In esclusiva l’intervista con il coach della Virtus Roma 1960, Marco Calvani, che si racconta tra scelte sul mercato e obiettivi.
Il campionato della Virtus Roma 1960 sta per iniziare e noi della redazione di EroicaFenice abbiamo intervistato il coach Marco Calvani, il quale ci ha dato indicazioni importanti sulla costruzione della squadra e non solo. Ecco qui l’intervista integrale.
La costruzione del roster: tra tecnica e carattere
Quali sono le caratteristiche principali che cerca nei suoi giocatori?
La prima cosa che ricerco è l’aspetto tecnico per il ruolo, servono giocatori che abbiano le competenze tecniche per ricoprire quelle che sono le prerogative del loro ruolo. Poi certamente cerco anche gli aspetti caratteriali come l’attitudine al lavoro, la disponibilità in settimana a lavorare durante gli allenamenti per migliorare e implementare quelle che sono le skills che ogni giocatore ha. Aggiungerei poi che nella pallacanestro moderna – come vediamo ormai da qualche anno – l’atletismo, la pericolosità nell’attaccare il ferro e il tiro da tre sono tutte cose preponderanti nelle valutazioni che vengono fatte durante la costruzione di una squadra.
Punta più sul lato caratteriale o su quello tecnico quando va a creare un roster di giocatori da allenare per una stagione?
La prassi è che mi confronto sempre con il manager a cui do alcune indicazioni, anche se ho alle spalle 35 anni di professionismo. Quest’anno ad esempio ho chiesto di poter avere 3 playmaker, perché questo è un ruolo complesso e difficile da andare a sostituire in corsa. Questo è un aspetto importante da considerare perché se durante l’anno ne avessimo solo due, e uno per qualche ragione anche non catastrofica – magari anche per un banale raffreddore o un problema di falli – non dovesse essere disponibile per la partita, la gestione sarebbe limitata. Avendone tre, invece, ci si può permettere un dosaggio delle energie e un’alternanza migliore in un ruolo cruciale, riuscendo a sopperire anche a un’eventuale mancanza. Questo è il motivo dell’aggiunta di Barattini.
Ho richiesto poi un giocatore di raccordo che potesse ricoprire sia la posizione di 3 che di 4 tattico (ala piccola – ala grande) e che potesse dare una buona duttilità proprio da un punto di vista tattico nel corso delle partite. Per questo ruolo abbiamo preso Toscano. Nel pacchetto dei lunghi ho chiesto invece che dei quattro uomini, tre sapessero giocare sia dentro l’area che fuori, che avessero peculiarità sia per giocare spalle al canestro che fronte al canestro, con un po’ di pericolosità nel tiro da tre punti e abilità nel mettere palla a terra. Per questi tre abbiamo preso Battistini, Lenti e Leggio, che rispecchiano quelle che sono le caratteristiche che cercavo.
Per il quarto, invece, ho cercato un giocatore più di struttura, anche per confrontarsi con l’avversario di turno senza dover adattare un giocatore con caratteristiche differenti a fare questo ruolo. Abbiamo, dunque, per questo ruolo ingaggiato Cane, il quale purtroppo si è fermato quasi subito per un infortunio e starà fuori diversi mesi. Questo imprevisto ci ha fatto tornare sul mercato dei lunghi per cercare un profilo che potesse prenderne il posto numericamente e qualitativamente. Qui, però, per diverse questioni ci sono stati offerti lunghi di reparto che erano ancora convalescenti da infortuni della passata stagione, oppure giocatori in altre posizioni, che non andavano a sostituire Cane con le caratteristiche che ci servivano. Abbiamo preferito evitare di prendere un giocatore che non ci desse garanzie fisiche o che avesse caratteristiche diverse da quelle di Cane.
Per questa ragione la scelta è ricaduta su Joel Fokou, un giocatore che per caratteristiche può darci una mano in allenamento e in partita e ci può aiutare senza dover spostare e adattare tutti gli altri, modificando un assetto che deve avere un suo equilibrio. Lo so io e lo sa Joel che le sue caratteristiche e qualità non sono quelle di Cane, ma comunque ci aiuterà in attesa di nuove situazioni di mercato. Non sono autolesionista, vivo di pallacanestro. Qual è quell’allenatore che, se gli viene offerto un giocatore sano e forte che possa aiutarlo a vincere, non lo prende? L’autolesionismo non fa parte della mia persona.
A completamento della domanda, sicuramente prediligo il lato tecnico, ma anche quello caratteriale, in quanto cerco giocatori disponibili al lavoro settimanale, che abbiano voglia di prendersi responsabilità in partita ma anche che sappiano avere disponibilità e applicazione con i compagni, perché fare gruppo e spogliatoio è una cosa importante.

Soddisfazioni, rimpianti e il valore di una partita
C’è una partita che rigiocherebbe? E invece una scelta professionale che non rifarebbe? Oppure ogni esperienza alla fine le ha lasciato qualcosa di positivo?
Non si può vivere di rimpianti. Direi quindi che, più che una partita, magari alcune scelte professionali che ho fatto – con l’esperienza che ho oggi – le pondererei meglio e forse non le rifarei. Al tempo stesso però tutte le esperienze che ho fatto – sia quelle positive che quelle meno positive – lasciano un segno e sono punti di riferimento importanti per il futuro; dunque, alla fine sono tutte importanti.
Al di là del risultato – che nello sport è uno degli aspetti primari, ma che dipende da innumerevoli variabili – personalmente cosa la rende soddisfatto, coach Calvani, alla fine di una partita?
Il risultato sicuramente è quello che sposta, tra vincere e perdere cambia totalmente. Quello che l’esperienza mi ha insegnato in tutti questi anni di pallacanestro – avendo fatto dieci anni di playoff, vinto due campionati, una Supercoppa, due Coppe Italia, un’altra finale di Coppa Italia persa e una finale di campionato persa – è che sì, il risultato è importante, ma poi va contestualizzato. Magari la vittoria di una partita può sembrare la panacea di tutti i mali, ma se poi vai ad analizzare quella singola gara e i valori delle due squadre, ti rendi conto che si è vinto contro una squadra con mezzi tecnici inferiori; dunque, quella vittoria non ha un valore immenso. Oppure, viceversa, può capitare di perdere contro una squadra con più qualità, più forza in generale o in quel momento della stagione in una condizione ottima e, pur facendo una buona partita, quella sconfitta magari non è completamente negativa, analizzando il tutto.
Proprio per questo vanno sempre contestualizzate tutte le variabili e le situazioni contingenti a quello che è il risultato. In definitiva, perciò, ciò che mi dà soddisfazione è vedere che tutti i miei giocatori, e io in panchina, alla fine della partita abbiamo fatto il nostro massimo. Poi a volte capita di pensare che in alcune situazioni forse potevi cambiare qualcosa o che quel giocatore potesse fare quel canestro, ma la palla di cristallo e la controprova non ce l’hai mai. Però sì, in definitiva, ciò che mi lascia soddisfatto è appunto il riuscire a dare tutto, anche se alla fine si perde perché gli avversari – giocatori e coach – magari hanno più qualità. Infatti, non è una colpa non avere più qualità rispetto ai propri avversari, ma lo è non dare tutto se stessi, cercando sempre di fare il meglio possibile.
Il rapporto ed il legame con i tifosi
A Roma si percepisce un certo malcontento della piazza, un clima di scetticismo verso alcune scelte. Cosa si sente di rispondere?
Ovviamente mi dispiace, io do sempre il massimo e cerco di fare il meglio per tutti. Per quello che mi riguarda, ritengo che il pubblico debba essere informato di alcune situazioni. A mio avviso è sempre giusto informare la piazza, essere trasparenti sugli obiettivi, sulle possibilità e dare spiegazioni delle scelte fatte, anche banalmente per spiegare le scelte effettuate in una partita di un test precampionato. Al tempo stesso io sono una persona estremamente disponibile verso i tifosi, sempre, non mi nego mai, anche nel dare informazioni o nel rendermi disponibile a un dialogo, come è avvenuto lo scorso anno. Questa mia disponibilità, questo mio aspetto a volte non mi viene riconosciuto, anzi, da alcune persone vengo spesso additato di cose e comportamenti che non fanno parte della mia persona, lontanissime dal mio modo di rapportarmi con il pubblico e i tifosi, anche alla luce della mia disponibilità con tutti. La mia storia dimostra che, tranne in rare eccezioni, lascio un bel ricordo nelle piazze dove alleno, anche in piazze molto esigenti come ad esempio Pesaro – realtà che ho a cuore – e dove ho con i tifosi un legame importante per i successi ottenuti nel passato – promozione e Coppa Italia – e che fanno sì che ci siano anche rapporti personali e non solo professionali, anche dopo quasi 20 anni.

Obiettivi futuri: vincere il campionato e non solo
Che obiettivo si pone, coach Calvani, per l’anno che viene alla guida della Virtus Roma?
L’obiettivo è vincere il campionato, non mi sono mai nascosto e lo dico. L’anno scorso ad esempio dissi – appena arrivato e senza mai aver allenato la squadra – che potevamo ambire ai playoff e così è stato. Poi ovviamente, con pochi mesi di lavoro, non potevo sapere cosa sarebbe successo una volta arrivati a quelle partite. Adesso invece dico – mettendoci la faccia come sempre – che l’obiettivo è quello di vincere perché abbiamo una squadra qualitativamente in grado di farlo. Ma al tempo stesso ci sono 8 giocatori nuovi da assemblare e che non hanno mai giocato tra di loro, ci sono varie squadre che hanno investito tanto, che hanno roster forti, che lottano per il nostro stesso risultato e che sono stagioni che ci provano. Dunque, sarà sicuramente una stagione competitiva, stimolante e di grande enfasi per le molte competitor che ci saranno.
E invece a livello personale, coach Calvani, che obiettivi ha?
Per il futuro sicuramente l’obiettivo è fare bene e a lungo nella Virtus Roma, stare qui tanti anni. Mi trovo bene con la società, condividiamo aspettative, obiettivi e anche i progetti futuri. Mi piace, infatti, che ci sia una società che punta al massimo dell’obiettivo presente e futuro. E Roma come piazza e come pubblico ha sempre risposto presente, con grande attenzione a quelle che potevano essere squadre che lottavano per vincere. L’ho vissuto in prima persona con la finale scudetto contro Siena nel 2013, quando poi per varie note vicende – Montepaschi di Siena, sia lato sportivo che bancario – avremmo meritato un altro epilogo.
Nel complesso il mio obiettivo è fare bene, benissimo qui a Roma e poi magari in un futuro aspirare ad un possibile cambio di ruolo nel basket o, fuori da questo mondo, in aziende dove posso mettere a disposizione l’esperienza che ho accumulato in questi anni.
Un grande grazie a coach Marco Calvani e un in bocca al lupo per la stagione 2025/26 alla guida della Virtus Roma.
Fonte immagini: Ufficio Stampa Virtus Roma 1960