Molti, tifosi e non, si chiedono quale sia il motivo per cui il simbolo del Napoli calcio sia l’asino, un animale apparentemente poco fiero. Come mai una squadra, riconosciuta tra le migliori della Serie A e distintasi in Europa per il suo gioco spettacolare, è rappresentata da un animale così umile come “‘o ciuccio”? La storia che ha portato la Napoli calcistica a riconoscersi in un somaro affonda le sue radici nell’orgoglio e nell’inimitabile ironia partenopea.
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Il simbolo originale: il cavallo rampante
Tutto ha origine nel 1926, quando l’Internaples Foot-Ball Club di Giorgio Ascarelli cambia nome in “Associazione Calcio Napoli”. Il simbolo scelto per la squadra nel suo primo campionato nazionale era un cavallo bianco rampante, posizionato su un pallone all’interno di un ovale azzurro. Questo simbolo, noto come “Il Corsiero del Sole”, rappresentava la nobiltà e l’impeto del popolo napoletano fin dal tempo del Regno delle Due Sicilie. Il cavallo era un emblema di fierezza, legato a una stirpe equina prestigiosa, quella del “Cavallo Persano”, voluta da Carlo di Borbone.
Simbolo | Significato e contesto storico |
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Cavallo rampante (1926) | Simbolo di nobiltà, fierezza e impeto, legato alla storia del Regno di Napoli. Fu abbandonato dopo una stagione fallimentare. |
‘O Ciuccio (dal 1927) | Nato dall’ironia per una sconfitta, è diventato un’icona di resilienza, umiltà e della capacità di rialzarsi dopo ogni caduta. |
La stagione disastrosa che cambiò tutto
La prima stagione del Napoli nel campionato nazionale (1926-1927) fu una vera catastrofe. La squadra collezionò 17 sconfitte e un solo pareggio in 18 partite, senza mai riuscire a vincere. Il fiero cavallo rampante, simbolo di una nobiltà che non trovava riscontro nei risultati sportivi, iniziò a sembrare fuori luogo. È in questo contesto di delusione che il simbolo del ciuccio inizia a fare la sua comparsa.
La nascita del ‘ciuccio’: tra ironia e orgoglio
Si racconta che nel bar Brasiliano di Via Santa Brigida, un tifoso amareggiato di nome Raffaele Riano, esasperato dall’ennesima sconfitta, esclamò: «Ato ca cavallo sfrenato, a me me pare ‘o ciuccio ‘e Fichella, trentatré chiaje e a coda fraceta!» (“Altro che cavallo sfrenato! A me pare l’asino di Fichella, con trentatré piaghe e la coda marcia!”). ‘O Fichella era un venditore di fichi del quartiere, noto per avere un asino emaciato e malconcio che stramazzava al suolo per la fatica. La battuta fu riportata dal giornale satirico “Vaco ‘e pressa” e, grazie a vignette che raffiguravano un asinello incerottato, l’associazione tra il Napoli e ‘o ciuccio divenne popolarissima.
Da simbolo goliardico a icona di resilienza
Il ciuccio fece il suo primo ingresso trionfale allo stadio nel 1930, durante una partita contro la Juventus. Il Napoli, sotto di due gol, riuscì in una delle sue storiche rimonte, pareggiando 2-2. A fine partita, un asinello infiocchettato d’azzurro fu portato in trionfo con un cartello: “Ciuccio fa tu”. Da quel momento, ‘o ciuccio smise di essere solo un simbolo di scherno e divenne l’emblema della capacità del Napoli e del suo popolo di rialzarsi con orgoglio dopo ogni caduta. Questa tenacia ha caratterizzato tutta la storia del club, fino alla vittoria del suo terzo scudetto nel 2023 e del quarto nel 2025. Nel 1982, il ciucciariello fece la sua prima comparsa ufficiale sulle maglie. Nato dall’allegria di un popolo capace di sdrammatizzare i fallimenti, ‘o ciuccio è oggi uno dei simboli più cari ai napoletani. Del resto, un vecchio proverbio recita: «Chi nasce asino non può morire cavallo». Nel caso del Napoli, è successo esattamente il contrario.
Foto di: Pixabay
Articolo aggiornato il: 22/09/2025
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