E siamo chiamati in causa tutti a dire il vero… tutto ciò che è biologico in fondo, così come da titolo che lascia inteso proprio questo. La voce è sempre il centro e questo marchio di “fabbrica” è un punto fermo per la produzione di Marilena Anzini che volendo amplifica questo concetto chiamando in causa il suo ensemble vocale, le Ciwicè. Un disco che poi approda anche a strumenti antichi, a ricami di world music, ad una spiritualità che diviene leggerissima quiete dentro scritture musicali che di certo non strizzano l’occhio alle comodità della moda main stream e dunque promettono un viaggio immersivo e decisamente “difficile” per le nostre abitudini liquide. Sono quei dischi che all’estetica funzionale preferiscono la cultura…
L’improvvisazione vocale e il circlesinging hanno avuto un ruolo importante nella tua formazione. Quanto spazio hanno trovato nell’album e nel tuo processo creativo?
È stato un processo spontaneo e naturale riversare anche nella mia musica i frutti dell’attenzione e della curiosità che ho sempre nutrito nei confronti della voce. L’improvvisazione vocale, di cui il circlesinging è una forma corale, è un modo di creare musica non preesistente o programmata e ha la particolarità di essere realizzata con il solo suono della voce, in tutte le sue tantissime sfaccettature e possibilità; la musica improvvisata si esegue mentre la si crea, in uno spazio-tempo condiviso in cui gli improvvisatori si immergono nella musica e in un attento ascolto reciproco. Si creano delle connessioni profonde anche tra persone che non si conoscono: la musica unisce, crea comunità, e il canto, suono così strettamente legato all’essere umano, ancora di più. Tutto ciò ha influenzato anche il mio processo creativo, certo: non riesco a pensare ad una mia canzone senza le voci che gli girano intorno e che la innervano dall’interno; con l’apporto degli arrangiamenti vocali la sento espandersi e diventare più ‘umana’, più corale. Per questo nel mio progetto musicale sono di fondamentale importanza le Ciwicè, l’ensemble vocale femminile che mi accompagna in questa avventura fin dai suoi inizi e con le quali, non a caso, si è creata una forte connessione umana oltre che musicale. Se ripenso ai dischi precedenti Oroverde e Gurfa, riconosco che strada facendo ho dato sempre più importanza alle voci, tant’è vero che in Bio- ci sono ben tre brani interamente a cappella.
Hai scelto di includere brani sia in italiano che in inglese: è una questione di resa sonora, di apertura internazionale o di differente approccio narrativo?
Sono cresciuta ascoltando e cantando molta musica inglese e americana e cantare in questa lingua mi viene naturale: il suono della voce ha sfumature diverse rispetto all’italiano e mi permette di toccare delle corde un po’ più folk e bluesy che appartengono ai miei esordi di giovane cantante innamorata di Janis Joplin e della West-coast. La lingua poi ha regole sintattiche diverse e quindi sì, anche l’approccio narrativo cambia: la scrittura è più essenziale e discorsiva anche perché, pur parlandola abbastanza bene, non è la mia lingua madre: in italiano forse oso un po’ di più, aprendomi ad espressioni più evocative. Per ciò che riguarda l’apertura internazionale, mah…non è sicuramente un pensiero che mi guida quando scrivo canzoni, ma se dovesse arrivare, ben venga!
Ti consideri più ispirata dalla contemplazione della natura o dall’urgenza di raccontarne la fragilità?
Contemplare la natura mi porta a sentire quanto strettamente l’essere umano è connesso ad essa. C’è interdipendenza reciproca: tanto più abbiamo cura di questo legame, tanto meglio stiamo noi e tutta la natura di cui siamo parte. E al contrario, meno ce ne curiamo, più debole diventa tutto il sistema, noi compresi. La prima canzone che ho scritto quando ho ideato questo progetto è “Quello che ci tiene insieme” e sono ancora convinta che è l’amore che ci lega e ci tiene insieme: lo stesso amore che tiene unite tutte le cellule del corpo di ogni essere vivente, tiene insieme anche tutta l’umanità perché ogni individuo è come una singola cellula di un corpo più grande e collettivo; ed è lo stesso amore che fa rifiorire la natura ad ogni primavera e che, per dirla con il sommo poeta Dante, tiene insieme e “move il sole e l’altre stelle”. Possiamo funzionare bene solo stando insieme, prendendoci cura l’uno dell’altro e dell’ambiente di cui siamo parte. All’opposto c’è l’assenza di amore (non necessariamente l’odio, anche “solo” l’indifferenza…) che porta alla separazione e all’isolamento. Credo che la vera fragilità sia questa: pensare di potercela fare da soli, vedere gli altri come antagonisti e la natura come qualcosa da sfruttare a nostro uso e consumo: agire con amore e altruismo, impegnandosi a farlo anche quando non viene spontaneo, è un vero e proprio atto rivoluzionario che può portare cambiamenti profondi e duraturi a partire da ogni persona. Credo che la musica possa contribuire molto a far crescere questa attitudine e personalmente tengo questa cosa molto presente nel mio progetto musicale, più che gli accordi o la tecnica vocale.
https://www.youtube.com/watch?v=RW6JGP7HZ4c
La grafica di Estheranna Stäuble accompagna il disco come una narrazione parallela. Quanto contano per te le immagini visive per completare l’universo sonoro che crei?
Io sono convinta che la comprensione profonda dalla realtà passi attraverso i sensi, tutti i sensi, e non solo attraverso l’intelletto. Capire è importante, ma comprendere è un abbraccio che avvolge tutto, facendoci diventare parte di ciò che com-prendiamo, cioè che prendiamo con noi. E i sensi non viaggiano per compartimenti stagni, si mischiano in quella che, anche poeticamente, è definita sinestesia: così attraverso il senso dell’udito possiamo ascoltare musica e contemporaneamente “vedere” delle immagini e disegnarle…e si possono anche cantare dei disegni, o sentirne il profumo. La musica, nella sua immaterialità e nella sua meravigliosa capacità di essere compresa anche da chi non ne conosce i principi teorici, è l’arte sinestesica per eccellenza. Per questo mi ostino a stampare i CD fisici anche nell’era della musica liquida, e a farli con tutta la cura che posso. I disegni di Estheranna, carissima amica e grande artista svizzero-tedesca, incontrano le mie canzoni in questo spazio sinestesico e da lì invitano ad entrare: la musica va anche toccata, annusata e guardata, perché ci stimoli a non “perdere i sensi” e ad usarli tutti, nella musica e anche nella vita.
La voce è il cuore di tutto… la voce come strumento o come messaggero di parole?
La voce può essere entrambe le cose perché, rispetto al suono degli altri strumenti, può anche veicolare le parole. Il confine tra linguaggio verbale e musicale, tra voce parlata e cantata, è in realtà molto permeabile e per nulla divisivo: in musica, nelle canzoni, c’è la possibilità di fare incontrare in modo simbiotico la parola, il suono – della voce e degli strumenti – e la struttura musicale – ritmica, melodica ed armonica -; non è per niente facile, ma è un orientamento che cerco di tenere sempre presente e, quando accade, è come se si accendesse una scintilla, o una lucciola nel buio! In ogni caso, la comunicazione verbale viene potenziata ed esplicitata attraverso il suono, prova ne sono i malintesi che spesso nascono quando si comunica attraverso messaggi scritti e, nell’altro senso, il fatto che in ogni cultura spirituale ci sia un vasto repertorio di preghiere cantate, considerando la preghiera la forma di comunicazione più alta, quella che cerca di metterci in comunicazione con il divino. È famosa la frase di sant’Agostino “Chi canta, prega due volte”, anche se in realtà la frase precisa è “Cantare è proprio di chi ama” ed è proprio così: la voce e la musica sono comunicazione, relazione, cura…in una parola, sono “amore”.
https://open.spotify.com/intl-it/album/0v7txv1qpemJIwCWlaeAeb?si=ea8dd0fa4b82433d