e approcci tecnologici che verranno in futuro, tipo telescopi spaziali o lenti gravitazionali, che potrebbero aiutarci a svelarne la vera natura.
Fonte immagine: Wikipedia (https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=816428)